SERRATURA ROMANA DA ERCOLANO |
Nell'antica Roma non esistevano le banche, e il denaro, in oro e in argento, era abitualmente conservato in casa in vere e proprie casseforti. Si trattava di casse estremamente robuste e capienti, che potevano contenere sia monete che vari oggetti preziosi, sia gioielli che servizi da tavola in argento.
Abitualmente le casseforti erano sistemate negli atri, in piena vista, in modo da rimandare all'opulenza economica del proprietario della domus. Se il dominus aveva bisogno di una cassaforte significava che aveva oggetti preziosi e denaro da riporre, pertanto era ricco.
L'inviolabilità di queste antesignane delle moderne casseforti era assicurata da una o più complesse serrature con tanto di chiavi, dalle quali il proprietario raramente si separava per affidarle, nel caso, ad un "portiarius", schiavo di sua completa fiducia, incaricato di trasportarle al seguito del suo padrone.
SERRATURA ROMANA DA POMPEI - MUSEO ARCHEOLOGICO DI NAPOLI |
CHIAVI ROMANE AD ANELLO (SIGILLI) |
Pertanto le casseforti o i cofani contenenti documenti importanti erano di solito apribili o chiudibili attraverso un sigillo di solito realizzato in bronzo.
Tutti i nobili possedevano un proprio sigillo, perfino l'imperatore l'aveva, piuttosto elaborati per non poter essere facilmente contraffatti. Divennero insomma uno degli strumenti di sicurezza dell'epoca e se ne fecero anche in argento e in oro.
Le stanze interne delle case romane spesso non avevano porte, ricorrendo piuttosto ai tendaggi, a parte una robusta, di legno massiccio e ferro che chiudeva il portone esterno, e un'altra a protezione dell'atrio, che era in genere il luogo dove venivano tenuti la piccola cassaforte con il denaro e gli oggetti preziosi di famiglia.
Nelle famiglie più importanti e più ricche, al momento delle nozze il marito invitava la sposa a condividere sia le chiavi che il sigillo. Questo gesto rappresentava un simbolo della fiducia che lo sposo riponeva nelle capacità amministrative della consorte.
TIPI DI SERRATURE |
A volte erano gli schiavi di fiducia ad avere questi ruoli e ad avere la responsabilità della conservazione delle chiavi nonchè del controllo continuo delle serrature che riguardavano sia le "fauces", cioè della porta di casa in città, quanto quelle della cassaforte o dei magazzini, o delle case di villeggiatura o delle ville rustiche
Le serrature vere e proprie divennero sempre più raffinate e con incastri sempre più complesse che richiedessero l'opera di esperti fabbri onde non potessero venire contraffatte facilmente. In questi schemi de ne vedono gli ingranaggi di alcune, come si vede, piuttosto diverse tra loro.
Il ferro ben presto sostituì il rame e il bronzo, fornendo utensili alle arti, ai mestieri artigiani, ai lavori dei campi alle armi di offesa e difesa e pure per serrature e chiavi. I Romani furono tra i primi in Europa a conoscere perfettamente la tecnica di forgiatura del ferro e si pensa che tanta abilità fosse derivata dall'uso continuo di fabbricazione di armi e armature.
RESTI DI UNA SERRATURA ROMANA |
nel mondo, idearono diverse tipologie di bloccaggio. Per la fusione in bronzo veniva usata una lega costituita dell'85 per cento di rame e dal 15 per cento di stagno.
Il modello di serratura più usato in assoluto era quello con la chiave a rotazione nella toppa, perdurato nei vari secoli, ma pure quello con funzionamento della chiave a doppia spinta, caratteristico di quest'epoca e usato fino circa al 700 d.c.; c'era poi quello con funzionamento della chiave per sollevamento, detto capucine, ma veniva usato più raramente, anche se tuttavia ebbe un uso continuativo nei secoli.
La forma delle chiavi in ferro è più o meno quella classica che abbiamo sempre visto, costituita da un'impugnatura, un'asta e un pettine. Il sistema di forgiatura usato fu quello della chiave maschia dal massello. Le impugnature sono tonde, raramente ovali, talvolta sormontate da una piccola pigna.
La sezione del fusto era quasi sempre rettangolare. Le poche chiavi in ferro con l'asta di sezione circolare sono quelle di piccole dimensioni con l'impugnatura snodata usate per i lucchetti. Già, perchè i romani conoscevano e usavano spesso e volentieri i lucchetti.
Le aste erano sempre piene e piuttosto corte; i pettini, cioè la parte della chiave che, inserita nella serratura, spinge avanti o indietro il chiavistello, erano composti da più denti verticali che, variavano in una infinità di combinazioni, in modo da evitare assolutamente i doppioni, ma variabili a seconda del numero, della disposizione e della forma della sezione, dando così luogo a una possibilità di infinite combinazioni.
Invece la chiave detta "chiave a doppia spinta" aveva un procedimento del tutto particolare, perchè affinchè funzionasse doveva venire spinta verso l'alto per sbloccare i perni di bloccaggio e subito dopo doveva venire tirata a destra o a sinistra per trascinare il chiavistello.
Il numero di denti era variabile, poteva andare da due a quattro, a sei e a otto, in genere di numero pari e se superiore a due i denti venivano disposti su due file. Tuttavia la disposizione anche se in fila doppia poteva cambiare da modello a modello.
Le chiavi più semplici o, se vogliamo, più povere, venivano fuse in ferro, ma quelle più sontuose venivano fuse in bronzo, con la tecnica della cera persa, talvolta con fusioni raffinate ed inserti in oro. Comunque l'arte romana era talmente evoluta e raffinata che, sia in ferro che in bronzo, l'impugnatura aveva sempre un fregio o un qualcosa che la rendesse minimamente elegante.
Le impugnature erano infatti o di forma geometrica, oppure zoomorfa o guarnita di volute. Di solito erano piuttosto grandi e pesanti, di certo non adatte da portare in tasca. Ce ne hanno fornito un notevole esempio le numerosi chiave rinvenute a Ercolano e a Pompei, che erano a volte autentici capolavori.
Le basi delle chiavi di bronzo a loro volta avevano spesso la forma di capitelli o basamenti. L'asta, di sezione rettangolare se maschia, o tonda se femmina, rispettava un po' le proporzioni correnti.
CHIAVI A FOGGIA DI ANIMALE |
L'esecuzione di tali strumenti erano affidate a veri mastri dell'artigianato che sicuramente si facevano pagare bene per tanta maestria.
I pettini di bronzo erano ancora più elaborati di quello delle chiavi in ferro e in genere presentavano molti denti con l'aggiunta in alcuni casi di una o due complicazioni laterali, di forma simile alle mappe dei pettini a cartella, nel caso di chiavi a doppia spinta, o da intricate mappe, per chiavi a rotazione o a sollevamento.
Un padrone di casa che mostrava la sua chiave già forniva un indizio della sua posizione sociale, ma pure della qualità del suo senso estetico, se sapeva comprendere o meno il livello della lavorazione artistica dell'oggetto.
BIBLIO
- Ranuccio Bianchi Bandinelli, Enrico Paribeni - L'Arte dell'antichità classica. Grecia - Torino - UTET - 1986 -
- Alfonso De Franciscis - Note sull'arte dell'Italia antica - Libreria scientifica editrice - 1969 -
- Carlo Fea - Discorso intorno alle belle arti in Roma - 1797 -
- Paul Zanker - Arte romana - Bari - Economica Laterza - 2008 -
BIBLIO
- Ranuccio Bianchi Bandinelli, Enrico Paribeni - L'Arte dell'antichità classica. Grecia - Torino - UTET - 1986 -
- Alfonso De Franciscis - Note sull'arte dell'Italia antica - Libreria scientifica editrice - 1969 -
- Carlo Fea - Discorso intorno alle belle arti in Roma - 1797 -
- Paul Zanker - Arte romana - Bari - Economica Laterza - 2008 -
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