IL LUCUS SACRO
Almeno in area mediterranea ed europea, ma non solo, il primo luogo sacro fu il bosco, in latino lucus, plurale luci. Il bosco è misterioso, pieno di vita, ma anche di pericoli, lì la natura, che un tempo riempiva quasi tutta l'area di boschi, si esprimeva col suo lato accogliente per le bacche, le erbe e la legna per il fuoco e le capanne, ma anche col suo lato oscuro per le belve, il perdere la strada, i temporali e quella penombra dove il sole penetra con difficoltà.
Presso i Romani un lucus era un bosco consacrato alla divinità, dove si offrivano sacrifici e doni per favorirne l'intervento o ringraziare per il beneficio ricevuto. Nel tempo i materiali votivi già usati ma comunque sacri venivano raccolti in depositi o fosse per lasciare posto ai nuovi. Il Lucus doveva essere connesso a lux (luce), forse la radura nel bosco dove arrivava la luce del sole e si celebravano gli atti di culto.
LE LEGGI DEL LUCUS
Solo nelle campagne permase il culto dei lucus e delle antiche pratiche pagane, per cui a volte gli stessi luoghi vennero adibiti a culti cristiani, vedi la Verna, il luogo sacro di S. Francesco dove c'era l'antico culto pagano della Dea Laverna, protettrice dei rifugiati, degli anfratti e dei nascondigli, tipici di questo territorio montano; e il culto pagano del Dio della montagna Pen, da cui deriva il nome del monte Penna, presso il quale sorge il santuario della Verna.
Le origini dei boschi sacri si perdono nella preistoria e nell'Italia antica e venivano tutelati da leggi, come la lex luci Lucerina (dall'iscrizione rinvenuta a Lucera in Puglia) e la lex luci Spoletina (riportata su due cippi rinvenuti nel territorio di Spoleto).
STATUETTA DI BRONZO LIBERO |
Nel mondo romano l'istituzione dei boschi sacri, dimore delle divinità e quindi patrimonio collettivo rientrava nella pianificazione del territorio. Frontino (I sec. d.c.) testimonia che essi erano parte dell'ager publicus e pertanto ricadevano nell'amministrazione dello Stato.
Con l'avvento del Cristianesimo i boschi sacri furono lentamente abbandonati o più spesso distrutti. Ovvero vennero prima distrutti, ma come per i templi demoliti la gente attaccata alla vecchia fede vi si recava per pregare, finchè l'imperatore ormai cristiano non proibì la sosta nei luoghi pagani con pene severissime, fino alla pena di morte.
Il bosco sacro era detto anche Nemus, e si pensa che l'antico tempio di Diana a Nemi avesse il suo bosco sacro che ha dato il nome al paese, mentre col nome lucus si intese un bosco che aveva una parte sacra, in genere recintata, detta Incus.
Quella separazione segnò la separazione di un'idea. Mentre nei primordi la natura era tutta sacra, poi divenne in parte sacra e in parte profana. Col cristianesimo perse ogni sacralità essendo ritenuta una materia senza vita da utilizzare a piacimento.
Un tempo i romani chiedevano al Genius loci, o al Nume del bosco il permesso di cacciare o tagliare legna, col cristianesimo tutto era stato fatto da dio per l'uomo, che poteva distruggere la natura come poteva, perchè era solo profana. Un tempo i boschi erano abitati da Numi, genii, Ninfe a Satiri, ora la natura è vuota e disanimata.
IL SITO DEL LUCUS PISAURENSIS
Annibale degli Abbati Olivieri Giordani nel pubblicare i Marmora Pisaurensia (1737) annunciò di avere appena scoperto a circa un miglio da Pesaro il complesso votivo di un antichissimo luogo di culto che identificò in un bosco sacro: il lucus Pisaurensis.
Consapevole dell'importanza della scoperta e pressato dai tempi di pubblicazione dell'opera, l'Olivieri preferì limitarsi a una brevissima sintesi dei ritrovamenti.
Aveva infatti deciso di lasciare il materiale intatto per uno specifico trattato, il "De luco sacro veterum Pisaurensium", tanto più che aveva "luogo a sperare" che, proseguendo gli scavi, il numero dei reperti sarebbe aumentato "a larga mano".
Purtroppo il De luco è rimasto all'inizio della fase preparatoria e i dati che se ne possono trarre sono scarsi e ricalcano spesso quelli esposti nella prefazione dei Marmora.
Il complesso votivo attribuito al lucus Pisaurensis, conservato nel museo, è costituito da are (comunemente denominate cippi), monete, terrecotte e bronzetti.
I CIPPI
Il culto nel lucus va valutato in base ai dati archeologici, epigrafici, linguistici e letterari e in particolare occorre tener presente un passo di Giulio Ossequente, come avevano già indicato Braccesi e Peruzzi, dove si cita il suddetto lucus.
Theodor Mommsen, di solito molto attendibile, data le are alla guerra annibalica, se non prima, e, anche in relazione a ciò, oltre che alla presenza delle coloniae di Sena Gallica (283 a.c.) e di Ariminum (268 a. ipotizza l'esistenza di un conciliabulum in prossimità della foce del Foglia (SS2,3).
L'analisi linguistica condotta sui testi induce Peruzzi a riconoscere nel latino delle iscrizioni un latino né rozzo né arcaico, ma un latino diverso da quello di Roma e proprio della classe dominante a Pisaurum, 'per cultura e per censo se non anche per numero', che presenta una facies prettamente sabina.
Scrive Braccesi: 'il misterioso lucus è frequentato luogo di culto fin dai primi anni di vita della colonia, quando già la tradizione, per il 163 a.c., registra il primo sconcertante prodigio avvenuto in Pesaro'. Si tratta del prodigio del sole notturno descritto da Giulio Ossequente (Prod., ad a. 657 Rossbach, p. 168).
Quella separazione segnò la separazione di un'idea. Mentre nei primordi la natura era tutta sacra, poi divenne in parte sacra e in parte profana. Col cristianesimo perse ogni sacralità essendo ritenuta una materia senza vita da utilizzare a piacimento.
Un tempo i romani chiedevano al Genius loci, o al Nume del bosco il permesso di cacciare o tagliare legna, col cristianesimo tutto era stato fatto da dio per l'uomo, che poteva distruggere la natura come poteva, perchè era solo profana. Un tempo i boschi erano abitati da Numi, genii, Ninfe a Satiri, ora la natura è vuota e disanimata.
IL SITO DEL LUCUS PISAURENSIS
Annibale degli Abbati Olivieri Giordani nel pubblicare i Marmora Pisaurensia (1737) annunciò di avere appena scoperto a circa un miglio da Pesaro il complesso votivo di un antichissimo luogo di culto che identificò in un bosco sacro: il lucus Pisaurensis.
EX VOTO DEL LUCUS |
Quanto al materiale si apprende che consisteva in "tredici iscrizioni in lingua e carattere antico e confinante con l'Etrusco, quantità di donari e voti di metallo e terra cotta, statuette grandi di terra cotta, monete di offerte dai tempi più antichi fino ai secoli Romani¹".
I reperti permisero di identificare il sito con un lucus, ossia un bosco sacro romano. Negli scavi settecenteschi furono riportati alla luce monete, terracotte votive e bronzetti. Di particolare importanza sono quattordici cippi votivi in arenaria, con l'iscrizione del nome della divinità a cui il cippo è dedicato, e talvolta anche il nome del dedicante. I cippi sono stati datati alla fine del III sec. a.c., ovvero qualche decennio prima della fondazione della colonia romana nel 184 a.c.
La precisa localizzazione del sito era stata dimenticata dopo la scoperta, ma recentemente è stato nuovamente identificato con il declivio nord-orientale del "Colle della Salute" nei pressi del quartiere di Santa Veneranda. I reperti del bosco sacro (lacus Pisaurensis) rappresentano un patrimonio storico che molto possono aiutare per la ricostruzione della vicenda di Pesaro antica.
Contemporaneamente suscita un ampio dibattito tra storici, archeologi e linguisti, che se ben condotto può dar luogo a una interdisciplina indispensabile per procedere della conoscenza di quel luogo e di ogni luogo archeologico.
Le radici della cultualità rintracciate nel lucus collocato a ridosso di Pisaurum nascono in ambito preromano e forse pre-coloniale, quando ormai i Romani sono si presenti nella zona, ma con tracce ancora esigue e indistinguibili.
Il complesso votivo attribuito al lucus Pisaurensis, conservato nel museo, è costituito da are (comunemente denominate cippi), monete, terrecotte e bronzetti.
I CIPPI
I cippi sono 14, in pietra arenaria e tutti epigrafici (CIL XI 6290 - 6303). Uno di essi reca, per frattura, solamente il nome mutilo della dedicante e il verbum donandi.
Gli altri 13 portano dediche ad Apollo di Novensides, Diana, Feronia, Fides, Iuno, Iuno Loucina, Luno Regina, Liber, Marica, Mater Matuta, Salus. Essi costituiscono una delle più importanti testimonianze di età medio-repubblicana a noi pervenute.
I più recenti studi, propendono per la datazione alta, da riferirsi ad un conciliabulum di coloni viritani formatosi alla foce del fiume Foglia (Pisaurus) precedente alla fondazione della colonia romana di Pisaurum (184 a.c.). Ma ciò sarebbe contraddetto dalle iscrizioni sui cippi del lucus derivanti necessariamente dalla romanizzazione, che col suo apporto legislativo e razionale definiva i confini dei luoghi sacri come di quelli profani, consci che leggi precise evitavano dissidi e conflitti.
LE MONETE
L'Olivieri scrisse delle monete nel De luco, ma né in questa sede né altrove fornì indicazioni sufficienti per individuarle oggi tra le 12.526 monete conservate ai Musei Oliveriani.
Nè sono noti dati o cataloghi di altra mano, che consentano di rimediare alla situazione creatasi nel corso dei secoli. Le notizie più particolareggiate sono comunque quelle fornite dall'Olivieri, dal quale si apprende che le monete erano oltre 4.000 (delle quali una solo d'argento) e "involte...tra carboni intorno all'are"
EX VOTO |
I BRONZETTI
Purtroppo dalla "quantità di donari e voti di metallo" (De luco) ovvero "maximam votorum donariorumque... ex metallo capiam" (Marmora) di cui scrisse l'Olivieri, attualmente è possibile individuare con certezza solamente il bronzetto di cui lo studioso fornisce uno schizzo con la notizia del ritrovamento: "in luco sacro a. 1783 ara quadrata.."
LIBRO - LIBERO
Riferisce l'Olivieri che vicino a questa ara tra carboni e monete fu scoperto questo idoletto di bronzo con le gambe rotte, la cui figura però spiega il LIBRO che è "LIBERO". Per tradizione vengono attribuite al lucus altre due statuette ed una maschera femminile di bronzo di piccole dimensioni.
LE TERRACOTTE
LE TERRACOTTE
Tra le oltre 150 terracotte votive rinvenute nel lucus Pisaurensis si trovano numerose teste e mezzeteste isolate e tutte velate, sia maschili, che femminili e variamente acconciate, e una infantile (in realtà si troveranno diverse statuine di bimbi in fasce), ed ancora più numerosi ex voto anatomici (maschere, braccia, mani, gambe, piedi, mammelle, organi genitali maschili e femminili).
Sono inoltre presenti statue di piccole e grandi dimensioni (figure femminili e maschili, bambini in fasce) nonché animali domestici, zampe di animali, pesi da telaio ed un manufatto tronco-conico iscritto interpretato recentemente come terminus isoscelis.
Sono inoltre presenti statue di piccole e grandi dimensioni (figure femminili e maschili, bambini in fasce) nonché animali domestici, zampe di animali, pesi da telaio ed un manufatto tronco-conico iscritto interpretato recentemente come terminus isoscelis.
I L CULTO ANTICO DIVENTA ROMANO
DEA EX VOTO |
La possibilità che il culto d'epoca romana si innesti su luoghi e tradizioni precedenti è usuale nello stile romano, visti anche i numerosi casi analoghi contemplati a Gubbio, Spello, Assisi, a Bettona, a Urvinum Hortense e a Fanum Fortunae.
La religione romana tendeva a integrare le altre religioni, non peccava di assolutismo come nelle religioni monoteiste, portatrici di guerre di religione, assolutamente sconosciute prima.
I CIPPI
TERMINI O ARE?
La scoperta del lucus è legata alla figura dello studioso pesarese Annibale degli Abbati Olivieri Giordani, autore dei Marmora Pisaurensia, nella cui prefazione annunciò di avere individuato a circa un miglio da Pesaro un antico luogo di culto. Dunque tra il 1734 e il 1737 l'Olivieri scopre il lucus, ne comprende immediatamente l'importanza e raccoglie materiale che, purtroppo, non riuscirà mai a pubblicare, per colpa dell'ignoranza e della trascuratezza dei potenti.
TERMINUS ISOSCELIS |
Resta solo un prezioso manoscritto dell'autore (De luco sacro veterum Pisaurensium, Biblioteca Oliveriana, ms. 474, fasc. 6), unica fonte per affrontare i numerosi problemi che riguardano il bosco sacro. Il primo dei problemi è quello topografico e purtroppo Olivieri ne dà scarse indicazioni.
Sappiamo solo che il rinvenimento avvenne in un campo lontano un miglio da Pesaro, vicino alla Chiesa e Borgo di S. Veneranda, sotto alla Collina di Calibano, di proprietà da tempo immemore della famiglia Calibano. Maria Teresa Di Luca ha analizzato tutte le notizie molto attentamente.
Purtroppo l'indicazione della proprietà di famiglia non restringe l'area, vista l'estensione delle proprietà degli Abbati, degli Olivieri, e dei Giordani, che confluiscono nel patrimonio dello studioso settecentesco.
L'area che la studiosa pensa di aver individuato a seguito dei suoi studi, è quella che si trova sulle pendici nord-orientali del colle che unisce Santa Veneranda a San Pietro in Calibano, nei pressi della chiesetta di S. Gaetano.
M. Teresa Di Luca non concorda con l'ipotesi di Peruzzi che colloca il lucus sul versante sud-orientale del colle, in zona Fonte Magnano, sulla base dell'interpretazione di un manufatto tronco-conico come "terminus isoscelis" (termine isoscele), dato che non si conosce il luogo di rinvenimento del terminus stesso.
La proposta di Peruzzi riguardava il riconoscimento del manufatto come un "terminus isoscelis", cioè un cippo di confine a forma di trapezio isoscele, mentre altre interpretazioni vi avevano identificato un segno di devozione, o un basamento a sé stante o relativo a una statua perduta.
Il cippo è in terracotta, con la superficie percorsa da solchi obliqui, e incise lettere disposte obliquamente. Vi si riconoscono un delta maiuscolo, le parole 'luci coeref' e altre lettere (Cl e LX), forse indicazioni numerali.
Peruzzi basa la sua ricostruzione sui Gromatici (p. 325 L.) e sull'osservazione delle caratteristiche fisiche dei luoghi, riconoscendovi la situazione descritta nel testo tecnico latino: l'altura è la chiesa di S. Gaetano presso S. Veneranda e, in relazione ad essa, il "flumen inferius" di cui si legge nei Gromatici è il Genica (S2) e ''l'aqua viva" corrisponderebbe a Fonte Magnano.
In questo manufatto Peruzzi trova che le parole "luci coerei" di grande importanza, perché "coereus" sarebbe un aggettivo sabino, che indica l'appartenenza del lucus a Giunone sabina, confortato da una testimonianza letteraria, che identifica Giunone con Curis: "curiales mensae, in immolabatur lunoni, quae Curis appellata est" (Paul.-Fest., p. 56, 21-22 Linds.).
Ciò che l'Olivieri rinvenne nel lucus è detto nel manoscritto De luco sacro (c. 5 r.): "tredici iscrizioni in lingua e carattere antico e confinante con l'Etrusco, quantità di donarii e voti di metallo e terra cotta, statue grandi di terra cotta, monete di offerte dai tempi più antichi fino ai secoli Romani".
Nel 1783, si rinvennero ancora una base (CIL 12 XI, 6303), un bronzetto e altre monete. Il materiale si può vedere esposto nel Museo Oliveriano, ma non c'è certezza sulla provenienza dei reperti votivi minori: potrebbero esservene di pertinenti ad altre zone.
Tra i reperti si riconoscono, spesso di mediocre fattura, in quanto ottenute a stampo, come di solito avviene per tutti gli oggetti votivi dell'epoca, teste e mezze teste, sia maschili che femminili, parti del corpo umano, dal torso alla mano, dagli organi genitali ai piedi, e zampe di animali, statuette di bovini, ma anche figure maschili e femminili stanti, bambini in fasce, e figure femminili in trono.
Queste ultime farebbero pensare a Dee Madri tipo Mater Matuta.
I quattordici cippi sono in pietra arenaria, materiale di zona, alti circa un metro, con forma piramidale, eccettuato un cippo parallelepipedo (CIL 12 377=CIL XI, 6299), con un'iscrizione ciascuno.
Tredici menzionano anche la divinità cui ci si rivolge. Una base è sprovvista della parte superiore, per cui l'iscrizione si riduce al gentilizio e al verbum donandi / Nomeci[a] / dede' (CIL 12 380=ClL XI, 6302). In realtà non sarebbero cippi ma altari, che fungevano come appoggio su cui i fedeli ponevano l'oggetto dedicato alla divinità, il cui nome è iscritto sulla base.
LA DATAZIONE
La datazione delle are è controversa e va dalla fine del IV alla metà del Il secolo a.c.. Margherita Guarducci, sulla base di confronti con i cippi del santuario di Tor Tignosa, vicino a Lavinio, propone la datazione più alta, tra la fine del IV e i primi decenni del III sec. a.c.
ZAMPA DI BOVINO - EX VOTO |
Filippo Coarelli propende per una cronologia alta. Susini propone un arco di tempo che va dalla fine del III secolo a.c. agli anni successivi alla deduzione della colonia di Pisaurum (184 a.c.), riprendendo l'ipotesi del "conciliabulam", cioè della presenza di coloni successiva alla Lex Flaminia e distinguendo due tipi di incisione, l'una con un solco a sezione curva (detta 'a cordone'), l'altra, presente sulle iscrizioni che riportano il nome del dedicante, a sezione triangolare.
Cosi le basi con i nomi delle matronae vengono collocate anche agli anni successivi alla deduzione coloniaria. Cresci Marrone e Mennella collocano le iscrizioni con la menzione alla divinità alla fine del III sec. a.c, le altre alla I metà del Il sec. a.c., e vengono considerate posteriori quelle che menzionano le matronae.
Le monete ritrovate dall'Olivieri in sito, non possono aiutarci nella datazione perchè confuse tra le oltre dodicimila monete conservate nel Museo Oliveriano.
Per Olivieri le monete rinvenute 'tra carboni intorno all'are' , furono circa quattromila:
"Tra tante monete dissotterrate che a più migliaia ascesero una sola di Traiano ne ho saputa rinvenire, ed una sola di Crispina di Commodo, segno evidente che poco più dagli uomini era il Luco frequentato. La di lui eversione però non la pongo che dopo i tempi di Costanzo. Una di lui medaglia ivi scoperta mi fa credere che sussistesse ancora al di lui tempo" (De Luco, c. 14 r).
"Tra tante monete dissotterrate che a più migliaia ascesero una sola di Traiano ne ho saputa rinvenire, ed una sola di Crispina di Commodo, segno evidente che poco più dagli uomini era il Luco frequentato. La di lui eversione però non la pongo che dopo i tempi di Costanzo. Una di lui medaglia ivi scoperta mi fa credere che sussistesse ancora al di lui tempo" (De Luco, c. 14 r).
Assai interessante è la correlazione cronologica indicata da Braccesi tra l'affievolirsi del culto nel lucus e la svolta d'età augustea, allorquando Pisaurum si lascia repentinamente alle spalle la tradizione dei prodigi infausti: l'ipotesi è che il lucus servisse a togliere la contaminazione antichissima dell'aurum Gallicum.
SENI EXVOTO |
Per la cronologia Peruzzi non crede la dedica a Liber anteriore al senato-consulto del 186 a.c., (CIL 12, 581) che vieta si i riti orgiastici e le associazioni per organizzare baccanali, ma non il culto di Liber.
Peruzzi ascrive, inoltre, a un periodo di tempo più circoscritto tutte le arae, anche in ragione della rapida scomparsa della lingua che esse testimoniano; riguardo alle differenze nell'incisione, al di là delle diverse officine, Peruzzi accetta un'anteriorità delle basi con i soli nomi delle divinità, visto che esse sono gli appoggi per i doni che i fedeli offrono alla divinità e si trovano nel lucus fino dalla sua istituzione, che Peruzzi vuole coeva alla deduzione coloniaria.
Di poco posteriori sarebbero le restanti iscrizioni, che si sono aggiunte al gruppo originario. Tra esse Peruzzi individua 'un preciso caposaldo di cronologia assoluta'; si tratta dell'iscrizione CIL 12 378 (=CIL XI, 6300) che riporta:
'lunone Re[ginaJ / matrona / pisaurese / dono dedrot'
"L'ordo matronarum di Pisaurum celebra un sacram publicum per Giunone Regina". L'ordo matronaram nella già dedotta colonia di Pisaurum, espiano un prodigio nefasto avvenuto nel territorio o nella città stessa.
L'evento prodigioso potrebbe essere stato semplicemente la guerra annibalica, o la presenza di Asdrubale nella zona. Oppure si può ricercare il prodigium tra gli eventi innaturali e inquietanti riportati dalla tradizione per Pisaurum.
AREA DEI RINVENIMENTI DEL LUCUS PISAURENSIS |
In effetti, considerando aspetti cultuali e presenze femminili, Braccesi aveva potuto sottolineare la connessione del lucus con cerimonie espiatorie (piacula); la presenza del culto di Apollo, comunque divinità dalla connotazione purificatrice e l'atmosfera di religiosità femminile sono elementi che si ritrovano congiunti nella grandiosa cerimonia espiatoria indetta in Roma nel 207 a.c. per scongiurare terrificanti prodigi alla vigilia della battaglia del Metauro (Liv., 27 , 37, 7-15).
Un'altra iscrizione posteriore alla fondazione della colonia, che parla di matronae, ci informa di un atto di culto privato, sebbene di signore abbienti e appartenenti all'élite locale, è CIL 12 379 (=CIL XI, 6301); il testo riporta:
'Alatre / Matuta / dono dedro / matrona / Caria // Pola Livia / deda'.
Numerosi problemi sono sorti in relazione all'interpretazione della parola deda alla linea 7, Mommsen vede in deda una forma verbale (un perfetto di tipo umbro), ma la De Bellis lo esclude perchè il verbum donandi è in effetti già espresso nel testo, ed esclude che si tratti del nome di una terza matrona, come aveva proposto il Meister ai primi del Novecento.
Deda, in latino "dida", significa mammella ed è un sostantivo plurale femminile, che possiamo tradurre, sulla scorta di Peruzzi, con 'nutrici', appartenenti alle rispettive gentes e perciò prive di nomen. Mania Curia e poi la Livia sono matronae importanti, legate da una comune appartenenza all'élite di Pisaurum Matronae che rappresentano due importanti famiglie come quelle dei Curii e dei Livii.
Dalle indagini e dai reperti storici, si deduce che il santuario era dedicato a Divinità Salutifere, con particolare riferimento al culto delle acque. Presso gli abitanti della zona rimane infatti il ricordo delle Fontanine, dove ci si recava a prendere acqua perché particolarmente buona. Esse si trovavano ai piedi della chiesetta di san Gaetano, e sono state prosciugate nel 1963. .
BIBLIO
- Filippo Coarelli - "Il lucus Pisaurensis e la romanizzazione dell'Ager Gallicus" - in Christer Bruun (a cura di) - The Roman Middle Republic: Politics Religion and Historiography c.400-133 C.C. - Institutum Romanum Finlandiae - Rome 2000 -
- Maria Teresa Di Luca, Gabriele Baldelli, Pier Luigi Dall'Aglio - Il lucus Pisaurensis (Pesaro e l'Archeologia. Quaderni tematici) - Comune di Pesaro - 2004 -Deda, in latino "dida", significa mammella ed è un sostantivo plurale femminile, che possiamo tradurre, sulla scorta di Peruzzi, con 'nutrici', appartenenti alle rispettive gentes e perciò prive di nomen. Mania Curia e poi la Livia sono matronae importanti, legate da una comune appartenenza all'élite di Pisaurum Matronae che rappresentano due importanti famiglie come quelle dei Curii e dei Livii.
BIBLIO
- Filippo Coarelli - "Il lucus Pisaurensis e la romanizzazione dell'Ager Gallicus" - in Christer Bruun (a cura di) - The Roman Middle Republic: Politics Religion and Historiography c.400-133 C.C. - Institutum Romanum Finlandiae - Rome 2000 -
- Mario Luni - Archeologia nelle Marche - 2003 -
- Nereo Alfieri - Scritti di topografia antica sulle Marche - a cura di Gianfranco Paci - Ed.Tipigraf - 2000 -
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