NANIGLIO DI GIOIOSA IONICA (Reggio Calabria)

LA CISTERNA

La Villa romana del Naniglio è locata  in contrada Annunziata, dell’ex feudo di Santa Maria delle Grazie, aldifuori della cittadina di Gioiosa Jonica, in provincia di Reggio Calabria, ed è stata edificata verso la fine del I sec. a.c. Probabilmente si trattava di un podere di grandi dimensioni come ne esistevano nel resto del Bruzio legati alla proprietà terriera.

PLANIMETRIA DELLA VILLA ROMANA
(INGRANDIBILE)
Nel territorio di Gioiosa è nota la presenza di insediamenti di diverse età incluso il periodo romano che conferma la frequentazione della Vallata del torrente, essenziale snodo per il traffico dallo Jonio al Tirreno.

Ma nel podere si elevava una villa imponente e di grande prestigio, ubicata sul declivio nord orientale della valle del fiume Torbido, a breve distanza dal mare ed in una parte del costone al riparo da eventuali esondazioni del fiume.

Sembra che la villa raggiunse il massimo splendore intorno al III sec. d.c., per poi subire un lento e progressivo abbandono nei secoli successivi. Essa sta sotto la strada 281 che collega Gioiosa con il paese di Mammola.

La pianta presenta un corpo principale di forma allungata, con annessi alle estremità due corpi più piccoli. Gli scavi archeologici, condotti tra il 1981 e il 1986 da Alfonso de Franciscis, hanno messo in luce solo il settore inferiore della villa a cui si accede  mediante una scaletta elicoidale a spirale.


Tuttavia alle due estremità di questo settore residenziale si trovano alcuni ambienti, con pavimenti a mosaico policromo a motivi geometrici e intonaco dipinto sulle pareti e nel 2010 sono stati condotti degli scavi, ancora inediti, che hanno messo in luce un’ampia sala ottagona e diverse canalizzazioni, una delle quali si collegava probabilmente alla cisterna sottostante.

Nella zona a Sud della villa si trova inoltre un complesso di ruderi non ancora scavato, che corrisponde al quartiere termale e che comprende una monumentale cisterna di età Romana (I-V sec. d. c.), a tre navate scandite.

La cisterna ipogea è un capolavoro di ingegneria, alla quale si accedeva in antico dal livello superiore per mezzo di una scala a chiocciola.

Questa giace sotto il manto stradale della SS. 281, è coperta da una serie di volte a crociera, e presenta un lucernario centrale.

ESTERNO DELLA CISTERNA
Le volte sono sorrette da otto poderosi pilastri quadrangolari, disposti su doppia fila e su di esse, era impostato il pavimento su cui erano impostati i vani vani della villa.

L'interno la cisterna misura una lunghezza di m. 17,47 ed una larghezza di 10,27. Nella parte centrale del grande ambiente è collocato un pozzo per la decantazione delle acque. La scala di accesso ai locali interrati è visibile all'esterno ed è coperta da una specie di cappelletto in muratura ordinaria.

Degli altri due vani minori, il primo è sormontato da una volta a botte, munita di lucernario circolare centrale; il secondo con due lucernari circolari di grandezza diversa. In questa stanza è situata un’edicola in cotto che presenta i residui di un elegante frontone, si trattava di un Ninfeo, cioè di un luogo dove si andava a godere del fresco e della penombra, e dove scorreva naturalmente dell’acqua.

L'ambiente maggiore, cioè la sala principale, è stato costruito con materiale prevalentemente laterizio, rivestito da intonaco e tre delle pareti presentano alla sommità tre orifizi tubolari, con abbondanti incrostazioni calcaree.


Spettacolare la scala costruita in laterizi, formata da 24 gradini, dalla forma elicoidale che si sviluppa intorno ad un pilastro circolare in una torre cilindrica che doveva condurre ad un terrazzo posto in alto. Presumibilmente la torre dove si sviluppava la scala era sormontata da una cupola.

La costruzione è spettacolare e risulta interessante notare come nel corso dei secoli, nonostante le manomissioni, le strutture si siano mantenute integre, mostrando l'ingegno dei progettisti e la perizia dei costruttori.

L'edificio viene datato dagli studiosi tra il II ed il III sec. d.c. ed è stato interpretato come una grande cisterna per l'approvvigionamento idrico all'epoca di costruzione, per essere utilizzata poi come ninfeo in un secondo tempo.

I MOSAICI

IL TEMPIO DEL SOLE

Altri studiosi sostengono però che il Naniglio fosse un tempio del sole poichè:
- la voce toponomastica “Naniglio”, viene fatta derivare da un etimo Naòn-Helìon, tempio del sole.
- il ritrovamento nel Castello dei Pellicano a Gioiosa Jonica di un busto marmoreo, raffigurante un Genio Mitriaco, e presumibilmente proveniente dal Naniglio sito anch’esso nella tenuta agrario dei Pellicano.
- il ritrovamento nelle vicinanze del Naniglio di una moneta bronzea dell’imperatore Giuliano l’Apostata strenuo propugnatore del culto solare. La notevole diffusione nel Bruzio, del culto Mitriaco.
- una certa rispondenza di particolari con il Mitreo delle terme di Caracalla a Roma, ipogeo anch’esso e associato all’edificio termale, nonché dotato anch’esso di ara, di lucernari alle volte, e di scaletta a chiocciola di accesso.

IL NINFEO

IL NINFEO

Il ninfeo era un ambiente dove si poteva godere del fresco nei periodi più caldi; la tesi è avvalorata dalla presenza della scala in primis ma anche dai vani accessori in uno dei quali si trova una bella edicola in cotto.

Nell'area Nord orientale del Naniglio, sono venuti alla luce tre ambienti contigui decorati da altrettanti pavimenti musivi. Di questi, due si presentano completi mentre un terzo, in seguito al crollo di alcune strutture, è stato danneggiato.

La posizione dei frammenti che provenivano dall'area soprastante hanno dimostrato che è stato un evento di origine naturale, molto violento, a causare la distruzione del mosaico. Nella stessa area del complesso sono venuti alla luce frammenti riconducibili ad una pavimentazione in opus spicatum.



GLI AMBIENTI SUPERIORI

Della villa sono stati individuati tre ambienti, nominati con le lettere A-B-C che presentano pavimenti mosaicati. Il pavimento dell'ambiente A è venuto alla luce nell'ottobre del 1981 ed è costituito da due parti distinte e separate: la prima a cassettoni in bianco e nero, ed una seconda con un singolarissimo rosone prospettico anch'esso in bianco e nero ma con al centro bellissime tessere colorate. 

IL ROSONE
Lo spazio vuoto tra il rosone ed il rettangolo che lo contiene, è riempito da motivi vegetali ripresi da quelli di epoca ellenistica. Il rosone della villa di Gioiosa, pur rientrando nella categoria dei clipei geometrici, si differenzia dagli altri per la presenza dei triangoli che forano corone circolari.

Ma c'è di più, perchè, per la sua realizzazione, sono state usate tessere in pasta vitrea dai colori brillanti: una pratica considerata piuttosto rara per un mosaico a terra, più usuale per quelli parietali. Infatti le pastre vitree erano di notevole costo e notevole valore, tanto che con esse si facevano monili o si sostituivano le pietre mancanti in un collier o in un bracciale di pietre preziose.

Il tappeto musivo si compone di una fascia di raccordo di tessellatum bianco ad ordito orizzontale seguita da un bordo esterno di due fasce nere di quattro file di tessere ciascuna divise da uno spazio bianco di sei file di tessere.

Lo schema del mosaico è condizionato dai due tipi di decorazione che devono separare gli spazi di diversa destinazione: probabilmente si trattava di un cubiculum dove i cassettoni indicavano la zona occupata dal letto, ed il rosone, usato spesso tipo emblemata nel I sec. d.c. designava invece, un'area libera. Il rosone si trova spesso in pavimenti musivi di I sec. d.c.. 

Il mosaico relativo all'ambiente B è in opus tesselatum, di forma rettangolare e copre interamente la superficie del vano. Quest'ultimo conserva le pareti in alzato per un'altezza di 50 cm circa e risulta decorato da intonaco nero. Il mosaico misura complessivamente m 6,60 X 3,50. Le tessere, in bianco e nero, sono in calcare e basalto. 


La decorazione vera e propria è costituita da rosette a sei petali, da un quadrato curvilineo, stella a quattro punte, coppia di losanghe, coppia di pelte, svastica, scacchiera e triangoli.Tutti i motivi decorativi trovano confronto con altri mosaici rinvenuti a Pompei, ad Oplontis, ad Ostia ma anche a Cartagine. 

Lo smottamento del ciglio della scarpata, ha compromesso invece la conservazione del pavimento musivo del vano C, dove erano state impiegate, anche in questo caso, tessere bianche e nere rispettivamente in calcare e basalto. Si tratta di un tessellatum bianco ad ordito orizzontale sia all'interno che all'esterno. Sulla base degli studi effettuati dagli archeologi è stato constatato che doveva trattarsi di un ambiente molto grande poiché la fascia di raccordo presenta una larghezza proporzionale alle dimensioni del tappeto musivo.

Gli archeologi, sulla base degli scavi, hanno ipotizzato inoltre che i tre ambienti mosaicati appena descritti fossero in comunicazione tra di loro tramite due aperture poste sui lati meridionali di ogni ambiente. I mosaici che abbellivano gli ambienti A e B presumibilmente sono inquadrabili nell'ultima fase di vita dell'edificio che gli studiosi collocano tra il II ed il III sec. d.c.



BIBLIO

- AA. VV. - La villa romana del Naniglio di Gioiosa Jonica a cura di Alfonso De Franciscis - Ed. Bibliopolis - Napoli - 1988 -
- E. Barillaro  -  Gioiosa Jonica – Lineamenti di storia municipale - Ed. Frama Sud - Chiaravalle Centrale - 1992 -
- Claudio De Palma - La Magna Grecia. Storia e civiltà dell'Italia meridionale dalle origini alla conquista romana - Roma - Newton Compton Editori, 1990 -
- R. Agostino, E. Grillo - I Pavimenti musivi del complesso del Naniglio di Gioiosa Jonica, in Atti del XVIII Colloquio AISCOM - Cremona, 14-17 marzo 2012 - Edizioni Scripta Manent - Tivoli - 2013 -
- P. Larizza - La Magna Grecia - Reggio Calabria - Istar Editrice - 1993 -

Nessun commento:

Posta un commento