CUMA (Campania)


Ancora un ritrovamento straordinario a Cuma: stavolta emersa una grande tomba ben conservata con pitture che rappresentano una scena di banchetto

Grandi novità dagli scavi che archeologi francesi ed italiani stanno effettuando da tempo ai piedi del monte sul quale è stata ritrovata l’acropoli dell’antica città di Cuma. È stata infatti ritrovata in questi giorni una grande tomba ben conservata e tutta dipinta risalente al II secolo a.C. con sui muri una grande una scena di banchetto.

A giudicare dalla tipologia architettonica e dai corredi si ritiene che la tomba appartenesse a defunti che avevano un alto livello sociale e comunque ampia diponibilità economica. Cuma era la più antica colonia greca d’Occidente, fondata da greci attorno alla metà dell’VIII secolo a.C e si trova sulla costa dopo Pozzuoli di fronte ad Ischia.

Oggi tutta la zona è compresa nel Parco archeologico dei Campi Flegrei che sta organizzando scavi assieme a Università straniere e a tre Università partenopee.

Grazie a questi lavori in corso gli archeologi già a giugno di quest’anno hanno ritrovato una nuova tomba con decorazioni all’ingresso della camera funeraria. Nel sito sono ben chiari infatti una figura maschile nuda con nelle mani una brocca in argento e un calice e poi ai lati un tavolino, alcuni grandi vasi e un’anfora su treppiede.

Invece sulle pareti laterali ci sono scene di un paesaggio e poi decorazioni e fregi floreali con pitture di buona qualità e colori eccezionali.

Dai lavori in corso è oramai anche ben chiaro l’impianto urbanistico della antica città greca, la porta mediana, l’officina metallurgica e il tracciato dell’antica via Domiziana ma la campagna di scavo
continua anche perché si stima che Cuma era almeno due volte più grande di Pompei.



LA STORIA

Si pensa sia stata fondata nel 740 a.c. anche se la più antica documentazione archeologica risale al 725-720 a.c. Secondo la leggenda, i fondatori di Cuma furono gli Eubei di Calcide, che sotto la guida di Ippocle di Cuma Euboica e Megastene di Calcide, scelsero di approdare in quel punto della costa perché attratti dal volo di una colomba o secondo altri da un fragore di cembali.

Dopo la colonia greca Cuma fu conquistata dai Sanniti nel 438 o 421 a.c. Nella seconda metà del sec. IV a.c., con l'espansione in Campania dell'influenza romana, Cuma ottenne la civitas sine suffragio (338).

Nelle guerre puniche rimase fedele a Roma e nel 180 ottenne il diritto di servirsi della lingua latina negli atti ufficiali. Forse già prima della guerra sociale a Cuma fu concessa la cittadinanza optimo iure. Ottaviano e Agrippa ne fecero una base navale nella guerra contro Sesto Pompeo.

In seguito, nonostante la costruzione della via Domiziana, che accentuò l'importanza di Puteoli (Pozzuoli), Cuma restò una delle città più importanti della Campania.
Il decadimento della città cominciò in età longobarda: la sua distruzione avvenne nel 1203 a opera di Napoli.

Dell'antica colonia greca resta l'acropoli cinta da mura con il santuario di Apollo collegato, attraverso un cunicolo, a un lungo corridoio a sezione trapezoidale nel quale si vuol riconoscere il famoso antro della Sibilla Cumana cantato da Virgilio.
Dell'area urbana restano soprattutto i ruderi romani con la piazza porticata del foro, il Capitolium ed edifici termali (a sud della città c'era l'anfiteatro). Di grande importanza le necropoli che vanno dal sec. VIII a.c. all'età imperiale romana.

LA NECROPOLI DI CUMA

GLI SCAVI

I primi scavi furono voluti dai Borboni, tra il 1852 ed il 1857, procedendo in alcuni edifici nell’area della Masseria del Gigante e delle necropoli. Gli scavi vennero poi dati in concessione ad un privato, il colonnello Emilio Stevens (1878-1893), che effettuò lo scavo di quasi tutta l’area delle necropoli con importanti ritrovamenti illustrati metodicamente dal Gabrici. La fama di questi rinvenimenti scatenò il saccheggio delle necropoli da parte di clandestini. Un’altra parte dell’area delle necropoli andò distrutta tra il 1910 ed il 1922 quando il terreno della zona venne utilizzato per prosciugare il lago di Licola.

Nel 1911 ebbe inizio l'esplorazione dell'Acropoli, portando alla luce il tempio di Apollo. Tra il 1924 ed il 1932 si scoprirono il tempio di Giove, la Crypta e l'antro della Sibilla. Un'altra campagna di scavo ebbe luogo nella parte bassa della città tra il 1938 ed il 1953. 

Da allora sono stati effettuati soltanto interventi consolidamento:
il "Sepolcro della Sibilla" nel 1962 -1965 
- il "Tempio con portico" nel 1971-72
o di emergenza 
- tratti di strada romana lungo la Via Cuma-Licola nel 1975 
- necropoli nell’area del depuratore di Cuma nel 1978-82 ed in Località Convento nel 1983-85.

Nel 1992 durante gli scavi del metanodotto della SNAM sulla spiaggia antistante l'Acropoli., emerge - un tempio dedicato alla Dea egizia Iside,  I sec. a.c. - I sec. d.c.

Dal 1994 è in corso il Progetto Kyme, un programma di studi e scavi che ha rimesso in luce 
- la "Tomba a tholos", già scavata nel 1902, 
- mentre un saggio di scavo lungo il percorso settentrionale delle mura ha portato alla luce la porta di uscita verso Liternum della Via Domiziana.

- Nell’area del foro è emerso un impianto bizantino a sei fornaci per la lavorazione della calce; si è completato lo scavo di un vasto edificio basicale già detto "aula sillana"; infine si è proceduto allo scavo del tempio su podio sul quale si è impiantata la cosiddetta "Masseria del gigante". Nell’area portuale altri scavi hanno portato al rinvenimento dei resti di almeno tre ville marittime.

TEMPIO DI APOLLO

IL MISTERO DELLA SIBILLA

Il mistero non riguarda tanto il fatto che la sibilla in questione vaticinasse il vero o s'inventasse tutto, non è che la gente facesse viaggi lunghissimi per ascoltare le sue profezie o i suoi responsi, ma che in epoche antichissime, dove la donna contava meno di niente e non si azzardava a mettere il naso fuori di casa senza almeno un valido accompagnatore, questa donna vivesse sperduta in un antro dove chiunque avrebbe potuto entrare e fare di lei qualsiasi cosa.

Il mistero è che nessuno osò mai toccare la Sibilla, che fu praticamente rispettata e quasi divinizzata in vita.

L'ANTRO DELLA SIBILLA

L'ANTRO DELLA SIBILLA

Virgilio ne parla ampiamente nell’Eneide così come fanno anche Ovidio, nelle sue Metamorfosi, e Dante che la cita nella Divina Commedia con queste parole: ”Così la neve al sol si disigilla, così al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibilla”. 

Una figura mitologica, tra il mistero e la realtà. La sua identità resta ancora un mistero mentre quella che secondo la leggenda fu la sua casa viene visitata ogni giorno da migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo. 

È l’Antro della Sibilla cumana che si trova all’interno del Parco Archeologico di Cuma. Facilmente raggiungibile da Napoli, il parco si trova tra il comune di Pozzuoli e Bacoli dove un tempo sorgeva l’antica città di Cuma.

Un’antica colonia greco-romana che si estendeva dal cuore dei Campi Flegrei, una zona nota per la sua vivace attività vulcanica. L’antro della Sibilla rimane uno dei luoghi più misteriosi di queste zone, circondato da un alone di magia che lo rende davvero speciale.

L'ANTRO DELLA SIBILLA

L’antro è costituito da un tunnel artificiale che risalirebbe all’età greco-romana, la cui data di costruzione però non è ancora certa. Qui il lungo cunicolo di forma trapezoidale scavato nella pietra conduce ad una sala dove si pensa che la Sibilla elargisse le sue profezie.
In queste strade sotterranee sarebbe vissuta una delle Sibille più famose della storia antica, protagonista di intrighi e battaglie per oltre dieci secoli. La leggenda vuole infatti che la Sibilla di Cuma fosse vissuta per oltre mille anni.

Il mito racconta che il Dio Apollo si fosse innamorato della Sibilla alla quale fece dono della vita eterna. La Sibilla però si dimenticò di chiedere in dono anche l’eterna giovinezza e si racconta quindi che visse per oltre 1000 anni tra i cunicoli di Cuma, mentre il suo corpo invecchiava sempre di più.

Diventata ormai inconsistente nel corpo, la Sibilla venne rinchiusa in un ampolla esposta nel tempio di Apollo. In quest’ampolla erano conservate le sue polveri mentre il suo spirito e la sua voce vivevano ancora. Una maledizione quindi quella della Sibilla di Cuma che fu costretta ad elargire consigli e profezie per l’eternità ai curiosi e bisognosi che raggiungevano la sua dimora. 

Secondo quello che racconta la storia, le Sibille sembra fossero delle figure realmente esistite; sacerdotesse spesso devote al dio Apollo che in un perenne stato di trance potevano predire il futuro.

IL TEMPIO DI GIOVE

IL TEMPIO DI GIOVE

Il tempio di Giove è un tempio greco-romano ritrovato a seguito degli scavi archeologici sull'acropoli dell'antica città di Cuma. Durante l'età greca, probabilmente tra il VI e V secolo a.c., venne costruito un primitivo tempio dedicato a Demetra, divinità molto venerata dai cumani.

Il tempio di Giove, di cui però non si ha alcuna testimonianza che fosse effettivamente dedicato a Giove, sorse sul precedente tempio e venne costruito alla fine del I secolo, in età augustea.

Tra la fine del V e l'inizio del VI secolo venne trasformato in basilica cristiana, dedicata a san Massimo martire (†303) sulla cui storia però esistono molti dubbi, divenuta poi cattedrale della diocesi di Cuma. Venne abbandonata nel XIII secolo a seguito dello spopolamento di Cuma ed esplorata tra il 1924 ed il 1932.

Del tempio greco non si hanno molte notizie: è presumibile che sia stato pseudo-periptero (circondato sul perimetro esterno da colonnato "ptèron" su tutti e quattro i lati della cella creando un porticato quadrangolare) e l'unica testimonianza della sua esistenza rimane la base in tufo, lunga trentanove metri e larga ventiquattro, riutilizzata anche per il tempio romano.

IL TEMPIO DI GIOVE
La struttura sacra sorgeva sulla sommità dell'acropoli ed era la più importante della città. Il tempio romano invece, alterato nella struttura durante la dominazione bizantina, oggi ridotto in ruderi e parzialmente crollato insieme al costone della collina, quando fu trasformato in basilica, aveva un orientamento est-ovest ed era circondato da un muro perimetrale in opus reticolatum che presentava tre aperture.

Internamente era diviso in cinque navate, due delle quali vennero in parti murate e divise in piccoli ambienti per ospitare delle cappelle. La cella presentava delle semicolonne con delle nicchie poi murate, oltre ad una serie di quattro pilastri.

Al suo interno venne inserito un altare in marmi policromi ed un fonte battesimale, completamente ricoperto in marmo e costituito da tre scale, in modo tale da permettere la totale immersione per il battesimo (il battezzando veniva immerso spingendo il suo corpo e il suo capo totalmente sott'acqua, subendo un momentaneo shock che doveva facilitare il suo risveglio interiore alla nuova fede). 

Tra le altre strutture conservate: resti della pavimentazione in signino (frammenti di laterizi, tegole o mattoni, minutamente frantumati e malta fine a base di calce aerea) con inserti in marmo, tombe scavate nel pavimento e archi in opera reticolata.

I romani edificarono varie ville presso Cuma, una di queste fu chiamata Cumano, ed era una villa di Cicerone, sulla costa della Campania, nell'area dell'antica Cuma.

LA CRYPTA ROMANA

LA CRYPTA ROMANA

Percorrendo il vialetto di accesso in direzione dell'Acropoli si notano a destra dei pozzi che fungono da prese per la luce per la sottostante Crypta romana, è un tunnel scavato nel tufo sotto la collina di Cuma, una grandiosa opera di ingegneria viaria che traversa in galleria tutto il monte di Cuma per circa 292 m di cui un centinaio sono ora scoperti.

Edificata insieme ad altre opere di potenziamento militare volute da Marco Vipsanio Agrippa (63 a.c. - 12 a.c. stratega di Augusto) e progettate da Lucio Cocceio Aucto nel 37 a.c., comprendenti la costruzione del nuovo "Portus Iulius" e il suo collegamento con il porto di Cuma tramite la cosiddetta "Grotta di Cocceio" e la stessa "Crypta Romana".

Essa era destinata a collegare il porto con la città bassa, come naturale prolungamento della grotta di Cocceio, dal lago d'Averno a Cuma. La galleria rimase in uso fino a tutto il II secolo d.c.

CRYPTA ROMANA
A seguito di alcuni crolli non la usarono più come strada ma come area cimiteriale paleocristiana. In epoca bizantina, tolti i resti paleocristiani, la galleria venne ripristinata con la creazione di contrafforti ancora visibili, abbassandone il pavimento di circa un me. Durante le guerra greco-gotiche, quando Narsete volle riconquistare Cuma (552 d.c.), venne provocato ad arte il crollo di una parte dell’acropoli nel vestibolo della Crypta che, da allora, finì per essere colmata di detriti e materiali di scarto.

Accedendo dal lato del porto, si attraversa il vestibolo, alto 23 metri e conservante perfettamente il rivestimento in conci di tufo. Sul lato sinistro si aprono quattro grandi nicchie che dovevano ospitare delle statue. Più avanti è un ambiente con nude pareti in tufo. 

Andando oltre, la galleria attraversa in direzione est-ovest l'acropoli di Cuma, con una curva sotto il Tempio di Apollo, collegando l'area del foro con il mare. con opere di rivestimento e contrafforti in muratura, terminando linearmente sul versante opposto della collina. 



Quasi a metà della galleria sulla destra vi sono degli ambienti scavati nel tufo, probabilmente delle cisterne alimentate dai pozzi che si incontrano all'ingresso dell'Acropoli, da mettersi in relazione con un acquedotto sotterraneo. Infine la galleria giunge a sbucare dal lato del Foro.

Con lo spostamento della flotta dal Portus Iulius al porto di Miseno nel 12 a.c. e la fine della Guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio nel 31 a.c., il tunnel perse il suo interesse strategico. In età cristiana fu utilizzato come area cimiteriale. 

Nel VI secolo il generale bizantino Narsete, (478 – 574) durante l'assedio di Cuma, cercò di utilizzarlo per raggiungere la città, ma i nuovi cunicoli scavati ne indebolirono la struttura e una vasta sezione della volta crollò, rendendo la galleria impraticabile e destinata all'oblio. Fu riportata alla luce tra il 1925 e il 1931 dall'archeologo Amedeo Maiuri (1886 – 1963).



LA VIA SACRA

Iniziando la salita all'Acropoli appare il basolato dell'antica Via Sacra e poco dopo quello che resta della porta di accesso all’acropoli. Essa era fiancheggiata da due torri a pianta quadrangolare delle quali una è crollata insieme col costone tufaceo, mentre l’altra, rifatta in epoca bizantina, è ancora in parte visibile.

Seguendo sempre la Via Sacra si arriva ad un vialetto sulla destra che immette sulla terrazza del Tempio di Apollo, identificato nel 1912, tramite un' iscrizione con dedica ad Apollo Cumano. All’ingresso della terrazza è una lapide con i versi del Libro VI dell’Eneide relativi alla leggenda di Dedalo ed Icaro.

LA TORRE BIZANTINA
Secondo la leggenda Dedalo fu rinchiuso nel labirinto insieme al figlio Icaro per aver aiutato Teseo,  a entrare nel labirinto e ad uccidere il Minotauro. Allora Dedalo aveva costruito due coppie di ali con piume di uccelli tenute insieme con la cera, per volare via dal labirinto col figlio, ma Icaro si avvicinò troppo al sole finchè la cera si sciolse facendolo precipitare a terra. Dedalo, annientato, prosegue fino ad atterrare in Campania, a Cuma, dove, in memoria del figlio, edifica un Tempio, quello di Apollo Cumano.

TEMPIO DI APOLLO

IL TEMPIO DI APOLLO

Il Tempio di Apollo sorge su un precedente tempio greco, intorno al VI-V secolo a.c., sembra dedicato ad Era ad Era, come dimostra il materiale votivo, nei pressi di una vicina cisterna; abbandonato quindi durante la dominazione sannita. 

Il tempio tempio fu ricostruito in età augustea, quando per volere dell'imperatore tutti i luoghi ricordati nell'Eneide vennero restaurati: Virgilio infatti racconta che Enea, fermatosi a Cuma, raggiunse questo tempio, al cui interno consacrò ad Apollo le sue ali che gli avevano permesso di fuggire dal labirinto. 

Tra il VI ed l'VIII secolo il tempio venne trasformato in basilica cristiana, con conseguenti fonte battesimale e tombe nel pavimento. Venne poi abbandonato allo spopolamento di Cuma nel XIII secolo e ritrovato solamente nel 1912, identificato da un'epigrafe in marmo che si riferiva all'Apollo Cumano.


Il tempio greco, posto su una naturale terrazza panoramica, aveva un orientamento nord-sud, lo stesso poi della basilica cristiana, era periptero e ionico, con sei colonne sul fronte minore, elevato su una piattaforma in tufo lungo 34 metri e largo 18.

Il tempio di Apollo invece, ormai rudere, aveva un orientamento est-ovest: il pronao presentava delle colonne doriche, eccetto quelle agli angoli che avevano una particolare forma trilobata: tutte le colonne erano in laterizio rivestite in stucco, che in parte ancora si conserva, poggianti su basi attiche e sormontate da capitelli ionici.

La trabeazione, reperita in alcuni frammenti, era decorata in terrecotte con elementi zoomorfi ed antropomorfi. La cella, in opus reticolatum ma senza rivestimento murario, misurava 22 metri di lunghezza e 9 di larghezza con ingresso sul lato orientale ornato da due colonne in laterizi. Internamente era divisa in tre navate con aperture ai lati intercalati da pilastri in trachite e conteneva una grossa statua raffigurante Apollo.

La pavimentazione era tutta in travertino, mentre nel lato sud della cella era posto il fonte battesimale a forma ottagonale; nelle vicinanze del tempio un ambiente a pianta rettangolare con volta a botte, un thòlos e un cisterna utilizzata probabilmente per raccogliere gli ex voto.

IL FORO


IL FORO

Il Foro cumano è oggi solo parzialmente in luce, come del resto molte parti di Cuma, in quanto ancora interrato nella parte orientale. Esso risale di una sistemazione monumentale di età tardo- repubblicana, vale a dire una piazza rettangolare con orientamento E-O, di m. 50x120, con il lato breve occidentale delimitato dal Capitolium. 

Alla fine del I sec. d.c., la strada lungo il lato meridionale del Foro, parallela a quella proveniente dalla Crypta Romana, fu chiusa da una fontana monumentale addossata al fianco del Capitolium. Pertanto l'accesso alla piazza lungo questo lato era fornito da una porta che immetteva nel porticato. In seguito alla costruzione, sul lato meridionale del Foro, del Tempio italico con portico, il piano di calpestio fu ribassato di cm. 50 ca. e lievemente inclinato, onde convogliare le acque reflue in una canaletta di scolo, e venne pavimentato con lastre di travertino bianco.

I lati lunghi della piazza vennero delimitati da porticati di età sillana in tufo grigio rivestito di stucco bianco: elevati su due ordini, con semicolonne addossate a pilastri e un fregio dorico con triglifi e metope. Poco dopo venne aggiunto, nei pressi del Capitolium, un altro tratto, costituito da un doppio ordine di colonne corinzie e ioniche, con fregio continuo decorato con armi, di cui sono stati rinvenuti alcuni frammenti.

L'ANFITEATRO

ANFITEATRO

L’Anfiteatro di Cuma, è uno dei più antichi anfiteatri della Campania, uno dei primi teatri stabili, cioè in pietra, edificato infatti alla fine del II sec. a.c., vale a dire nel momento in cui la città greco-sannitica si rinnovava con la nuova architettura romana e i nuovi edifici monumentali, come l’anfiteatro. 

Esso sorgeva appena fuori le mura meridionali della città, nel luogo più utile per il controllo dei flussi di spettatori in ingresso e in uscita, un anfiteatro di medie proporzioni, privo di sotterranei e addossato per circa una metà al pendio del Monte Grillo, secondo l'uso greco. 

Esso misurava 90 m nella parte lunga dell'ellisse e 70 m nella parte più corta. ed era sviluppato probabilmente solo su due livelli, anzichè su tre, come si usava per gli anfiteatri più grandi.

Il monumento è stato indagato solo parzialmente, tanto è vero che la cavea, suddivisa da moderni terrazzi per le coltivazioni, è attualmente occupata da un frutteto (!). Ne sono stati messi in luce l’ingresso meridionale, parte dell’arena e delle gradinate della cavea e il muro perimetrale a due ordini di arcate. dalle prime indagini comunque si evince che l’ingresso e l’ima cavea hanno subito un’importante ristrutturazione all’inizio del II sec. d.c. con l’inserimento di un criptoportico onde facilitare l’accesso alle gradinate.


L’anfiteatro è dotato inoltre, come spesso usava, di un tempio romano poggiato  summa cavea, che svettava sulla sommità del pendio cui si appoggiano le gradinate Il tempio romano sorge sulle strutture di un tempio arcaico, risalente alla fine del VI sec. a.c., del quale sono stati rinvenuti numerosi materiali.

Il monumento, ancora visibile nell’800, venne rilevato dal De Jorio nella sua pianta di Cuma (1830) e a metà secolo fu oggetto di scavi, che misero in luce le strutture del tempio in summa cavea, successivamente inglobato nella Villa Vergiliana, palazzina demaniale (sigh!) impiantata nel 1911.

All’estremità nord dell'anfiteatro vi doveva essere un accesso, corrispondente grosso modo a quello attuale della masseria; accanto a questo, inglobato nella masseria stessa (!), è conservato un ambiente in opera reticolata con volta a botte, probabilmente con funzioni di servizio. 

Doveva esserci un ingresso secondario al centro del lato est del muro perimetrale esterno. Le gradinate, già private del loro rivestimento sono irriconoscibili, in quanto completamente ricoperte dalle coltivazioni; come è possibile che un bene di 2000 anni fa venga abbandonato a se stesso? Come mai il terreno non viene espropriato? Cosa fa il comune di Cuma?

LE TERME DEL FORO

TERME DEL FORO

Le Terme del foro di Cuma, essendo pubbliche, furono edificate in pieno centro cittadino, a nord- ovest dell'area forense, pochi decenni dopo l'apertura della via Domitiana (95 d.c.). Come tipologia richiamano le Terme di via Terracina a Napoli e quelle del Foro a Ostia.

Queste erano dotate di almeno due ingressi pubblici:
- uno a sud, sulla via che costeggia il Capitolium, che immetteva nel corridoio porticato e nella palestra;
- uno a est, su una strada perpendicolare alla precedente, che immetteva nel vestibolo, comunicando, mediante un porticato, con il frigidarium che aveva ai suoi lati due vasche per i bagni. A destra e a sinistra del vestibolo si aprono due ambienti si aprivano lo spogliatoio, la sala per massaggi, e la biblioteaca.

TERME DEL FORO
Gli ambienti caldi, esposti a sud, prevedevano: i tepidaria, la sudatio (laconicum) e calidarium, dotato di tre vasche per i bagni. Sulla parete di fondo, c'è il fornice del praefurnium da cui si spandeva il calore nei vari ambienti attraverso le intercapedini delle mura e gli hypocausta sotto i pavimenti.

Il rifornimento idrico era affidato a una cisterna divisa in quattro serbatoi, posta su alto podio a nord-ovest del corpo principale. Successivamente, nel III sec. d.c. furono aggiunti alcuni ambienti con funzioni di servizio e per il pubblico. 

L'edificio doveva essere riccamente decorato, come dimostrano i resti di lastre di marmo, cornici di porfido, mosaici a tessere bianche e nere, zoccoli modanati, intonaci dipinti. Le coperture dovevano essere di diversi tipi (a botte, a crociera, a catino). L'illuminazione era assicurata da finestre e lucernari nelle volte. 

La proibizione dell'uso delle terme, a partire dal V sec. d.c. cambiò la destinazione di un settore dell'edificio: vestibolo, sala fredda e cisterna, che vennero  riutilizzati come abitazione e magazzino o stalla.


PURTROPPO

"Cuma, un gioiello che tutti, fino ai confini del mondo, ci invidiavano per tutta la sua storia, le sue spiagge dorate, l'acqua cristallina, la florida e singolare vegetazione; e dove ora, a pochi metri da tutto questo, sorge un depuratore malfunzionante, una discarica a Cielo aperto, strade dissestate da ricostruire ed un patrimonio storico, artistico e culturale da rivalorizzare."
(Luigi Di RAZZA)


BIBLIO

- Carlo Gasparri, Giovanna Greco - Cuma: indagini archeologiche e nuove scoperte - Pozzuoli - Naus - 2009 -
- Dionigi - Antichità romane - Libro VII -
- Carlo Rescigno - Cuma: studi sulla necropoli - Roma - L'Erma di Bretschneider - 2011 -
- O. Baldacci - I termini della regione nel corso della storia, in «Storia e civiltà della Campania. L'Evo antico» - Napoli - 1991 -




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