ACQUEDOTTO DI MACULNIA - CATANIA (Sicilia)

L'ACQUEDOTTO ROMANO DI CATANIA
L'acquedotto romano di Catania fu un capolavoro di ingegneria per il sistema idrico nella Sicilia romana. Esso traversava il territorio compreso tra le fonti sorgive di Santa Maria di Licodia, gli attuali territori comunali di Paternò, Belpasso e Misterbianco per giungere infine a Catania.



LA STORIA

Non conosciamo la data di tanto ciclopico lavoro ma sappiamo che già esisteva in età augustea, in quanto si rinvenne presso la sua parte iniziale una lapide del I secolo d.c. incisa con i nomi dei curatores aquarum, oggi custodita al Museo civico catanese del Castello Ursino.

Secondo le fonti in età augustea Catania (latino Catina in greco Katane) viene eletta a colonia con grande sviluppo economico, di popolazione e di fabbisogno idrico, da qui l'edificazione dell'acquedotto di Malcunia. Questo subì vari danneggiamenti, compreso l'eruzione del 253, come testimonia una lapide, rinvenuta nel 1771 presso il monastero dei benedettini relativa ad un ninfeo che qui si trovava e che venne restaurato.

In epoca islamica la struttura era già dimenticata, ma purtroppo se ne ricordò nel 1556 il viceré Juan de Vega (1507 – 1558) che ordinò lo smantellamento di un lungo tratto del ponte-acquedotto sito nei pressi della città, onde ricavarne materiale per realizzazione le mura di Catania, dimezzandone gli archi (da 65 a 32).
Non contento nel 1621 fece spoliare il monumento insieme ad altri per pavimentare una strada "con ordinate lastre", cosa inusuale, che divenne luogo di passeggio e svago. L'eruzione dell'Etna del 1669 contribuì infine a interrare le uniche arcate superstiti presso Catania, lasciandone appena qualche porzione.


DESCRIZIONE
L'acquedotto copriva un percorso di 24 km da Santa Maria di Licodia (400 m s.l.m.) fino a Catania, fino a 15 m s.l.m. presso il monastero benedettino di San Nicola. A Licodia quattro sorgenti vennero incanalate nella Botte dell'acqua, una grande camera a base quadrata divisa da una parete centrale e con copertura a botte, che accoglieva l'acqua mediante quattro bocche per poi direzionarla ad un canale aperto a est, verso Catania.

La conduttura era ampia oltre mezzo metro in larghezza e un metro e mezzo in altezza, coperta con una volta semicircolare impermeabilizzata all'interno con un fine intonaco di malta, pozzolana e frammenti di terracotta (Opus signinum o cocciopesto).

Il resto dell'acquedotto era stato eseguito soprattutto in pietra lavica, con roccia eruttiva per il riempimento e con cocci ben squadrati per la copertura, oltre a un composto di malta e pozzolana per fissare i blocchi e isolare il flusso dell'acqua, gli archi invece furono eretti a mattoni in terracotta.

LO STESSO ACQUEDOTTO NELLA ZONA DI VALCORRENTE
Il Principe di Biscari descrisse diverse lamine di piombo rinvenute all'interno delle condotte e conservate nel museo dei Benedettini al Monastero di San Nicolò l'Arena, ipotizzando fossero degli antichi restauri per chiudere le fessure generate dall'usura; tale restauro potrebbe essere quello menzionato dalla lapide relativa al curatores Q. Maculnius.

Dal serbatoio partiva il canale nel suo lungo viaggio, la cui pendenza veniva calcolata dagli abilissimi genieri romani per cui il canale a tratti era completamente interrato, oppure su un muro di sostegno, o su ponti-acquedotto su arcate portanti, talvolta anche su due file sovrapposte.
Il canale presentava nel suo percorso dei putei, cioè pozzi di ispezione per la manutenzione e la pulizia, e diversi castella aquae (cisterne di filtraggio e diramazione dell'acqua) sia a Licodia che a Valcorrente, a Misterbianco, e a Catania. 

INTERNO DELL'ACQUEDOTTO
Il castello dell'acqua di Licodia è andato perduto a seguito di lavori di sbancamento (sig!), mentre nella località Sciarone Castello di Belpasso ne rimangono notevoli resti. A Misterbianco, contrada Erbe Bianche, doveva esservi un castello di distribuzione che invogliava l'acqua al complesso termale in via delle Terme ma ne restano solo delle tracce.
A Catania, presso l'attuale Corso Indipendenza, è stata identificata una fabbrica quadrata e voltata, che doveva essere una conserva d'acqua, un'altra ne è stata identificata nella vigna dei Portuesi. Il sistema avrebbe dovuto raggiungere un grande serbatoio, che non è ancora stato identificato, e che doveva essere posto sul Colle Montevergine, da cui dovevano diramarsi i tratti di acquedotto destinato alle fontane e terme pubbliche, a residenze private, e a ogni altro fabbisogno in una città ormai ricca e molto romanizzata.
Alcuni studiosi suppongono che il grande serbatoio fosse il grande Ninfeo posto presso il monastero benedettino; in effetti a volte una cisterna veniva configurata all'esterno come un ninfeo. L'edificio infatti venne poi riconosciuto grazie a una lapide su cui era inciso:
«juxta lapideum aqueductum/
quem ipse construxerat ut in balneas copiosam/
aquam derivaret commodo civium
».

LE TERME SOTTERRANEE

I RITROVAMENTI
- A Santa Maria di Licodia vi sono state rinvenute vasche di contenimento e tratti dell'acquedotto, sia a mezzacosta che su arcate. Si sa che nei suoi pressi erano le quattro sorgenti incanalate nel grande serbatoio, oggi non più esistente.

- In contrada Cavaliere Bosco rimangono invece tre cisterne in pietra lavica, oggi usati come serbatoi d'acqua e abbeveraggio.

- A Paternò l'acquedotto ha un percorso vario, ora interrato, ora a mezza costa, o su muro, o su arcate.- A Civita sono stati rinvenuti i resti dell'acquedotto interrato fino alle spallette e privo di volta (spallette utilizzate come muro di contenimento di un agrumeto).

- A Civita-Scalilli, vi è un tratto di acquedotto su muro, con innesto di inizio arcate utilizzato come parete per un edificio retrostante di più recente realizzazione, oltre a pozzetti di ispezione e altri basamenti di arcate. Il tratto proseguendo a est è interrotto dalla stradella poderale della proprietà Reitano e dal tracciato ferroviario.

In Contrada Scalilli, i resti di acquedotto utilizzato come muro di delimitazione di una stradella interpoderale. Proseguendo a sud-est se ne perdono le tracce a causa delle lave di Monte Sona.
In Contrada Porrazzo-Pantafurna, sono ancora esistenti delle arcate, e basamenti di arcate.
A Contrada Giacobbe-Santa Barbara, un tratto di acquedotto a su muro con arcate cieche è stato utilizzato come delimitazione di proprietà.

LE TERME DELLA ROTONDA A CATANIA
- A Belpasso in Contrada Valcorrente, acquedotto è in parte interrato, e in parte su arcate. 

- A Misterbianco, in Contrada Erbe Bianche, resti di strutture ipotizzate quale castello dell'acqua.In Contrada Tiriti e via delle Terme, resti dell'acquedotto e della diramazione che alimentava le terme romane, nella contrada della Nunziatella. In Corso Carlo Marx, al di sotto dell'attuale magazzino Scaringi fu trovata una parte dell'acquedotto interrato.

- A Catania resti dell'acquedotto, in parte in interro, in parte su arcate a Monte Po, a Corso Indipendenza, nei giardini di Villa Curia, nei quartieri Nesima, Curìa, Àrcora, Chiusa del Tindaro, Antico Corso, dove sono state trovate diverse tracce dell'acquedotto sia su arcate che in interro. L'acquedotto, giunto in città, forniva tre diramazioni che partivano dal serbatoio di distribuzione. 
Una diramazione andava a sud-est per il Teatro, (con tracce di condutture), per poi diramarsi nei vari isolati: Un'altra diramazione, di alcune decine di metri, è emersa durante gli scavi archeologici di via dei Crociferi nel corso degli anni ottanta. Le altre due diramazioni invece sono ancora da scoprire.

BIBLIO
- Gioconda Lamagna - «L'acquedotto romano di Catania» in AA.VV. - Acquedotto romano -
- Luciano Nicolosi - L'acquedotto antico di Catania - Catania - Tip. Nicolosi e Grasso - 1931 -
- Cordaro Clarenza - Osservazioni sopra la storia di Catania cavate dalla storia generale di Sicilia - Catania -

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