DEUS PORTUMNUS - COMPLESSO TERMALE E PORTUALE DI PIETRA PAPA SUL TEVERE |
" Portunalia dicta a Portuno, cui eo die aedes in portu Tiberino facta et feriae institutae".
Marcus Terentius Varro (116 a.c. - 27 a.c.) - De lingua latina - liber VI - III -
" Leucothea Grais, Matuta vocabere nostris; in portus nato ius erit omne tuo, quem nos Portunum, sua lingua Palaemona dicet "
(Publio Ovidio Nasone, Fasti, VI, 545-547)
I Portunalia furono una festa celebrata a Roma e nel Lazio in onore di Portunus, o Portumnus, Dio dei porti e delle porte. Si ricorda un'usanza di gettare nel fuoco le chiavi, mentre il flamen portunalis aveva il compito di ungere le armi del Dio Quirinus. Cosa avevano a che fare le chiavi con le armi?
L'attuale tempio di Portuno, di epoca repubblicana, si trova di fronte alla chiesa di S. Maria in Cosmedin, poco distante dal Tempio di Ercole Olivario, collegato con il vicino Portus Tiberinus.
LA SANTA DELLE PROSTITUTE
Nel IX secolo il tempio venne mutato in chiesa cristiana, prima con il nome di Santa Maria Secundicerii, quindi come Santa Maria Egiziaca patrona delle prostitute. La chiesa venne eliminata per ripristinare l'antico aspetto del tempio nel 1916. L'inserimento della struttura ecclesiastica mantenne intatto l'esterno del tempio; internamente sono ancora visibili gli antichi affreschi altomedioevali che narrano la storia della santa.
PALEMONE
Dapprima chiamato Melicerte, fu il mitico figlio di Atamante, re dei Mini in Orcomeno, e di Ino. Secondo la leggenda venne gettato nell’acqua bollente dal padre o dalla madre impazziti. Poi Ino, rinsavita lo trasse fuori e si gettò con lui in mare e venne trasformata nella divinità marina Ino-Leucotea, mentre Melicerte assunse il nome di Palemone dopo essere stato trasformato in un Dio marino, Portunus per i Romani, Dio propizio ai naviganti.
Il suo culto pubblico era curato a Roma da uno dei dodici flamini minori, il flamine portunale. A volte il Dio fu identificato con Palemone, anch'egli protettore dei porti, associandone i miti, cosicché a Portuno fu attribuita come madre la Dea Mater Matuta, che a sua volta era stata assimilata a Leucotea. Insomma, un figlio della Grande Madre.
PORTUNO
Portuno (latino Portunus o Portumnus) era il Dio romano dei porti e secondo alcuni anche delle porte, una specie di riedizione del Dio Giano. In effetti come Dio vigile dell'entrata e dell'uscita dai porti aveva un senso. In realtà Giano sembra avesse due figli, Tiberino e Portuno, che erano tra le più antiche divinità italiche.
Tiberino era il Dio del fiume, e Portuno era invece il Dio degli attraversamenti d'acqua e dei "passaggi" dai guadi ai traghetti, un po' come il medioevale San Cristoforo che appunto trae vita dal mito di Portuno e vedremo perchè.
Nell'iconografia Portuno veniva rappresentato con le chiavi in mano, in quanto protettore delle porte, un particolare poi ripreso dalla figura di San Pietro che è munito anch'esso di due chiavi, una d'oro e una d'argento. La chiave dorata, che punta a destra, alluderebbe al potere sul regno dei cieli.
Viene da chiedersi che potere avesse S.Pietro sul Paradiso, a meno che non alluda, e forse è così, al potere di farci entrare o meno le anime dei defunti. Quella d'argento, posta a sinistra, indicherebbe invece l'autorità spirituale del papato in terra, motivata soprattutto dall'autorità del suo potere temporale.
SAN CRISTOFORO CINOCEFALO
In diversi dipinti San Cristoforo appare come cinocefalo, cioè con testa da cane, in realtà è una riedizione del Dio egizio Anubis, il Dio dalla testa di sciacallo, un Dio che accompagna Iside nel suo viaggio nell'oltretomba onde recuperare le parti del corpo mutilato di suo marito il Dio Osiride.
Il viaggio si compie via fiume ma allude ovviamente a un viaggio negli inferi. Ciò perchè Anubis è colui che accompagna i morti nell'oltretomba, il che fa comprendere che San Cristoforo fu visto come traghettatore dei morti negli inferi, insomma una specie di Caronte.
In questo senso avrebbe un significato la purificazione delle chiavi gettandole nel fuoco. Teniamo conto però che il termine purificazione per i romani non era associato ad un significato di lavare le colpe come nel cattolicesimo, ma di togliere dal presente ogni traccia dolorosa del passato, ad esempio cancellare la morte dalla vita.
E quale morte se non quella in guerra, quella guerra che era tanto perseguita dai giovani romani in parte come destino ineluttabile ma in parte come speranza di gloria e plauso della sua gens e dei concittadini?
Le chiavi simboleggiano pertanto il passaggio dal mondo dei vivi al mondo degli inferi e purificando le chiavi nel fuoco queste tornavano al loro valore attuale, quello del passaggio dei vivi, pertanto salire sulle navi per andare a combattere i nemici auspicava solo vittoria e ritorno.
Ne fa fede anche un’anonima citazione tarda che fa menzione di chiavi e di fuoco, un rito attestato già nel mondo etrusco, nel quale piccoli pesci e chiavi venivano gettati in un braciere, perché offrendo i pesci in sacrificio agli Dei si potessero bruciare le chiavi che serravano il transito nel mondo dei defunti.
Dunque le chiavi consentivano o impedivano il passaggio, dunque con un duplice significato, a seconda che si trattasse di vivi e di defunti.
Per i vivi non passare tra i defunti e per i morti potersi trasferire nel mondo dell'Ade, cioè trovare la pace nella morte.
Sembra infatti che una statua della Dea con figlioletto Portunus in braccio fosse stata deposta proprio nel tempio di Portunus, che a Roma venne dedicato proprio il giorno dei Portunalia, secondo quanto riferito da Varrone, e si trovava presso il Ponte Emilio, come indicano alcuni antichi calendari romani.
Anticamente il luogo si chiamava Foro Boario, poco distante dal Tempio di Ercole e dal più antico porto tiberino, che si estendeva a nord del tempio e del quale rimangono alcuni muraglioni.
La divinità collegata al porto fluviale, porto che era negl'immediati paraggi, nella zona ora occupata dall'attuale edificio dell'Anagrafe.
Il tempio, prossimo al Tevere, che volta le spalle al foro Boario, è uno dei pochi dell'età repubblicana arrivato integro.
La dicitura di tempio della Fortuna virile è riconducibile alla Dea Fortuna cui i giovani lasciavano la toga praetexta entrando nella virilità.
Servio Tullio, particolarmente devoto alla Dea Fortuna, dedicò un tempio proprio nel Foro Boario, per cui tutto lascia presupporre che fosse la dedica più antica, trasformata poi in Mater Matuta con figlio Portunus in braccio, e infine dedicata al solo Dio Portunus.
LA FESTA
I sacerdoti iniziavano la processione di buon'ora con delle barche inghirlandate che scorrevano sul Tevere dove le acque venivano benedette, per la buona navigazione e già che c'erano pure per la pesca. Vi partecipavano dunque i marinai romani che combattevano sulle navi, ma pure gli addetti al porto e i pescatori.
Le ghirlande venivano poi gettate nel Tevere e seguiva poi la cerimonia ai piedi del tempio Portunno dove venivano gettate nel fuoco le chiavi del tempio e venivano non bruciati ma grigliati sui numerosi bracieri preparati all'occorrenza sempre ai piedi del tempio, una lunga serie di pesci che venivano poi divisi tra la popolazione. In pratica un cibo benedetto.
Seguiva poi la sfilata delle barche da pesca a loro volta inghirlandate con i marinai che cantavano e bevevano fino a notte quando si accendevano le torce e il Tevere notturno s'illuminava come le sue rive. Sembra che per l'occasione si lanciassero in acqua vari amuleti che proteggessero le navi romane dagli attacchi nemici. la festa terminava quando si spegnevano le fiaccole.
BIBLIO
- Publio Ovidio Nasone - Fasti - VI - 545-547 -
- Publio Virgilio Marone - Eneide - V - 241 -
I Portunalia furono una festa celebrata a Roma e nel Lazio in onore di Portunus, o Portumnus, Dio dei porti e delle porte. Si ricorda un'usanza di gettare nel fuoco le chiavi, mentre il flamen portunalis aveva il compito di ungere le armi del Dio Quirinus. Cosa avevano a che fare le chiavi con le armi?
L'attuale tempio di Portuno, di epoca repubblicana, si trova di fronte alla chiesa di S. Maria in Cosmedin, poco distante dal Tempio di Ercole Olivario, collegato con il vicino Portus Tiberinus.
LA SANTA DELLE PROSTITUTE
PALEMONE |
PALEMONE
Dapprima chiamato Melicerte, fu il mitico figlio di Atamante, re dei Mini in Orcomeno, e di Ino. Secondo la leggenda venne gettato nell’acqua bollente dal padre o dalla madre impazziti. Poi Ino, rinsavita lo trasse fuori e si gettò con lui in mare e venne trasformata nella divinità marina Ino-Leucotea, mentre Melicerte assunse il nome di Palemone dopo essere stato trasformato in un Dio marino, Portunus per i Romani, Dio propizio ai naviganti.
Il suo culto pubblico era curato a Roma da uno dei dodici flamini minori, il flamine portunale. A volte il Dio fu identificato con Palemone, anch'egli protettore dei porti, associandone i miti, cosicché a Portuno fu attribuita come madre la Dea Mater Matuta, che a sua volta era stata assimilata a Leucotea. Insomma, un figlio della Grande Madre.
SANTA MARIA DE PIANO - GIA' SANTA MARIA IN PORTUNO |
PORTUNO
Portuno (latino Portunus o Portumnus) era il Dio romano dei porti e secondo alcuni anche delle porte, una specie di riedizione del Dio Giano. In effetti come Dio vigile dell'entrata e dell'uscita dai porti aveva un senso. In realtà Giano sembra avesse due figli, Tiberino e Portuno, che erano tra le più antiche divinità italiche.
Tiberino era il Dio del fiume, e Portuno era invece il Dio degli attraversamenti d'acqua e dei "passaggi" dai guadi ai traghetti, un po' come il medioevale San Cristoforo che appunto trae vita dal mito di Portuno e vedremo perchè.
Nell'iconografia Portuno veniva rappresentato con le chiavi in mano, in quanto protettore delle porte, un particolare poi ripreso dalla figura di San Pietro che è munito anch'esso di due chiavi, una d'oro e una d'argento. La chiave dorata, che punta a destra, alluderebbe al potere sul regno dei cieli.
Viene da chiedersi che potere avesse S.Pietro sul Paradiso, a meno che non alluda, e forse è così, al potere di farci entrare o meno le anime dei defunti. Quella d'argento, posta a sinistra, indicherebbe invece l'autorità spirituale del papato in terra, motivata soprattutto dall'autorità del suo potere temporale.
SAN CRISTOFORO CINOCEFALO |
SAN CRISTOFORO CINOCEFALO
In diversi dipinti San Cristoforo appare come cinocefalo, cioè con testa da cane, in realtà è una riedizione del Dio egizio Anubis, il Dio dalla testa di sciacallo, un Dio che accompagna Iside nel suo viaggio nell'oltretomba onde recuperare le parti del corpo mutilato di suo marito il Dio Osiride.
Il viaggio si compie via fiume ma allude ovviamente a un viaggio negli inferi. Ciò perchè Anubis è colui che accompagna i morti nell'oltretomba, il che fa comprendere che San Cristoforo fu visto come traghettatore dei morti negli inferi, insomma una specie di Caronte.
In questo senso avrebbe un significato la purificazione delle chiavi gettandole nel fuoco. Teniamo conto però che il termine purificazione per i romani non era associato ad un significato di lavare le colpe come nel cattolicesimo, ma di togliere dal presente ogni traccia dolorosa del passato, ad esempio cancellare la morte dalla vita.
E quale morte se non quella in guerra, quella guerra che era tanto perseguita dai giovani romani in parte come destino ineluttabile ma in parte come speranza di gloria e plauso della sua gens e dei concittadini?
Le chiavi simboleggiano pertanto il passaggio dal mondo dei vivi al mondo degli inferi e purificando le chiavi nel fuoco queste tornavano al loro valore attuale, quello del passaggio dei vivi, pertanto salire sulle navi per andare a combattere i nemici auspicava solo vittoria e ritorno.
DIO EGIZIO ANUBIS IL TRAGHETTATORE DELLE ANIME |
Dunque le chiavi consentivano o impedivano il passaggio, dunque con un duplice significato, a seconda che si trattasse di vivi e di defunti.
Per i vivi non passare tra i defunti e per i morti potersi trasferire nel mondo dell'Ade, cioè trovare la pace nella morte.
Un'altra attestazione si rintraccia nella Valle del Cesano, vicino a Corinaldo in provincia di Ancona, dunque presso l’Adriatico.
Un’antica chiesa, un tempo denominata Santa Maria in Portuno (nel XIII secolo ribattezzata Santa Maria del Piano) attesta un preesistente tempio pagano dedicato alla divinità marina. Recenti scavi archeologici hanno rinvenuto in loco fondamenta e fornaci romane.
Dunque San Cristoforo è una riedizione dell'antico traghettatore delle anime che per l'occasione diventa traghettatore di Gesù, ma siccome i cristiani non la potevano passare liscia, il divino bambino pesa come un macigno, perchè il cristiano deve sopportare su di sè il peso del mondo.
IL FIGLIO DELLA DEA
In realtà la Dea italica Mater Matuta aveva un figlio, appunto Portunus, proprio nell'aspetto di Dea marina, una delle qualità della Dea.
PORTUNUS |
Anticamente il luogo si chiamava Foro Boario, poco distante dal Tempio di Ercole e dal più antico porto tiberino, che si estendeva a nord del tempio e del quale rimangono alcuni muraglioni.
La divinità collegata al porto fluviale, porto che era negl'immediati paraggi, nella zona ora occupata dall'attuale edificio dell'Anagrafe.
Il tempio, prossimo al Tevere, che volta le spalle al foro Boario, è uno dei pochi dell'età repubblicana arrivato integro.
La dicitura di tempio della Fortuna virile è riconducibile alla Dea Fortuna cui i giovani lasciavano la toga praetexta entrando nella virilità.
Servio Tullio, particolarmente devoto alla Dea Fortuna, dedicò un tempio proprio nel Foro Boario, per cui tutto lascia presupporre che fosse la dedica più antica, trasformata poi in Mater Matuta con figlio Portunus in braccio, e infine dedicata al solo Dio Portunus.
TEMPIO DI PORTUNO AL FORO BOARIO (PIAZZA DELLA BOCCA DELLA VERITA' A ROMA) |
LA FESTA
I sacerdoti iniziavano la processione di buon'ora con delle barche inghirlandate che scorrevano sul Tevere dove le acque venivano benedette, per la buona navigazione e già che c'erano pure per la pesca. Vi partecipavano dunque i marinai romani che combattevano sulle navi, ma pure gli addetti al porto e i pescatori.
Le ghirlande venivano poi gettate nel Tevere e seguiva poi la cerimonia ai piedi del tempio Portunno dove venivano gettate nel fuoco le chiavi del tempio e venivano non bruciati ma grigliati sui numerosi bracieri preparati all'occorrenza sempre ai piedi del tempio, una lunga serie di pesci che venivano poi divisi tra la popolazione. In pratica un cibo benedetto.
Seguiva poi la sfilata delle barche da pesca a loro volta inghirlandate con i marinai che cantavano e bevevano fino a notte quando si accendevano le torce e il Tevere notturno s'illuminava come le sue rive. Sembra che per l'occasione si lanciassero in acqua vari amuleti che proteggessero le navi romane dagli attacchi nemici. la festa terminava quando si spegnevano le fiaccole.
BIBLIO
- Publio Ovidio Nasone - Fasti - VI - 545-547 -
- Publio Virgilio Marone - Eneide - V - 241 -
- Howard Hayes Scullard - Festivals and ceremonies of the Roman republic - 1981 -
- William Warde Fowler - The Roman Festivals of the Period of the Republic - Londra - 1908 -
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