CIVIS ROMANUS SUM

CIVIS ROMANUS SUM

"Civis Romanus sum", ovvero "Sono cittadino romano", è una locuzione latina che indicava l'appartenenza all'Impero Romano e sottintende, in senso lato, tutti i diritti (e i doveri) connessi a tale stato (Cicerone, In Verrem 11, V, 162)

Come Pretore, Aristodemo Delorico Desponio ha tenuto tribunale a Ragnarok. Un re straniero sconfitto fu portato davanti a lui, per essere processato per i suoi crimini contro lo Stato Romano. Rifiutando di inginocchiarsi, il re disse alla corte: "Il Pretore ed io siamo uguali, io resterò in piedi".  Questo re straniero fu trovato innocente di qualsiasi sedizione contro lo Stato Romano. Aristodemo lo condannò comunque alla croce, dicendogli: "Mi hai insultato dicendo che siamo uguali, perché io sono romano, e tu sei solo re".

"Per chi è così indegno e pigro che non vorrebbe sapere come e sotto quale tipo di governo i Romani hanno portato sotto il loro unico dominio quasi tutto il mondo abitato in meno di cinquantatré anni? Perché nulla di simile è mai accaduto prima. Oppure chi può essere così devoto a qualsiasi altro argomento di studio che lo considererebbe più importante dell' acquisizione di questa conoscenza?"

(Polybius I,I,5-6)

"Il Mos Maiorum è un documento vivente. Non è giusto considerare da dove siamo partiti, ma dove stiamo andando."
(Tobias Deloricus Desponius, Proconsole e comandante della II Legione)

HONESTA MISSIO

IL CIVIS ROMANUS

Nel diritto privato romano, lo status di civis era la condizione richiesta per la piena capacità del singolo che comportava il diritto elettorale di eleggere o essere eletto e dei privilegi in sede giudiziaria, come il diritto di essere giudicato secondo le norme del ius civile, di non essere indemnatus (condannato senza processo) e di non subire punizioni corporali o infamanti.
Nelle provincie di conquista, diventavano cives i ceti dirigenti, garantendo il sostegno al potere centrale, prima al Senato repubblicano, poi all'Augusto di turno. Non era una prerogativa onorifica. Incideva sulla qualità della vita. Un cittadino era esentato dalle condanne più infamanti. Nessun giudice poteva spedirlo ad metalla, ai lavori forzati nelle miniere o, peggio, ad bestias, a morire dilaniato dagli artigli negli spettacoli circensi.

La cittadinanza si acquistava:
- in base alla discendenza (in età repubblicana, il titolo di civis spettava per diritto ai cittadini originari dell'Urbe, figli di genitori romani, e ai fondatori delle coloniae Romanae che si fossero trasferiti all'interno della città di Roma),
- o per acquisto della libertà, ottenuta per concessione dello Stato (ad esempio, come premio ai forestieri che si fossero segnalati per particolari benemerenze o servigi resi a Roma e ai magistrati delle comunità locali).
- La donna straniera acquisiva lo status con il matrimonio legittimo: la prole era già cittadina di fatto.   
- Oppure diventava romano un militare per aver adempiuto la sua Honesta missio, cioè aver combattuto fino alla pensione contro i nemici di Roma dimostrando fedeltà e onore. I veterani delle legioni, nati peregrini, diventavano cittadini dopo l'onorato servizio, e i loro figli, grazie allo ius sanguinis, il diritto ereditario, si ritrovavano membri effettivi della comunità romana.
- Oppure per adozione, essendo stati adottati da un cittadino romano.
- Anche gli schiavi potevano aspirarvi. Se il padrone li liberava, le autorità sottoscrivevano, nasceva un nuovo civis.
- Sotto Tiberio, un immigrato diventava cittadino se per sei anni serviva fedelmente nelle coorti dei vigili, in città. 
- Sotto Claudio, la promozione toccava a chi armava una nave capace di trasportare grano nell'urbe.
- Nerone la concesse a chi portava Roma i suoi soldi, costruendo una domus, una casa a decoro del paesaggio urbano.
- Sotto Traiano, diventavano romani gli stranieri che vi costruivano un mulino, macinando ogni giorno almeno cento moggi di frumento.
- Nel I secolo a.c, la cittadinanza romana venne concessa con larghezza a Latini e Italici.
- Nel III secolo d.c, venne estesa a tutti i sudditi dell'impero romano in forza di una costituzione imperiale emanata da Caracalla, la Constitutio Antoniniana.

Anche ai prigionieri, se cittadini romani, veniva riservato un trattamento di favore. Dal punto di vista del diritto, tale locuzione era invocata dai prigionieri accusati di un reato per il diritto di essere giudicati da un tribunale di legislazione romana e non secondo le leggi derivanti da usanze e costumi propri delle minoranze etniche delle province dell'Impero.

CICERONE

CICERONE - ACTIONES IN VERREM

Nel 70 a.c. Cicerone fu chiamato dagli abitanti della Sicilia a sostenere l’accusa nel processo che essi avevano intentato contro l’ex governatore Verre, il quale aveva approfittato della propria carica per dissanguare la provincia. Cicerone scrisse due "Actiones in Verrem", ma potè pronunciare solo la prima, visto che Verre, poco dopo essere stato condannato, fuggì. 

Pubblicò in seguito la seconda, che, divisa in cinque libri (praetura urbana, de praetura Siciliensi, de frumento, de signis, de supliciis), dal solenne proemio, in cui si sottolinea l’importanza della causa come prova suprema dell’onestà giudiziaria dell’ordine senatorio, all’invocazione finale agli Dei perchè illumino le menti dei giudici, rappresenta la più grande opera oratoria di tutti i tempi. 

A Roma lo status di civis permetteva di avere un certo numero di diritti e si basava sulla libertà dell’individuo. In questo brano, Cicerone, rimasto fortemente colpito dinanzi al supplizio cui Verre, governatore della Sicilia, aveva sottoposto Gavio, cittadino romano, denuncia questo abuso.

In questo testo, ricordando il supplizio cui Verre aveva sottoposto Gavio, un cittadino romano di Conza, l’autore esalta il valore ed il prestigio che la cultura romana attribuiva allo status di cittadino attraverso l’uso di tutti i toni dell’ironia, fino ad una veemenza tragica.

"Portato in mezzo alla Piazza di Messina e seviziato sotto gli occhi di tutti, Gavio implora inutilmente i suoi giustizieri di liberarlo, invocando la sua appartenenza alla civitas romana. Ma più implora e cerca di affermare i suoi diritti, più aumenta il numero delle bastonate. Cicerone accusa Verre non solo di avere agito ingiustamente contro un cittadino romano, ma anche di avere ignorato i suoi doveri di magistrato, atti a garantire l’incolumità per i cittadini romani. E' evidente inoltre la grande fiducia che il cittadino romano nutre nei confronti della legge, nata per assicurare i suoi diritti in ogni parte dell'Impero. Come conclusione al proprio discorso, Cicerone invoca la libertà, in quanto diritto e applicazione della legge:

162. "Veniva percosso a bastonate in mezzo alla piazza di Messina, un cittadino romano, giudici, e intanto, nonostante il dolore, non si udiva nessun gemito, nessun’altra parola di quel misero, se non questo: "Sono cittadino romano", tra il crepitare delle bastonate. Pensava che ricordando di essere cittadino romano, potesse evitare ogni flagellazione e allontanare ogni supplizio dal proprio corpo. Non solo egli non raggiunse questo scopo, ovvero di allontanare da sè le bastonate, ma, mentre più implorava e ripeteva di essere cittadino, la croce, la croce dico, veniva preparata per quell’infelice, quel disgraziato, che mai aveva visto quell’orrore.

163. O dolce nome della libertà! O diritto supremo del nostro Stato! O legge Porcia e leggi Sempronie!
(Lex Porcia: la legge Porcia del 199 a.C. e le leggi Sempronie, proposte da Gaio Gracco, del 123 avevano ribadito i diritti, già preesistenti, dei cittadini romani e in particolare il diritto d'appello al popolo, provocatio) O potere dei tribuni, così fortemente desiderato e infine donato alla plebe romana! Tutto è dunque precipitato così in basso che un cittadino romano è stato picchiato con verghe e poi legato in una piazza pubblica di una città alleata, in una provincia romana, da colui che deteneva fasci e scuri per interesse del popolo romano? Tu hai osato mettere sulla croce uno che affermava di essere cittadino romano?"

PAOLO DI TARSO

CESAREM APPELLO

Paolo di Tarso, appellandosi all'Imperatore, ottenne che venisse sospeso il processo che lo vedeva imputato per le leggi del suo popolo e nella sua terra, e che lui, in catene e sotto scorta, fosse portato a Roma, (At 22,27), per essere giudicato dall'imperatore dell'epoca, Nerone, nonostante sia stato uno tra i più feroci persecutori del culto cristiano.

E' la condizione che san Paolo rivendicò nel 58 d.c. per non essere sottoposto ai tormenti, e due anni dopo nel processo davanti al procuratore Festo quando si appellò all’imperatore.

In realtà Paolo ricorse al "Caesarem appello" (Mi appello a Cesare) frase della prima epoca imperiale, con cui il cittadino romano, rivendicando lo status di civis Romanus, si sottraeva alla giurisdizione del magistrato provinciale e otteneva il trasferimento della causa a Roma.

Il governatore rispose a Paolo, come di consueto: "Cesarem appellasti, ad Cesarem ibis" (ti appellasti a Cesare, andrai da Cesare) e venne condotto a Roma, processato e assolto dal prefetto del pretorio Sesto Afranio Burro, il consigliere di Nerone.

IL GIURISTA GIULIO PAOLO


PROVOCATIO AD POPULUM

Il giurista Giulio Paolo, in "Sententiarum receptarum ad filium libri quinque", fa riallacciare l'istituto della "appellatio ad Caesarem" alla precedente "provocatio ad populum" dell'età repubblicana e spiega che « Iulia de vi publica damnatur qui civem Romanum antea ad populum  provocationem  nunc imperatorem appellantem necaverit necarive iusserit. »

In base alla legge Giulia, colui che è condannato prima invocava la provocatio ad populum ora l'appello all'imperatore "appellatio ad Caesarem". Con la successiva estensione della cittadinanza romana a tutti i soggetti liberi dell'impero, l'istituto venne a perdere d'importanza.


BIBLIO

- Giovanna Mancini - Cives Romani municipes latini - Milano - A. Giuffrè - 1997
- Cicerone - Il processo di Verre - intr. N. Marinone - trad. L. Fiocchi -  Bur Rizzoli -  Milano - 1992 -
- A. Lazaretti - M. Tulli Ciceronis in C. Verrem actionis secundae - edizioni ETS - Pisa - 2006 -
- Olga Tellegen-Couperus - A Short History of Roman Law -
- V. Alessandro Pergoli Campanelli - L'antefatto: leggi e norme di tutela nel diritto romano - ANAΓKH - -  2013 -
- M Tulli Ciceronis - In Verrem actionis secundae Liber quartus (De Signis) - G. Bardo; F. Le Monnier - Firenze - 2004 -

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