I BACCANALI (16 - 17 Marzo)



BACCANALI

I baccanali, ovvero la festa di Bacco, si festeggiavano in tutto il territorio italico soprattutto centro-meridionale iniziando dalla Magna Grecia, il 16 e il 17 marzo, quindi con l'avvento della primavera. Il Dio Bacco era un antico Dio Italico del vino che associò a sè i miti del greco Dioniso il cui culto sconvolse la Grecia.



LE VERSIONI DI LIVIO

Tito Livio che scrive in epoca augustea, due secoli dopo la vicenda dei reprimenda Baccanali, e per giunta piuttosto benevolo verso il moralismo un po' austero dell'imperatore. Qualcuno lo dice pure male informato sulle associazioni bacchiche a Roma, la loro struttura e i loro rituali. Livio fornisce due versioni sull’origine dei Baccanali:

«.. che il culto era apparso dapprima in Etruria ad opera di «un greco di umili origini» (Graecus ignobilis in Etruria primum venit…), indovino e pratico di riti sacrificali notturni, «che all’inizio erano riservati a pochi, ma poi erano stati divulgati a masse di uomini e donne». (Initia erant quae primo paucis tradita sunt, dein volgari coepta per viros mulieresque).

« poi che il culto era giunto in Roma dalla Campania, dove all'inizio erano compiute di giorno da sole donne, poi si erano trasformate in riti orgiastici ad opera di Paculla Annia, una sacerdotessa campana che le aveva estese anche agli uomini, iniziandovi per primi i figli Minio ed Erennio Cerrino». (Pacullam Anniam Campanam sacerdotem eam primam omniam tamquam deum monitum immutasse; nam et viros eam primam filios suos initiasse, Minium et Herennios Cerrinus»).


Livio parla per sentito dire, ma il senato è preoccupato di non poter controllare il fenomeno. Era già accaduto in Grecia nel culto dionisiaco del V sec. a.c. «Le donne abbandonano i loro figli e i loro telai per correre sui monti a celebrare i riti dionisiaci». Che fosse questa la paura?

Livio a proposito dell’indovino etrusco parla di «riti segreti e notturni», sempre più diffusi; con banchetti e vino, promiscuità di uomini, donne e fanciulli, depravazioni e crimini di ogni genere, dalle violenze al plagio di individui costretti a falsi testamenti e false testimonianze, avvelenamenti e uccisioni di parenti.

La connotazione orgiastica è comune ai riti misterici di Dioniso (l’equivalente di Bacco) in Grecia, ma anche a quelli orientali, in Tracia e in Egitto.

Così iniziarono le persecuzioni e i processi, mosse in genere a tutte le società segrete, anche in contesti storici differenti, vedi i seguaci di Iside, o le persecuzioni ai cristiani, o le persecuzioni ai pagani che ormai erano diventate società segrete, o in seguito i roghi e i processi dei Templari, o i roghi per le streghe e per gli eretici. Livio la descrive come una «congiura» .(XXIX, 9-12).

BACCANALI

QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DEI BACCANALI

Tito Livio narra che un Greco dell'Italia meridionale, sacerdote e indovino venuto in Etruria, vi fece conoscere i riti dionisiaci, che degenerarono ben presto nelle orge più immorali, pretesto, talora, di ogni sorta d'azioni delittuose. Dall'Etruria codesti riti passarono a Roma dove però già si praticavano i riti dionisiaci, cioè feste notturne che si tenevano tre volte all'anno nel bosco di Stimula (nome latino di Semele), presso l'Aventino e alle quali partecipavano soltanto onorate matrone romane.

Secondo l'iconografia i Βaccanali si svolgerebbero in aperta campagna, tra alberi e rocce al di fuori dei templi. Le scene sono orgiastiche o iniziatiche e vi prenderebbero parte personaggi divini o mitici: satiri, sileno e Pan, Dioniso e Arianna, nutrici e Ninfe di Nisa. 

Il profilo delle baccanti rappresentate su sarcofagi illustra la iactatio fanatica corporis di cui ci parla Titio Livio. La menade che carezza un animale selvatico personifica una perduta età dell'oro dove animali e umani si riconciliano.

In seguito però una donna campana, sacerdotessa di questo culto, Annia Paculla, ne trasformò del tutto il rituale, riportandolo a quello etrusco: vi furono ammessi gli uomini e le adunanze ammontarono a cinque al mese. Da allora cominciò a diffondersi la voce che in codeste riunioni si commettesse ogni sorta di scelleratezze.

INIZIO DEL BACCANALE

Nel 186 a.c. esplode l’affare dei Baccanali descritto da Livio (Ab urbe condita XXXIX, 8 –18) e testimoniato da un’iscrizione bronzea rinvenuta nel 1640 a Tiriolo (in Calabria), contenente il testo del «senatoconsulto» emanato per reprimere il culto di Dioniso.

Così a Roma si finì per vedere negli affiliati ai riti bacchici una specie di grande setta, pericolosa per l'ordine morale e sociale: un affare privato procurò casualmente a Spirio Postumio Albino, console dell'anno 186, le prime rivelazioni precise da parte della liberta Ispala Fecenia.

Condotta a fondo l'inchiesta e persuaso della gravità della cosa, il magistrato ne informò il senato, il quale ordinò ai consoli che, con procedimento giudiziario straordinario, provvedessero a ricercare e ad arrestare tutti gli associati alla religione bacchica, per poi processarli.

Ma che era successo ai Baccanali? Per capirlo occorre prima conoscere questa festività. La festa apparteneva al culto orfico-dionisiaco, ma designava soprattutto quei misteri dionisiaci che, dalla Magna Grecia, ove erano molto diffusi, penetrarono a Roma all'inizio del sec. II a.c.

BACCANTE
Livio riporta la vicenda all’inizio dell’età augustea, due secoli dopo che accadde, con due versioni contrastanti sull’origine dei Baccanali.

In un passo scrive che il culto era apparso prima in Etruria ad opera di «un greco di umili origini», indovino e pratico di riti sacrificali notturni, all’inizio  riservati a pochi,  poi divulgati a  uomini e donne.

In un altro invece che le cerimonie giungono a Roma dalla Campania, dove in principio erano compiute di giorno da sole donne, poi si erano trasformate in riti orgiastici ad opera di Paculla Annia, sacerdotessa campana che le aveva estese anche agli uomini, mutando così il carattere dei baccanali coll’ammettervi per la prima volta, come iniziatrice dei propri figli, degli uomini, e Minnio Cerrinio Campano, figlio di Annia Paculla. 

Questi sarebbe poi diventato uno dei capi della segreta associazione che contava più di 7000 associati fra uomini e donne.

Un culto derivato dalla Magna Grecia, che ad un certo punto viene considerato «pericoloso», a causa di "riti segreti e notturni», piaceri del vino e banchetti, promiscuità di uomini, donne e fanciulli, depravazioni e crimini di ogni genere, dalle violenze al plagio di individui costretti a falsi testamenti e false testimonianze, avvelenamenti e uccisioni di parenti" Tali sono le accuse.

Gli accusati furono ben 7000, fra uomini e donne; capi della setta risultarono due plebei romani, Marco e Gaio Atinio, un Lucio Opiterio di Falerii e il campano Minio Cerrinio; coloro che furono riconosciuti soltanto iniziati ai misteri, ma innocenti di qualunque altra turpitudine o delitto, furono lasciati in prigione. Quelli invece - e furono i più - che si erano macchiati di stupri, di omicidi, o di frodi, furono puniti di pena capitale, non escluse le donne.

Furono sciolte, con ordine dei consoli e con poco riguardo ai trattati, tutte le associazioni bacchiche ancora esistenti a Roma e in Italia, anche nelle città degli alleati; indi fu emanato un senatoconsulto che ne proibiva la costituzione per l'avvenire.

Il fatto è che, analogamente al culto di Dioniso in Grecia, da cui deriva, si trattava di un culto misterico, ossia riservato ai soli iniziati, originariamente solo donne, le baccanti,  poi esteso ai maschi altrimenti sarebbe stato proibito. In seguito i baccanali sopravvissero come feste occasionali e propiziatorie senza più componente misterica.

Livio insiste sulla natura clandestina e orgiastica di questi riti:  una connotazione comune a tutti i riti misterici di Dioniso, di Bacco, ma pure a tanti altri in Grecia,  in Tracia e in Egitto. Le  imputazioni che vengono fatte durante le persecuzioni o i processi alle associazioni  religiose o parareligiose clandestine, cui non sfuggirono neppure le prime comunità cristiane. Eppure i Sacri Misteri durarono ben 1500 anni. Ce ne volle per spegnerli tutti.



LA STORIELLA

La storia, evidentemente inventata, (sembra una commedia di Plauto ma senza il lieto fine) narra di due giovani amanti, Publio Ebuzio e la liberta, «cortigiana» Ispala Fecennia; il patrigno di Ebuzio, avido dell’eredità del figlioccio che cerca di plagiare iniziandolo ai riti dei Baccanali, con la complicità della madre Deuronia; e l’anziana e saggia zia di Ebuzio che avvisa il console Postumio sulla malvagità dei baccanali.

Insomma l’amore della cortigiana Ispala per il cittadino romano Ebuzio la spinge alla denuncia dei baccanali e da qui parte l’inchiesta del console. E' stato il cattivo patrigno a spingere il cives romano romano ad accogliere i riti stranieri. I romani accolsero sempre i riti e gli Dei stranieri, vedi Cibele, Epona, Elios, Mitra e del resto gli Dei romani provenivano dagli Dei Greci.

BACCANTE
Effettivamente sui baccanali si fece una seduta senatoria e si scoprirono che a Roma esistevano associazioni che praticavano il culto in onore di Bacco, solo che lo sapevano tutti, ciononostante per la delazione Ebuzio e Fecennia ricevettero dal senato un compenso di centomila assi di bronzo ciascuno e a Fecennia furono concessi diritti civili non pertinenti a una liberta.
 
Pacullia può anche non essere esistita, ma i nomi a lei legati sono invece rintracciabili:
«Marco Atinio della plebe romana, il falisco Lucio Opicernio e il campano Mino Cerrino: i sommi sacerdoti e gli iniziatori del culto»,
insomma gli osco-campani.

Dunque a Roma molti commercianti erano di origine magno-greca, plebei e abitanti dell’Aventino, dove avevano trovato ostello molte divinità importate come la triade di Cerere, Libero e Libera.

La repressione dei Baccanali viene a fagiolo, i commercianti vengono allontanati dal potere politico. Tra il 218 e il 179 a.c. tutti quelli che non avevano ascendenza nobile non potevano più accedere alle magistrature.

Furono sciolte, con ordine dei consoli e con poco riguardo ai trattati, tutte le associazioni bacchiche ancora esistenti a Roma e in Italia, anche nelle città degli alleati; indi fu emanato un senatoconsulto che ne proibiva la costituzione per l'avvenire.

E' una storia palesemente inventata, sembra una commedia di Plauto, cui segue l’indagine preliminare del console Postumio, che appare del tutto ignaro della congiura bacchica. Serviva una «cortigiana» (prostituta),  per far sapere che a Roma si erano diffuse le associazioni del culto di Bacco. I rimandi continui di Plauto ai Baccanali nelle commedie scritte prima del 186 a.c. dimostrano che l’opinione pubblica ne era al corrente. Ma c'è di più.

BACCANTI ESAUSTE

LA FEROCISSIMA PUNIZIONE

Il Senato estese l'inchiesta a tutta la penisola, in ogni città e in ogni paese, quindi, ascoltato il console Postumio, fece impedire dai magistrati ulteriori riunioni dei Baccanali, di ricercare i partecipanti e di giudicarli con molta severità; solo dopo aver ristabilito l’ordine, in una seconda seduta, il senato prese decisioni a lungo termine, ordinando di distruggere i luoghi del culto.

I reati contestati vanno dai reati comuni quali il falso e l’omicidio fino alla cospirazione contro la repubblica. La partecipazione maschile (oltre che femminile), lo svolgimento notturno, la «follia» della possessione erano tradizionali in questo movimento, sia in Grecia che in Italia, e non avevano in sé niente di criminoso.

Che tali elementi del rito favorissero ogni tipo di comportamento sessuale anche deviante per la morale pubblica, compresa l’omosessualità maschile, ma di che si lamentavano? A Roma come in Grecia, anche se in misura molto minore, la pederastia è diffusa, la praticano pure gli imperatori, è solo condannato (ma solo virtualmente) il sesso tra due maschi adulti, ma non quello verso gli adolescenti.

Vennero tuttavia, nonostante ciò perseguitati, arrestati e uccisi tutti i partecipanti, circa 7000 persone, uomini e donne. Lo stesso Livio afferma che ci furono più sentenze di morte che carcerazioni. Terrorizzati dalla ritorsione, i Baccanali di matrice misterica non vennero mai più riproposti a Roma e sopravvissero solo come festa propiziatoria e celebrati il 15 e il 16 marzo, perdendo la loro connotazione misterica.



L'INIZIAZIONE

Ispala narra che nei Baccanali chi si rifiutava di fare o subire violenza veniva ucciso, come vittima sacrificale alla divinità: sostenendo che le vittime sarebbero state sacrificate in maniera molto teatrale, legandole a macchine che le trascinavano in oscure caverne, in modo da far credere alla folla dei partecipanti che gli uccisi erano stati «rapiti dal Dio».

Ma questa era una pratica molto frequente nell'iniziazione di molti riti misterici. La discesa dell’iniziando in una caverna simboleggiava la discesa nel mondo degli inferi, e quindi la morte rituale e simbolica, dell’individuo, che rinasceva come iniziato. Nel processo non fu trovato nulla che confermasse queste accuse di omicidio reale a scopi rituali. L’accusa di «cospirazione» contro la repubblica era inesistente.

BACCANTE
IL GIURAMENTO

Coniurare e coniuratio sono le parole usate ripetutamente da Livio nel riportare l’accusa di cospirazione, desunta da un’associazione tenuta al giuramento comune dei soci. Ma si giurava in tutti i riti misterici, perchè si era tenuti al segreto, lo fanno ancora oggi i massoni, ma non per questo sono un'associazione segreta, semmai, come i Baccanali, hanno rituali segreti.

Il segreto da mantenere era ovviamente quello «comunicato» dal Dio ai suoi seguaci, e non il segreto di una congiura politica diretta a sovvertire la repubblica, ma’implicazione del testo è che la coniuratio dei Baccanali fosse rivolta contro la repubblica.

Coloro che stavano per essere iniziati al dionisismo, sia in Grecia che a Roma, «pronunciavano le formule di preghiera ripetendo le parole del sacerdote» (Liv, 18, 3), onde fare un giuramento sacro del non divulgare i segreti della società misterica. Il giuramento riguardava soprattutto la segretezza sul contenuto dei riti, che creava a lato una certa solidarietà tra i membri del gruppo.

All'inizio dell’inchiesta i magistrati cercano ossessivamente tutti i sacerdoti del culto e di tutti coloro che si fossero impegnati col famoso giuramento; i consoli dal loro canto dovevano evitare le ulteriori riunioni e cerimonie, anche fuori le mura. Un vero accanimento.

Dopo aver annunciato i premi per i delatori ed un giorno per la comparizione volontaria in giudizio, i consoli ottennero molte confessioni: poi si recarono anche fuori città per processare sul posto molti congiurati fuggiaschi. Ma di che delitti si parla? Del delitto di "coniura".

La condanna a morte dei colpevoli non si trova, nel racconto di Livio, mai comminata dal senato né dai consoli: era tuttavia implicita nell’accusa di coniuratio. Ma quali potevano essere i delitti sessuali dell'epoca, tenendo conto che le ragazzine potevano sposarsi a 12 anni e che gli adolescenti erano legalmente oggetto di concupiscenza dai maschi adulti? Non si sa.
DIONISO BACCO (ANCHE SE HA IL SENO)

LA PROVOCATIO

«Esiste a Roma un principio più volte ribadito mediante lex publica, che taluni fanno risalire addirittura all’età regia e che viene definito dallo stesso Livio «l’unica garanzia della libertà» (Liv, III, 55, 4). In base a questo principio, il cittadino romano maschio condannato a morte o alla fustigazione poteva «provocare ad populum», poteva cioè pretendere che il magistrato convocasse il comizio centuriato che, con regolare votazione, confermasse la condanna o assolvesse. 
Ne seppe qualcosa Cicerone, che, avendo violato questa legge, venne bandito da Roma (grazie a Giulio Cesare) e i suoi beni vennero confiscati, per aver fatto uccidere i congiurati di Catilina senza aver eseguito la «provocatio».

BACCANTE
Nel processo dei Baccanali non esiste "provocatio", perchè fu una vera e propria «caccia alle streghe», perseguita tanto dai patrizi che dai plebei. Cosa li univa?

Sant’Agostino riporta Varrone, nel De civitate Dei (6, 9): 
«I Baccanali vengono celebrati con tale follia, che lo stesso Varrone ammette non potersi compiere cose simili se non da menti turbate. Ma esse in un secondo tempo dispiacquero ad un senato più sano di mente (sanior) che comandò di abolirle».

Livio ci ha descritto i Baccanali come una congiura segreta rivolta a cospirare contro la repubblica, ma le parole di Postumio sono:
« Son certo che voi sapete non solo per sentito dire, ma per lo strepito e per gli ululati notturni che risuonano per tutta la città, che ci sono i Baccanali: da un pezzo in tutta l’Italia e ora anche a Roma in molti luoghi; peraltro non sapete di cosa si tratti: e alcuni credono che sia una religione, altri un gioco o uno scherzo permesso».

Qualcuno vi vede una contrapposizione tra i gruppi del severo e moralista Catone contro i gruppi dei disinvolti e liberali Scipioni, seguaci della libera cultura greca. Eppure questi ultimi non si mossero. 
E' vero che i baccanali, festa di culto greco vennero repressi nel 186 a.c. ma Catone divenne censore due anni dopo, nel 184 a.c.

E il famoso "senatus consultus de Bacchanalibus", scoperto a Tiriolo in Calabria, proibiva tutti i riti bacchici, permettendone la celebrazione in qualche caso speciale, previa autorizzazione del senato e a condizione che al rito non partecipassero più di cinque persone alla volta, due uomini e tre donne.

La misura del senato non piacque alla popolazione, soprattutto nelle città della Magna Grecia, specialmente a Taranto, dove occorsero alcuni anni perché il senatoconsulto avesse piena applicazione, dopodiché i Baccanali non riapparvero mai più in Roma.



I CULTI STRANIERI

E poi, cosa poteva rimostrare Roma contro i culti greci, i culti romani ufficiali erano assolutamente greci: quasi tutti gli Dei romani erano stati importati dalla Grecia, da Giove a Giunone, da Minerva a Marte, da Mercurio a Vesta, da Apollo a Diana ecc. ecc. 

Perfino Cibele era straniera e pure orientale, per non parlare di Mitra. Furono gli Dei stranieri a soppiantarsi a Roma più che gli Dei italici. Naturalmente il senato non poteva eliminare il culto del Dio Bacco, pena la sua collera divina. Il suo culto era ammesso, ma sotto il controllo delle autorità religiose ufficiali. 

Le celebrazioni del culto di Bacco proseguirono a Roma e in Italia anche dopo il processo del 186 a.c.: l’iconografia e le fonti testimoniano la presenza di Bacco sia in età repubblicana, presenza che il liberale Giulio Cesare contribuì a rinverdire, che in età imperiale. 

Una lista dei membri di un collegio di iniziati, del II sec. d.c., rinvenuta a Tuscolo, nel Lazio, e di cinquecento nomi, tra schiavi e liberti, attesta la prosecuzione del culto misterico. Del resto i sarcofagi romani e gli affreschi (famosi quelli della «Villa dei misteri» di Pompei), erano pieni di simboli dionisiaci e relative immagini. 

Ma venne ritrovata a Firenze un'altra lista, anche questa di quasi cinquecento persone coinvolte nel culto segreto di Iside, Dea egizia più volte bandita anch'essa da Roma. Naturalmente era stata bandita per cui la gente si riuniva segretamente sfidando le ire dello stato.

CULTO DIONISIACO

LA SENTENTIA

Nel 1640, nella cittadina calabrese di Tiriolo, mentre si scavavano le fondamenta per la costruzione del palazzo del principe Cigala, fu rinvenuta una tavola di bronzo che riportava un’iscrizione. Si trattava nientemeno del testo del senatoconsulto del 186 a.c., che proibiva i Baccanali:

«Nessuno, uomo o donna che sia, potrà essere capo o sacerdote dei Baccanali, nessuno dovrà essere seguace dell’associazione; è proibito unirsi e legarsi con giuramento, raccogliere denaro, promettersi aiuto reciproco. E’ vietato altresì celebrare i riti sacri in pubblico, in privato e in segreto; soltanto il pretore urbano, dopo essersi consultato e avere ottenuto l’assenso del Senato, potrà concedere a non più di cinque persone il permesso di celebrare un Baccanale. Per coloro che contravverranno a tali disposizioni è comminata la pena di morte» (!).
Si ordina quindi di scolpire su tavole di bronzo la decisione del Senato e di diffonderla il più possibile nei forum. «Entro dieci giorni dalla consegna della tavola, tutti i luoghi dove si tenevano i Baccanali, a meno che non contengano altari o statue sacre, dovranno essere demoliti



IL MISTERO SACRO

A Cuma un’iscrizione del V secolo a.c. allude ad un sepolcreto esclusivamente riservato ad associati dionisiaci, a Puteoli due iscrizioni romane rivelano l’esistenza di un "thiasus Placidianus" del quale facevano parte "sacerdotes orgiophantae". Ma il documento più espressivo di quanto fosse profondamente amata la religione dionisiaca in Campania è offerto dall’affresco misterico della famosa Villa. Testimone di un culto che, fiorito altrove, si era tuttavia intimamente radicato sino ad assumere un sua propria ed indipendente fisionomia.

BACCANTE
L'avvento del mito dionisiaco risvegliò un’appassionata adesione, come una liberazione e un'esigenza dell’animo umano di esprimersi in relazione all’Infinito.

In Dioniso ci si poteva lasciare andare, fino a sperimentare un’indicibile e gioiosa totalità. Per di più la gioia che il Dio annunciava era accessibile a tutti, anche agli schiavi e a coloro cui erano interdetti i culti gentilizi.

Finalmente la parte razionale si faceva da parte, aprendo le porta a quell'Anima Mundi che la filosofia greca aveva in ogni modo tentato di contattare, o meglio tentato di capire come se ne potesse ottenere il contatto.

In Dioniso non c'erano distinzioni tra uomini e donne, patrizi e plebei, schiavi e liberi. L'uomo torna ad essere totale ed integro, nella sua animalità e nella sua sensibilità, tanto più sensibile quanto più conosce la sua istintualità, contrariamente a quanto si pensa nella società di oggi e pure di ieri.

I sacri misteri avevano compreso che l'istinto è bruto quando non conosce se stesso, quando si abbandona senza coscienza, e aveva scoperto peraltro che era possibile abbandonarsi pur rimanendo perfettamente consapevoli (che è pure il fine di tante discipline dello yoga).

La consacrazione dionisiaca si adempie nel “furore bacchico”, bakcheía che trasforma l'iniziando in bákchos. Tale furore è beatitudine, come illustra appassionatamente il canto introduttivo delle Baccanti euripidee. La terra si tramuta in un paradiso, latte, vino e miele sgorgano dal suolo, le menadi porgono il seno a un piccolo capriolo; ma accanto all'atmosfera paradisiaca si affianca la ferocia assassina, i “furiosi” diventano irrefrenabili cacciatori di bestie e di uomini, fino a tagliarli a pezzi, fino al “piacere dell'omofagia”.

La presenza sulla parete centrale di Dioniso che, lasciato il tirso ed ebbro d’amore, si abbandona fra le braccia di Arianna, imponentemente seduta in trono, offre la chiave d’interpretazione del sacro divenire. La donna è la tenutaria dei segreti divini della natura, lei è l'Anima Mundi, natura selvaggia e cosmo, senza di lei non ci sono Dei.

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VILLA DEI MISTERI - POMPEI

LA DOMINA DELLA VILLA DEI MISTERI

Così lo sguardo del visitatore scorre fino al centro della scena dove la coppia divina si manifesta in scena compiuta, di madre con figlio, di amante con amante. Solo un’altra figura possiede la stessa prerogativa.

Sulla sinistra è ritratta la Domina, la Signora della villa, con lo sguardo assorto e serenamente rivolto ad una giovane donna,  sulla parete meridionale, una sposa che si prepara alla sua notte coniugale.

La Signora della casa è una matrona campana,  sacerdotessa del culto bacchico, e committente dell’affresco, viene da Kerènyi associata per la sua posizione alla regina di Atene durante la celebrazione del culto dionisiaco statale. A Pompei si trovano spesso immagini di sacerdotesse, il cui esercizio era prerogativa del patriziato e si tramandava di madre in figlia, come privilegio di nobiltà.

Le donne sono le uniche celebranti, come nel mito furono le inseparabili compagne del femmineo dio, modelli archetipali delle comunità femminili che ne officiavano il culto misterico, a parte un giovanetto e alcune figure mitiche, sileni e satiri, parte consueta della cerchia dionisiaca.

Dioniso infatti, figlio e amante della Madre natura, in essa muore e risorge come figlio-vegetazione-annuale, col suo mistero di morte e rinascita. Nistero copiato senza intenderlo affatto dalla chiesa cattolica che ne ha fatto un incidente drammatico sull'accoglienza della divinità che incautamente si presenta in veste di uomo ai mortali.

L’erotismo estatico e l’aspetto frenetico della possessione dionisiaca erano connaturati a una dimensione sovrasensibile della vita percepita dalla natura femminile. La Natura era considerata la grande Prostituta, quella che si accoppia ovunque e sempre, tenendo conto che nelle società primitive la prostituzione era sacerdotale e sacra.

La follia del culto e dei riti è la necessaria uscita dagli schemi, come prima e ultima lama dei Tarocchi essa è l'inizio e la fine, pur non essendo la stessa follia al termine dell'opera, in quanto presenza consapevole dell'istinto universale, ricongiunzione all'Anima Mundi, ricongiunzione del maschile col femminile, come nell’androgino Dioniso. Il Mistero dionisiaco è il mistero dell'universo e dell'uomo, del macrocosmo e del miscrocosmo, della vita e della morte cui segue una novella vita.


MENADI ESAUSTE (QUADRO INCOMPIUTO)

LE MENADI OVVERO LE BACCANTI

Le menadi, dette anche Baccanti, Tiadi o Mimallonidi, furono donne reali anche se in parte mitizzate (negativamente) che vestite con pelli animali, con in testa una corona di edera o quercia o abete, presero le strade dei monti abbandonando case e talami per celebrare il Dio Dioniso, il liberatore. 

Tutto questo accadde all'incirca nel VI - V sec. a.c., quando le donne greche vennero coperte dai pepli dai capelli ai piedi e rinchiuse  nelle galere dei ginecei. Perchè di galera si trattava in quanto non potevano uscire neppure per fare la spesa.

Però uno spirito libero ancora era stato conservato se al richiamo del Dio le greche ebbero il coraggio di abbandonare mariti e figli per fuggire sui monti. Perchè le antiche greche un tempo gareggiavano nude nelle palestre, vestivano con la veste corta e un'unica spallina come Diana e un tempo avevano diritto al voto, tanto è vero che furono le donne a decretare col loro voto che il Partenone dovesse essere dedicato ad Athena anzichè a Nettuno, come gli uomini invece desideravano.

Dunque le donne greche con l'avvento di Dioniso hanno un risveglio: "abbandonarono le case e andarono sui monti a fare riti orgiastici dove danzavano e si scatenavano fino a tornare a notte tarda a casa stanche morte"

Dice Dioniso“Io ho impugnato la sferza della follia e ho spinto queste donne fuori dalle loro case in preda alla pazzia verso la montagna”.

Allora le donne che se ne vanno dalle loro case, che abbandonano i telai e i figli ancora da allattare e vanno in montagna in preda a questa follia sono pazze.
In realtà non erano pazze ma rivendicavano la loro libertà, perchè in Grecia avvenne una cosa simile, le donne si ripresero la libertà, allora gli ateniesi prima negarono il culto di Dioniso, poi lo accolsero ma ne fecero un culto ben controllato e senza riti orgiastici.

Cosa c'era di così scandaloso nei Baccanali, in una Roma dove la suburra pullulava di lupanari, dove oltre alle donne si prostituivano anche i maschi, dove Cesare va a letto, oltre che con le donne, con i propri generali, dove Traiano e Adriano vanno coi maschi e i padroni vanno con le schiave e, ma non si dice, le donne vanno con gli schiavi? 

Appunto, non si dice e si può fare solo se non si dice. La paura è quella della licenziosità delle donne, se le donne sono libere di abbandonarsi al sesso, tutti i maschi, nell'immaginario maschile verranno traditi. 

I romani sono abbastanza maschilisti, poi accordarono diritti alle donne grazie ad Augusto (che saggiamente ascoltava Livia), infatti accordò alle donne il divorzio e la scelta (dopo aver partorito tre volte) di sganciarsi dall'autorità maritale. Dovranno passare ben duemila anni affinchè le donne possano ottenere di nuovo questi diritti.

I Baccanali fecero paura perchè liberavano, almeno durante le feste, tutte le donne, questa fu l'autentica paura, e i romani non potevano permetterselo, altrimenti addio "mos maiorum", addio al moralismo di Catone, addio al dominio dell'uomo sulla donna. Settemila morti non li faceva nemmeno una guerra, ma lo fece la paura della liberazione sessuale della donna romana. .


BIBLIO

- Tenney Frank - The Bacchanalian Cult of 186 b.c. - in Class. Quarterly - XXI - 1927 -
- P. G. Walsh - Making a Drama out of a Crisis: Livy on the Bacchanalia, in Greece & Rome - vol. 43 - - 1996 -
- Basilio Perri - L’affare dei Baccanali, uno spregiudicato strumento di lotta politica - Città di Castello - 2013 -
- Sarolta A. Takács - Politics and Religion in the Bacchanalian Affair of 186 B.C.E. - Harvard Studies in Classical Philology - vol. 100 - 2000 -
- M. Riedl - The Containment of Dionysos: Religion and Politics in the Bacchanalia Affair of 186 BCE - - International Political Anthropology - vol. 5 - 2012 -

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