GENIO DI ROMA CON LE INSEGNE DEL TRIONFO - ARCO DI SETTIMIO SEVERO |
Non sappiamo quanto sia antica l'idea del genio, sicuramente antichissima, perchè legata alla religione animistica, anteriore addirittura agli Dei Indiges di Roma. Il Genio che funge da accompagnatore del Dio, risale però all'età repubblicana: vedi l'iscrizione dedicatoria a Giove Libero ed al suo Genio, a Furfo, del 58 a.c. (C. I. L., ix, 3513). Anche le divinità femminili potevano di conseguenza avere un Genio, come ad esempio il Genio della Vittoria, il Genio di Giunone Sospita, e così via. Da ciò diviene chiaro che la mascolinità del Genio non è necessariamente originaria.
Ma il Genio di Roma era maschio?
GENIUS PERSONALE
Anticamente maschio e femmina, il Genius, o Genio, o Genia, (colui o colei che genera, da cui il termine Gens, Genitale, Genìa, Geniale) è uno spirito tutelare e vitale dell'uomo romano tanto pubblico quanto privato. Egli infatti accompagna ogni essere umano dal giorno della nascita fino all'ora della morte.
La donna romana era anche lei, in tempi arcaici, dotata di Genius, ma sembra poi modificarsi, dotata non più di Genius ma di una certa Iuno, non meglio identificata, soltanto a lei associata. Da Iuno proviene Giunone e pure Iuppiter (pater Iunonis). Da codesto Genius, riscontrabile anche nella Lasa Etrusca, ma pure nel Daimon greco, nasce l'angelo custode cattolico. Si dice però che il Genius romano non avesse niente a che fare con quello greco o etrusco, e che fosse squisitamente romano, o almeno laziale.
Se però gli etruschi immaginarono questo genio come femmina, e se invece i greci l'immaginarono come maschio, e altrettanto maschio l'immaginarono i romani, la chiesa cattolica l'ha immaginato, per complicate e tortuose ragioni, privo assolutamente di sesso. Per indicare una diatriba senza senso si usa dire che si sta discutendo sul sesso degli angeli, che altri non sono che la Lasa, il Daimon e il Genio antichi.
Servio ci informa che nel giorno del proprio compleanno ci si rivolgeva all'adorazione del Genius toccandosi la fronte, che per i Romani era la sede della creazione dei pensieri: “Frontem Genio (esse consecratam) unde venerantes deus tangimus frontem”. C'è poco da stupirsene, i romani erano un popolo molto razionale. Con la razionalità amministrava un impero e risolveva le guerre, per questo ebbe tanto successo.
IL GENIUS FAMILIARE
Era quello del larario, in realtà del capo famiglia che presiedeva al suo rito quotidiano. Secondo alcuni i due serpenti rappresentati nei larari delle dimore romane, vedi Pompei, simboleggiavano i geni della moglie e del marito, ma il caduceo aveva due serpenti in armonia avvolti intorno al bastone apollineo della ragione, e il serpente da sempre ha simboleggiato l'istinto e la terra. Non a caso era il simbolo e il Genio della Madre Terra.
In molti casi era raffigurato con altre divinità, specialmente i Lari. Non di rado lo spirito geniale veniva associato al serpente, anche se a tale riguardo il sommo Virgilio aveva espresso dei dubbi.
Se però gli etruschi immaginarono questo genio come femmina, e se invece i greci l'immaginarono come maschio, e altrettanto maschio l'immaginarono i romani, la chiesa cattolica l'ha immaginato, per complicate e tortuose ragioni, privo assolutamente di sesso. Per indicare una diatriba senza senso si usa dire che si sta discutendo sul sesso degli angeli, che altri non sono che la Lasa, il Daimon e il Genio antichi.
Servio ci informa che nel giorno del proprio compleanno ci si rivolgeva all'adorazione del Genius toccandosi la fronte, che per i Romani era la sede della creazione dei pensieri: “Frontem Genio (esse consecratam) unde venerantes deus tangimus frontem”. C'è poco da stupirsene, i romani erano un popolo molto razionale. Con la razionalità amministrava un impero e risolveva le guerre, per questo ebbe tanto successo.
IL GENIUS FAMILIARE
Era quello del larario, in realtà del capo famiglia che presiedeva al suo rito quotidiano. Secondo alcuni i due serpenti rappresentati nei larari delle dimore romane, vedi Pompei, simboleggiavano i geni della moglie e del marito, ma il caduceo aveva due serpenti in armonia avvolti intorno al bastone apollineo della ragione, e il serpente da sempre ha simboleggiato l'istinto e la terra. Non a caso era il simbolo e il Genio della Madre Terra.
In molti casi era raffigurato con altre divinità, specialmente i Lari. Non di rado lo spirito geniale veniva associato al serpente, anche se a tale riguardo il sommo Virgilio aveva espresso dei dubbi.
IL GENIUS DELL'IMPERATORE
Il Genius Augusti era commisto al Genius Publicus. Il Genius Augusti è visibile ancora oggi ai Musei Vaticani, dove è conservata la splendida statua in marmo, tanto amato dai romani, che nemmeno gli autori cattolici osarono denigrare la sua figura, anzi papa Innocenzo III si inventò, e narrò, che il senato voleva adorare come un Dio Ottaviano per aver riunito e pacificato tutto il mondo; per cui l'Augusto interrogò la Sibilla per sapere se mai sarebbe nato nel mondo qualcuno più grande di lui.
Apparve allora un cerchio d’oro attorno al sole con una vergine bellissima che teneva in braccio un fanciullo, e una voce disse: - Questa è l’ara del cielo! - allora la Sibilla: - Questo fanciullo è più grande di te; adoralo. -
IL GENIUS DEL SENATO ROMANO
Il Genio del Senato viene rappresentato, senza eccezioni, barbuto. Di certo è maschio e pure senior, d'altronde Senatus viene da Senior. Le rappresentazioni più antiche del busto barbuto del Genio del Senato si trovano su monete delle province senatorie che ultimamente sono state raccolte dal Forni.
Il Genius Augusti era commisto al Genius Publicus. Il Genius Augusti è visibile ancora oggi ai Musei Vaticani, dove è conservata la splendida statua in marmo, tanto amato dai romani, che nemmeno gli autori cattolici osarono denigrare la sua figura, anzi papa Innocenzo III si inventò, e narrò, che il senato voleva adorare come un Dio Ottaviano per aver riunito e pacificato tutto il mondo; per cui l'Augusto interrogò la Sibilla per sapere se mai sarebbe nato nel mondo qualcuno più grande di lui.
Apparve allora un cerchio d’oro attorno al sole con una vergine bellissima che teneva in braccio un fanciullo, e una voce disse: - Questa è l’ara del cielo! - allora la Sibilla: - Questo fanciullo è più grande di te; adoralo. -
IL GENIUS DEL SENATO ROMANO
Il Genio del Senato viene rappresentato, senza eccezioni, barbuto. Di certo è maschio e pure senior, d'altronde Senatus viene da Senior. Le rappresentazioni più antiche del busto barbuto del Genio del Senato si trovano su monete delle province senatorie che ultimamente sono state raccolte dal Forni.
Su importanti rilievi storici appare barbuto, vestito come i senatori con scettro, sempre senza la cornucopia.
Lo studioso Filippo Magi lo ha riconosciuto sui rilievi flavî della Cancelleria e compare inoltre, sin dall'epoca flavio traianea, sui seguenti monumenti importanti:
- sull'arco di Tito,
- sull'arco di Traiano a Benevento,
- sulla base Antonino Pio nella Villa Doria-Pamphili,
- sul rilievo con l'adventus di Adriano nel Palazzo dei Conservatori,
- sui rilievi antoniniani dell'arco di Costantino
- sul sarcofago di Acilia nel Museo delle Terme.
Ovviamente la sua importanza è molto inferiore a quella del Genius Populi Romani; si ha anzi la netta impressione che sia una creazione voluta dal Senato da contrapporre al Genius Augusti e degli imperatori e al Genius Populi Romani.
IL GENIUS DEGLI DEI
Ma c'è un altro Genio importante e nel I secolo a.c. troviamo il Genius correlato a diverse divinità: - Iovis Genius (il Genio di Giove);
- Priapi Genius (il Genio di Priapo);
- Genius Martis (il Genio di Marte);
- Genius Iunonis Sospitae (il Genio di Giunone);
- Genius Victoriae (il Genio della Vittoria).
- Priapi Genius (il Genio di Priapo);
- Genius Martis (il Genio di Marte);
- Genius Iunonis Sospitae (il Genio di Giunone);
- Genius Victoriae (il Genio della Vittoria).
Era impegnativo mettersi in rapporto con la divinità ma era più facile collegarsi col suo Genio. Il Genio di Marte per esempio non concedeva la vittoria ma in qualche modo la ispirava, ovvero suggeriva qualcosa che poteva facilitarla, non era un autore ma un suggeritore.
GENIUS LOCI
Il Genius Loci fa parte dell'antichissima religione animistica, e nessuno avrebbe varcato l'area di una località sconosciuta in territorio non urbano, senza raccomandarsi al genius Loci con una preghiera, una coppa d'acqua versta a terra e magari se possibile una di vino, o magari un pezzetto di focaccia.
Un Genius Loci con le sembianze di un serpente fu intravisto da Enea, sulla cui veridicità l’eroe aveva espresso le sue riserve. Ancora Servio, al contrario, confermerà che l’apparizione sostanziatasi a Enea era l'effettivaentità geniale: “Nullus enim locus sine Genio, qui per anguem plerumque ostenditur”.
GENIUS LOCI
Il Genius Loci fa parte dell'antichissima religione animistica, e nessuno avrebbe varcato l'area di una località sconosciuta in territorio non urbano, senza raccomandarsi al genius Loci con una preghiera, una coppa d'acqua versta a terra e magari se possibile una di vino, o magari un pezzetto di focaccia.
Un Genius Loci con le sembianze di un serpente fu intravisto da Enea, sulla cui veridicità l’eroe aveva espresso le sue riserve. Ancora Servio, al contrario, confermerà che l’apparizione sostanziatasi a Enea era l'effettivaentità geniale: “Nullus enim locus sine Genio, qui per anguem plerumque ostenditur”.
In effetti il ritrovamento di un'iscrizione nella città di Ercolano, tracciata accanto a un altare, attorno al quale si trovava un serpente raffigurato mentre divora l’offerta ricevuta: “Genius huius locis montis”, lo confermerebbe.
GENIUS POPULI ROMANI
Vero è che il Genio della città di Roma non sarebbe determinato nel sesso, come si poteva leggere sullo scudo capitolino: "genio urbis Romae sive mas sive femina" (Serv., ad Aen., ii, 351), ma è anche vero che l'aspetto lo aveva da maschio, specie quello rappresentato nel bassorilievo dell'arco di Settimio Severo, che brandisce un bastone con la spoglia opima, insomma un trofeo.
Vero è che il Genio della città di Roma non sarebbe determinato nel sesso, come si poteva leggere sullo scudo capitolino: "genio urbis Romae sive mas sive femina" (Serv., ad Aen., ii, 351), ma è anche vero che l'aspetto lo aveva da maschio, specie quello rappresentato nel bassorilievo dell'arco di Settimio Severo, che brandisce un bastone con la spoglia opima, insomma un trofeo.
GENIUS POPULI ROMANI |
Date le dimensioni eccezionali della statua, si presuppone provenga da un importante edificio pubblico. I fiori nella mano sinistra, invece, sono un'immissione, abbastanza indebita, di Carlo Albacini (1734 — 1813).
E' difficile pensare a una cornucopia che getti fiori, solitamente una cornucopia genera frutta e spighe, cioè nutrimento per gli uomini, i fiori sono invece un appannaggio femminile, per questo a tutt'oggi si regalano solo alle donne.
Inizialmente si pensava che la scultura fosse stata rinvenuta alle terme di Caracalla a Roma. Ma la rappresentazione del Lare Farnese in un disegno realizzato dall'artista olandese Maarten van Heemskerck, di data anteriore allo scavo delle terme romane, lo smentisce. Più probabilmente, invece, l'opera proviene da villa Madama.
La figura, nelle gambe e nelle spalle da legionario fa pensare a un miles, ma il volto riccioluto, pienotto e piuttosto imberbe fa pensare ad un efebo.
GENIUS PUBLICUS
Difficile definire la differenza tra Genius Publicus e Genius Populi Romani, che la stragrande maggioranza degli studiosi fanno coincidere. Di norma, il Genius Publicus aveva come attributo un diadema, ma talvolta questo veniva sostituito da un calathos, un cesto fatto di giunco intrecciato o di vimini, a forma di un calice stretto con la sua base gradualmente allargata. Lo conferma la descrizione della statua d’oro dedicata al Genio che Aureliano pose sui rostri del Foro.
FESTA DEL GENIUS PUBLICUS
La ricorrenza del Genius Publicus cadeva il 9 ottobre e in quel giorno si offriva il sacrificio di diversi animali:
“- Iovi bovem marem,
- Iunoni vaccam,
- Minervae vaccam,
- Saluti vaccam,
- Victoriae vaccam,
- Genio populi Romani taurum,
- Genio ipsius taurum”.
Nel calendario di Furio Dionisio Filocalo, era riportata la festa dedicata al Genio nei giorni 11 e 12 febbraio del 354 d.c., detta dei "Ludi Genialici" che contemplavano feste solenni e giochi nel circo.Successivamente il Genio imperiale venne usato anche nei giuramenti; durante il regno di Settimio Severo veniva punito chi giurava il falso sul Genio del principe, come testimonia Ulpiano.
La figura del Genius Publicus Romani è la prefazione al vero Genius dei romani, e cioè al Genio Militare, termine ancora oggi in uso, insomma al Genius dell'Esercito Romano, a cui Roma dovette tutto: onore, ricchezza, gloria, arte e civiltà.
GENIUS EXERCITUS CON LA CORNUCOPIA E LE INSEGNE DELLE LEGIONI |
GENIUS EXERCITI ROMANI
E' in assoluto il Genio più importante di Roma, senza di esso le frontiere dell'Impero vengono violate e le città distrutte. Tutti i Romani lo pregano, figurarsi gli imperatori e l'esercito. Lo illustra la figura all'inizio, come un giovane con gladio, lancia e armatura, ma il gladio è rovesciato, come a dire che è impugnato più per l'offesa che la difesa, il che fu vero per un lungo tempo. In effetti Roma affrontò una larga parte del mondo conosciuto.
Stranamente questo è stato molto criticato soprattutto ai nostri giorni, ma stranamente nessuno ha mai osato criticare per gli stessi motivi Alessandro Magno, che pure da solo riuscì a sottomettere perfino l'India.
RODOLFO LANCIANI
1480, 12 giugno. ARCVS SEVERI
« Ex riiinis quibusdam effossis apud arcum L. Septimii ad radices Capitolii » viene alla luce il piedistallo CIL. 234, dedicato « Genio exercitus ».
ECATOSTYLON. Circa questi tempi il card. Francesca Piccolomini fabbrica il suo splendido palazzo in piazza di s. Siena (s, Andrea della Valle). Ne era principale ornamento il gruppo, oggi senese, delle Grazie, intorno l' origine del quale vedi Bull. com. 1886, p. 345, e 1899, p. 104. Fra Giocondo, Chatsworth, e. Ili, ne parla quasi con le stesse parole trascritte dal de Rossi, dal cod. Ashburnam, n. 905, venuto alla Laurenziana di Firenze nel 1885. Deve notarsi che quando fu fatto il trasporto del gruppo dal palazzo Colonna a quello del Piccolomini, il piedistallo restò abbandonato nel primo. Fra Giocondo dice che i versi « sunt nudae Charites etc. " erano bensì moderni, ma che la base sulla quale erano incisi sembrava a lui vetustissima.
ECATOSTYLON. Circa questi tempi il card. Francesca Piccolomini fabbrica il suo splendido palazzo in piazza di s. Siena (s, Andrea della Valle). Ne era principale ornamento il gruppo, oggi senese, delle Grazie, intorno l' origine del quale vedi Bull. com. 1886, p. 345, e 1899, p. 104. Fra Giocondo, Chatsworth, e. Ili, ne parla quasi con le stesse parole trascritte dal de Rossi, dal cod. Ashburnam, n. 905, venuto alla Laurenziana di Firenze nel 1885. Deve notarsi che quando fu fatto il trasporto del gruppo dal palazzo Colonna a quello del Piccolomini, il piedistallo restò abbandonato nel primo. Fra Giocondo dice che i versi « sunt nudae Charites etc. " erano bensì moderni, ma che la base sulla quale erano incisi sembrava a lui vetustissima.
La riforma mariana dell'esercito non di leva ma permanente, la durata in armi per molto tempo di appartenenti alla stessa unità, dovuta al prolungarsi delle campagne militari rispetto alle prime dell'era repubblicana, portò alla creazione dello spirito di corpo, incentivato dal console Mario, che in occasione di una campagna contro i Galli, assegnò alla fine del II secolo a.c. delle aquile e delle insegne alle legioni per simboleggiarne il Genius Exerciti più inerente a una determinata legione.
I veterani congedati con onore (honesta missio) potevano fregiarsi di questo titolo anche nella società civile, come si può vedere dalle iscrizioni su alcune tombe che recano la scritta M.H.M "missus honesta missione" e questo fregio gli assicurava il rispetto e la benevolenza della popolazione. Se un veterano congedato con "honesta missio" testimoniava in tribunale, quella testimonianza era molto credibile.
Verso la fine dell'epoca repubblicana, le legioni vennero battezzate con nomi e ricevettero dei titoli in occasioni di atti di valore e l'identificazione dei combattenti con l'unità di appartenenza divenne un tratto caratteristico dei soldati romani. L'impero mutuò le tradizioni militari repubblicane e le applicò con durezza. Tito congedò con disonore un soldato riuscito a fuggire dalla prigionia, per ribadire il concetto che nessun romano doveva farsi catturare vivo.
La perdita delle armi in battaglia era soggetta a pene severe nonché al disonore (a parte l'ingente costo delle stesse), perciò lo storico Polibio riporta che i soldati preferivano lanciarsi nuovamente nella battaglia per recuperare le armi perse, piuttosto che fronteggiare la condizione di disarmato. L'insieme di queste norme portò alla codificazione dei comportamenti virtuosi che si innestarono sulle credenze religiose dell'epoca.
Disciplina, Honos e Virtus vennero considerate divinità del pantheon a cui era dovuta devozione e i soldati veneravano sugli altari il Genius, la rappresentazione dello spirito della legione o della unità di appartenenza, ma soprattutto il Genius Militaris di Roma.
Le aquile venivano festeggiate il giorno del loro anniversario (natalis aquilae) e il perderle in battaglia avrebbe costituito un disonore enorme, per cui interi reparti preferivano lanciarsi in battaglie incuranti del pericolo personale. Un'etica così forte nei confronti dei simboli di corpo, delle tradizioni e dei commilitoni, non riguardava ovviamente i nemici.
SOTTOCLASSI DEL GENIUS EXERCITUS:
- Genius c(ollegii) c(entonariorum) Albensium Pompeianorum (CIL, V, 7595)
- Genius collegii iumentariorum (CIL, VI, 4211)
- Genius collegii tibicinum Romanorum (CIL, VI, 240)
- Genius centuriae (CIL, VI, 207-211; 213-214; 217; 220-221)
- Genius cohortis (CIL, VI, 233)
- Genius cohortium praetorianorum (CIL, VI, 216)
- Genius sanctus Kast(rorum) per(egrinorum) totiusque exercitus (CIL, VI, 36748)
- Genius n(umeri) equitum singularium (CIL, 31181)
- Genius tabularii cohortis II (CIL, VI, 30886)
- Genius turmae (CIL, VI, 225)
L'ETICA DEL GENIUS EXERCITI
"Murum aries attigit" fu un precetto di Giulio Cesare, per una città sotto assedio aveva tempo per arrendersi prima che l'ariete da guerra colpisse la prima volta le mura fortificate. Dopo l'evento, tutti gli abitanti indistintamente sarebbero stati uccisi e qualunque richiesta di tregua o proposta di resa successiva sarebbe stata ignorata."
(De bello Gallico, libro II, capitolo XXXII).
La clemenza di Cesare fu riconosciuta e famosa ovunque ma qui si trattava di strategia di guerra. Cesare fece si che se una tribù si arrendeva egli le rendeva tutti gli onori evitando gli stupri, le ritorsioni e il saccheggio, cosa che i nemici non facevano. I nemici di Cesare potevano contare sulla sua lealtà in caso di resa, i romani non potevano contare altrettanto sui barbari.
Altrettanto dicasi per gli ambasciatori: il console Marco Licinio Crasso, triumviro insieme a Cesare e Pompeo, venne catturato dai Parti, e poi torturato e ucciso, mentre si era incontrato per trattare dopo la sconfitta nella battaglia di Carre del 53 a.c.. Per non parlare di Valeriano, che nel 260 venne fatto prigioniero dall'Imperatore sasanide Sapore I che lo aveva invitato ad un incontro proponendogli la pace dopo la battaglia di Edessa. Morì per maltrattamenti poco tempo dopo.
BIBLIO
- George Dumezil - La religione romana arcaica - a cura di Furio Jesi - Rizzoli Editore - Milano - 1977 -
- Mary Beard, John North e Simon Price - Religions of Rome: A History - Cambridge University Press - 1998 -
- R. Del Ponte - La religione dei romani - Rusconi - Milano - 1992 -
- K. Kerényi - La religione antica nelle sue linee fondamentali - Astrolabio - Roma - 1951 -
- U. Lugli - Miti velati. La mitologia romana come problema storiografico - ECIG - Genova - 1996 -
La perdita delle armi in battaglia era soggetta a pene severe nonché al disonore (a parte l'ingente costo delle stesse), perciò lo storico Polibio riporta che i soldati preferivano lanciarsi nuovamente nella battaglia per recuperare le armi perse, piuttosto che fronteggiare la condizione di disarmato. L'insieme di queste norme portò alla codificazione dei comportamenti virtuosi che si innestarono sulle credenze religiose dell'epoca.
Le aquile venivano festeggiate il giorno del loro anniversario (natalis aquilae) e il perderle in battaglia avrebbe costituito un disonore enorme, per cui interi reparti preferivano lanciarsi in battaglie incuranti del pericolo personale. Un'etica così forte nei confronti dei simboli di corpo, delle tradizioni e dei commilitoni, non riguardava ovviamente i nemici.
SOTTOCLASSI DEL GENIUS EXERCITUS:
- Genius c(ollegii) c(entonariorum) Albensium Pompeianorum (CIL, V, 7595)
- Genius collegii iumentariorum (CIL, VI, 4211)
- Genius collegii tibicinum Romanorum (CIL, VI, 240)
- Genius centuriae (CIL, VI, 207-211; 213-214; 217; 220-221)
- Genius cohortis (CIL, VI, 233)
- Genius cohortium praetorianorum (CIL, VI, 216)
- Genius sanctus Kast(rorum) per(egrinorum) totiusque exercitus (CIL, VI, 36748)
- Genius n(umeri) equitum singularium (CIL, 31181)
- Genius tabularii cohortis II (CIL, VI, 30886)
- Genius turmae (CIL, VI, 225)
L'ETICA DEL GENIUS EXERCITI
"Murum aries attigit" fu un precetto di Giulio Cesare, per una città sotto assedio aveva tempo per arrendersi prima che l'ariete da guerra colpisse la prima volta le mura fortificate. Dopo l'evento, tutti gli abitanti indistintamente sarebbero stati uccisi e qualunque richiesta di tregua o proposta di resa successiva sarebbe stata ignorata."
(De bello Gallico, libro II, capitolo XXXII).
La clemenza di Cesare fu riconosciuta e famosa ovunque ma qui si trattava di strategia di guerra. Cesare fece si che se una tribù si arrendeva egli le rendeva tutti gli onori evitando gli stupri, le ritorsioni e il saccheggio, cosa che i nemici non facevano. I nemici di Cesare potevano contare sulla sua lealtà in caso di resa, i romani non potevano contare altrettanto sui barbari.
Altrettanto dicasi per gli ambasciatori: il console Marco Licinio Crasso, triumviro insieme a Cesare e Pompeo, venne catturato dai Parti, e poi torturato e ucciso, mentre si era incontrato per trattare dopo la sconfitta nella battaglia di Carre del 53 a.c.. Per non parlare di Valeriano, che nel 260 venne fatto prigioniero dall'Imperatore sasanide Sapore I che lo aveva invitato ad un incontro proponendogli la pace dopo la battaglia di Edessa. Morì per maltrattamenti poco tempo dopo.
BIBLIO
- George Dumezil - La religione romana arcaica - a cura di Furio Jesi - Rizzoli Editore - Milano - 1977 -
- Mary Beard, John North e Simon Price - Religions of Rome: A History - Cambridge University Press - 1998 -
- R. Del Ponte - La religione dei romani - Rusconi - Milano - 1992 -
- K. Kerényi - La religione antica nelle sue linee fondamentali - Astrolabio - Roma - 1951 -
- U. Lugli - Miti velati. La mitologia romana come problema storiografico - ECIG - Genova - 1996 -
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