POMONA - LOUVRE |
« - Ne la loggietta di questa casa si vede la copia in pie vestita et intiera, e tiene il suo corno in mano pieno di frutti...
- Vi è anco una Pomona intiera che era la Dea de' frutti.
- Vi è uno Aristide assiso, ma non la testa.
- Vi sono anco alcuni altri busti antichi.
- Sopra la casa, dicono, che vi è un bellissimo Bacco intiero in pie, e che se ne doveva fare un presente ad un gran principe ». -
(RODOLFO LANCIANI)
Pomona è la Dea romana dei frutti, chiamata perciò "Patrona pomorum", "signora dei frutti", non solo di quelli che crescono sugli alberi, ma anche dell'olivo e della vite, le piante sacre con cui si nutrivano i romani. Il nome della Dea deriva chiaramente da pomum, "frutto". Viene in genere rappresentata come una Dea che accoglie frutti nel lembo della sua veste, o che regge un cesto di frutta, o una cornucopia.
Tuttavia da diversi autori fu considerata una Ninfa, seppur "riguardevole per bellezza non meno che per abilità nel coltivare i giardini e gli alberi fruttiferi,
così chiamata da pomum, pomo. Tutti gli Dei campestri andavano a gara per sedurla. Vertunno fu degli
altri più fortunato, dopo aver ricorso a diverse trasformazioni.
Pomona viene rappresentata seduta sopra un gran paniere di frutti, portando nella sinistra alcuni pomi, e nella destra una falciola. Indossa
una veste dipinta a frutti e fiori, con in testa una
corona di fiori e frutta intrecciati insieme, e specialmente di pomi. Oppure si rappresenta in piedi con frutti vari raccolti nel grembo mediante la veste
Non si conoscono feste (Pomonalia) in suo onore, né dai calendari antichi giunti fino a noi, né dalle fonti letterarie classiche. Lo studioso Georg Wissowa ha ipotizzato che la festività di Pomona fosse mobile e determinata dal momento della fruttificazione delle colture.
Cosa probabile perchè al culto della Dea era preposto un flamine minore, il flamine pomonale, che nell'ordo sacerdotum era il meno importante di tutti. Per forza, era un'antichissima Dea, un tempo potente e pian piano decaduta, ma comunque ancora degna di un suo esclusivo flamine,
Comunque un tempio lo aveva altrimenti non avrebbe avuto il flamine, ed era sull'Aventino. Ovidio invece la descrive con una falce nella mano destra. Cosa miete la Dea munita di falce? Di solito la falce mieteva la messe matura e la vita degli uomini.
Ed ecco di nuovo l'antica Dea, la Dea Triforme, che nel suo aspetto autunnale raccoglie di frutti di una vita e prepara alla morte, della natura e pure degli uomini. I romani, e pure i greci, amavano il frutto del melograno ricco di simbolismi: era l'ultimo frutto dell'autunno, o il frutto maturava e lasciava cadere i suoi semi per la nuova pianta, o la vecchia pianta si estingueva. Di nuovo l'autunno con i suoi frutti.
VERTUMNO
Secondo Ovidio Pomona sarebbe stata insidiata da varie divinità delle selve, tra le quali i Satiri, ma solo il Dio Vertumno l'avrebbe amata davvero, l'avrebbe lungamente corteggiata e alla fine l'avrebbe conquistata. Naturalmente questo mito è tardivo.
Vertumno è un Dio di origine etrusca (Voltumna o Veltumna), che personificava il mutamento di stagione presiedendo alla maturazione dei frutti. Gli si attribuiva il dono di trasformarsi in tutte le forme che voleva. Il suo nome deriva dalla stessa radice indoeuropea del verbo latino vertere: girare, cambiare, dal sanscrito: vártate, con le sue varie derivazioni italiane: voltare, vorticare, divertire, pervertire, volgere verso etc.
Vertumno si trasformò dunque in una vecchia per poter avvicinare la Dea Pomona. Conquistò la sua fiducia, ammirò la sua bellezza e quella del suo giardino e osservò un forte e maestoso olmo avvolto da uno splendido e rigoglioso tralcio di vite.
Un mito molto ingenuo che non ha un suo perchè, a meno che, ed è molto probabile, non fu un tentativo di far rivivere la Vegliarda, uno dei tre aspetti della Dea Natura che anche Pomona accoglieva in sè: la Ninfa, la Madre e la Vegliarda.
Il Veltumna etrusco fu protettore della città di Volsinii e titolare del vicino santuario federale della Lega delle dodici città etrusche (dodecapoli) (Fanum Voltumnae).
Sembra che presso altri popoli italici siano state venerate divinità di nome (e probabilmente di funzione) simile a Pomona, ma che siano di genere maschile anziché femminile.
Il filologo classico tedesco Georg Wissowa ha ipotizzato, e non senza ragione, che Pomona avesse una sua festività ma che non cadesse in una data fissa, bensì fosse stabilita dai momenti di maggiore fertilità.
IL RE PICO
Ma la tradizione latina non ricorda la Dea romana della frutta come moglie di Vertumno, bensì come sposa del re Pico, la cui storia è tramandata da Ovidio e Virgilio, rispettivamente nelle Metamorfosi e nell’Eneide.
L’interno di questa sala è caratterizzato da una quindicina di colonne di stile ionico unite tra di loro da un arco gotico a sesto acuto. I capitelli, sempre di stile ionico, sono costituiti da quattro teste di donna, poi attribuite alla Dea Pomona, e una lastra quadrata a coronamento del capitello formata da facce concave.
- Gaio Plinio Secondo - Naturalis Historia - XXII, 2 - «ego sucum vini, liquorem olei gigno, ego palmas et poma».
- Giovanni Mennella - Su di un presunto culto di Pomona in Lunigiana - Giornale Storico della Lunigiana e del territorio lucense - . 1993 -
- Elisabetta Landi - Pomona Dea dei frutti mito e iconografia - E. Baldini, Miti, arte e scienza nella pomologia italiana - Roma - 2008 -
Non si conoscono feste (Pomonalia) in suo onore, né dai calendari antichi giunti fino a noi, né dalle fonti letterarie classiche. Lo studioso Georg Wissowa ha ipotizzato che la festività di Pomona fosse mobile e determinata dal momento della fruttificazione delle colture.
Cosa probabile perchè al culto della Dea era preposto un flamine minore, il flamine pomonale, che nell'ordo sacerdotum era il meno importante di tutti. Per forza, era un'antichissima Dea, un tempo potente e pian piano decaduta, ma comunque ancora degna di un suo esclusivo flamine,
Comunque un tempio lo aveva altrimenti non avrebbe avuto il flamine, ed era sull'Aventino. Ovidio invece la descrive con una falce nella mano destra. Cosa miete la Dea munita di falce? Di solito la falce mieteva la messe matura e la vita degli uomini.
Ed ecco di nuovo l'antica Dea, la Dea Triforme, che nel suo aspetto autunnale raccoglie di frutti di una vita e prepara alla morte, della natura e pure degli uomini. I romani, e pure i greci, amavano il frutto del melograno ricco di simbolismi: era l'ultimo frutto dell'autunno, o il frutto maturava e lasciava cadere i suoi semi per la nuova pianta, o la vecchia pianta si estingueva. Di nuovo l'autunno con i suoi frutti.
LA TRIPLICE |
VERTUMNO
Secondo Ovidio Pomona sarebbe stata insidiata da varie divinità delle selve, tra le quali i Satiri, ma solo il Dio Vertumno l'avrebbe amata davvero, l'avrebbe lungamente corteggiata e alla fine l'avrebbe conquistata. Naturalmente questo mito è tardivo.
Vertumno è un Dio di origine etrusca (Voltumna o Veltumna), che personificava il mutamento di stagione presiedendo alla maturazione dei frutti. Gli si attribuiva il dono di trasformarsi in tutte le forme che voleva. Il suo nome deriva dalla stessa radice indoeuropea del verbo latino vertere: girare, cambiare, dal sanscrito: vártate, con le sue varie derivazioni italiane: voltare, vorticare, divertire, pervertire, volgere verso etc.
Non ricorda un pochino il greco Proteo, avvero il proteiforme, colui che poteva assumere tutte le forme che voleva? Era il figlio della Madre Terra, tanto è vero che Ercole, in una delle sue fatidiche fatiche, lo vinse sollevandolo dal suolo, perchè riceveva da sua madre un'incredibile forza finché stava coi piedi per terra.
Proteo, come Vertumno, era il figlio della Dea Terra, ovvero della Dea Natura che con la sua energia creava forme diversissime, dalla pietra alle piante e agli animali. Lui era il prodotto, Lei la creatrice. Coll'avvento del patriarcato il figlio della Dea divenne il Dio supremo.
Così Vertunno viene rappresentato come amante della Dea Pomona probabilmente perché Vertumno era il figlio - vegetazione annuale, quello che muore e resuscita ogni anno, ma pure Dio degli alberi da frutto, che producono frutti per poi disseccare i loro rami in Autunno.
Così Vertunno viene rappresentato come amante della Dea Pomona probabilmente perché Vertumno era il figlio - vegetazione annuale, quello che muore e resuscita ogni anno, ma pure Dio degli alberi da frutto, che producono frutti per poi disseccare i loro rami in Autunno.
LA NINFA - LA MADRE - LA VEGLIARDA
L'anziana donna disse alla ragazza che la vite, se non si fosse allacciata all'albero sarebbe rimasta per terra, afflosciata e il tronco dell'albero, senza l'abbraccio della vite sarebbe stato spoglio, senza poter vantare alcuna bellezza.
L'olmo era simbolo di Vertumno, la vite di Pomona.
Con tale allegoria Vertumno intendeva spiegare alla giovane, restia a concedersi a chiunque, che se avesse accettato di unirsi in giuste nozze con un degno giovane, tale unione avrebbe beneficato sia lei che il suo sposo, donando bellezza, gioia e prosperità a entrambi.
A questo punto si trasformò in se stesso e Pomona, vedendo la bellezza sfolgorante del giovane Dio fu sedotta dal suo aspetto e dalle parole dette poco prima, e così si unì a lui.
L'olmo era simbolo di Vertumno, la vite di Pomona.
Con tale allegoria Vertumno intendeva spiegare alla giovane, restia a concedersi a chiunque, che se avesse accettato di unirsi in giuste nozze con un degno giovane, tale unione avrebbe beneficato sia lei che il suo sposo, donando bellezza, gioia e prosperità a entrambi.
A questo punto si trasformò in se stesso e Pomona, vedendo la bellezza sfolgorante del giovane Dio fu sedotta dal suo aspetto e dalle parole dette poco prima, e così si unì a lui.
Un mito molto ingenuo che non ha un suo perchè, a meno che, ed è molto probabile, non fu un tentativo di far rivivere la Vegliarda, uno dei tre aspetti della Dea Natura che anche Pomona accoglieva in sè: la Ninfa, la Madre e la Vegliarda.
Un po' come venne infilato nel Mito della Madonna la figura di Sant'Anna ormai vecchia e madre della Vergine.
La Ninfa era l'amante, colei che si accoppia con tutti, Iside in Egitto in tale ruolo era chiamata la prostituta ed era rappresentata in finestra come stavano appunto le prostitute.
La Madre era colei che allattava, cioè che dava il nutrimento, nutrendo le piante, gli animali e l'uomo con i prodotti del suo suolo: l'ultima era la Vegliarda, cioè la Vecchia che dà la morte portando a compimento ogni vita per poi farla rinascere nel suo grembo.
Insieme le tre Dee compiono il ciclo della vita nella Natura, tre Dee in una, responsabili di:nascita, crescita e morte di tutti gli esseri senzienti. Trinità che venne anch'essa copiata dalla religione cattolica ma tutta al maschile, quindi senza parto.
IL PROTETTORE DI VOLSINII
POMONA - MUSEO ARCHEOLOGICO DI NAPOLI |
A Roma ebbe una statua bronzea presso il vicus Tuscus, all'ingresso del Foro Romano, opera di Mamurio Veturio, il famoso fabbro che produsse a Roma gli undici scudi identici all'ancile di Marte piovuto dal cielo..
Quando, poi, il console Flaminio, nel 264 a.c., sottomise anche Volsinii, egli stesso trasportò a Roma la statua di Vertumnus attraverso il rito dell'Evocatio (Festo, s.v. Picta; Properzio IV 2).
Secondo Varrone, il culto del Dio però preesisteva a Roma sul colle Palatino già dal tempo di Romolo, specificando che il culto fosse stato già introdotto a Roma dagli etruschi di Celio Vibenna venuti in aiuto di Romolo contro Tito Tazio.
Secondo Varrone, il culto del Dio però preesisteva a Roma sul colle Palatino già dal tempo di Romolo, specificando che il culto fosse stato già introdotto a Roma dagli etruschi di Celio Vibenna venuti in aiuto di Romolo contro Tito Tazio.
Lo stesso Tito Tazio, poi, divenuto regnante assieme a Romolo, eresse al Dio un'ara sul colle Aventino (Varrone, "De Lingua Latina" V 46; 74). Nel vicus Tuscus infatti esisteva una statua del Dio, la cui base è stata oggi ritrovata (CIL VI, 00804).
Sembra che presso altri popoli italici siano state venerate divinità di nome (e probabilmente di funzione) simile a Pomona, ma che siano di genere maschile anziché femminile.
Presso gli Umbri, infatti, si trova Pomo o Pomonus, attestato nelle Tavole di Gubbio dove si cita il sacrificio di una pecora a Puemune Puprike, vale a dire "a Pomono pubblico". Presso i Sabini, invece, è attestato il Dio Poemonio, citato nella Pietra di Scoppito.
PATRONA POMORUM
PATRONA POMORUM
Patrona pomorum, Pomona, è dunque l’antichissima divinità romana protettrice non solo dei frutti da raccogliere sugli alberi, ma anche delle due coltivazioni simbolo della macchia mediterranea, la vite e l’olivo.
La Dea che è spesso raffigurata con i frutti e foglie intrecciate tra i capelli come una corona bucolica, (oggi nei pressi della ventinovesima zona di Roma nell’Agro Romano, all’epoca ubicato a sud del XII miglio della via Ostiense)
La Dea che è spesso raffigurata con i frutti e foglie intrecciate tra i capelli come una corona bucolica, (oggi nei pressi della ventinovesima zona di Roma nell’Agro Romano, all’epoca ubicato a sud del XII miglio della via Ostiense)
IL RE PICO
Pico sarebbe stato uno dei primi re del Lazio, figlio di Saturno e Feronia: fondò e regnò su Alba Longa, e fondò anche la città di Laurentum, poi scomparsa.
Durante una battuta di caccia sul monte Circeo, Pico incontrò la maga Circe, che si invaghì immediatamente di lui, ma Pico la rifiutò perché le preferì Pomona. Circe allora si vendicò trasformandolo in un picchio, animale sacro al Dio Marte.
Altre versioni dipingono Pico come un Dio rurale venerato specialmente nel Piceno e in Umbria, padre di Fauno e dotato di poteri oracolari e profetici, in virtù della sua camaleontica capacità di mutare forma e trasformarsi in un picchio verde a suo piacimento.
Qui di nuovo abbiamo un muta-forma come Vertumno e Proteo, quindi figlio della Dea Terra.
Alcune fonti lo fanno sposo della ninfa Canente, ma la tradizione latina lo raffigura innamorato della Dea romana della frutta. Questo antico Dio italico, cui si ricorreva per responsi, ebbe culto fra gli Umbri, gli Equi e i Picenti.
Pico venne ritenuto figlio di Saturno, o di Sterces, padre di Fauno e avo di re Latino, re degli Aborigeni nel Lazio e fondatore della città dei Laurenti; sua moglie fu ritenuta Pomona o Canente, una ninfa figlia di Giano, oppure Circe.
Comunque il picchio era l'uccello di Marte, colui che attraverso i suoi colpi sulla corteccia degli alberi, annunciava l'avvicinarsi della morte. Un po' come il cuculo di Giunone. D'altronde Marte era Dio della guerra e la morte con la guerra è fatale.
Durante una battuta di caccia sul monte Circeo, Pico incontrò la maga Circe, che si invaghì immediatamente di lui, ma Pico la rifiutò perché le preferì Pomona. Circe allora si vendicò trasformandolo in un picchio, animale sacro al Dio Marte.
Altre versioni dipingono Pico come un Dio rurale venerato specialmente nel Piceno e in Umbria, padre di Fauno e dotato di poteri oracolari e profetici, in virtù della sua camaleontica capacità di mutare forma e trasformarsi in un picchio verde a suo piacimento.
Qui di nuovo abbiamo un muta-forma come Vertumno e Proteo, quindi figlio della Dea Terra.
Alcune fonti lo fanno sposo della ninfa Canente, ma la tradizione latina lo raffigura innamorato della Dea romana della frutta. Questo antico Dio italico, cui si ricorreva per responsi, ebbe culto fra gli Umbri, gli Equi e i Picenti.
Pico venne ritenuto figlio di Saturno, o di Sterces, padre di Fauno e avo di re Latino, re degli Aborigeni nel Lazio e fondatore della città dei Laurenti; sua moglie fu ritenuta Pomona o Canente, una ninfa figlia di Giano, oppure Circe.
Comunque il picchio era l'uccello di Marte, colui che attraverso i suoi colpi sulla corteccia degli alberi, annunciava l'avvicinarsi della morte. Un po' come il cuculo di Giunone. D'altronde Marte era Dio della guerra e la morte con la guerra è fatale.
Castel Porziano, la residenza di caccia reale, risiede sull'antico Ager Solonius dove, ci dice Festus, era situato il Pomonal o bosco sacro di Pomona, situato a sud del XII miglio della via Ostiense, che in seguito appartenne a Gaio Mario.
TEMPIO DI POMONA A SALERNO
Si sa che a Salerno esisteva un tempio dedicato alla Dea Pomona, ma non sappiamo se si trovasse nel luogo che oggi chiamiamo tempio di Pomona. Nel muro perimetrale fu rinvenuta una epigrafe di ignota provenienza, situata tra la seconda e la terza monofora, che ricorda una donazione di 50 mila sesterzi fatta da un certo Tito Tettenio Felice Augustale nel IV secolo d.c. e che consentì di realizzare i pavimenti in marmo, un ricco intonaco ed il frontone del tempio di Pomona. Il tempio dunque c'era, anche se non si sa dove, ma può darsi fosse proprio dove viene collocato oggi.
L’interno di questa sala è caratterizzato da una quindicina di colonne di stile ionico unite tra di loro da un arco gotico a sesto acuto. I capitelli, sempre di stile ionico, sono costituiti da quattro teste di donna, poi attribuite alla Dea Pomona, e una lastra quadrata a coronamento del capitello formata da facce concave.
Sembra però che tali colonne, come i blocchi di travertino che formano la base del campanile del Duomo, provengano da Paestum, come materiale di spoglio. Ma durante dei lavori di ristrutturazione del duomo, sono stati trovati resti di un tempio che non è ionico ma di epoca romana, che potrebbe essere effettivamente il tempio dedicato a Pomona. .
Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE
BIBLIO
Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE
BIBLIO
- Gaio Plinio Secondo - Naturalis Historia - XXII, 2 - «ego sucum vini, liquorem olei gigno, ego palmas et poma».
- Giovanni Mennella - Su di un presunto culto di Pomona in Lunigiana - Giornale Storico della Lunigiana e del territorio lucense - . 1993 -
- Elisabetta Landi - Pomona Dea dei frutti mito e iconografia - E. Baldini, Miti, arte e scienza nella pomologia italiana - Roma - 2008 -
- D. Sabbatucci - La religione di Roma antica - Il Saggiatore - Milano - 1989 -
- J. Scheid - La religione a Roma - Laterza - Roma-Bari - 2001-
- J. Scheid - La religione a Roma - Laterza - Roma-Bari - 2001-
- Jorg Rupke - La religione dei Romani - Torino - Einaudi - 2004 -
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