TERGESTE - TRIESTE (Friuli Venezia Giulia)



L'ANTICA TERGESTE
Sotto alla Trieste moderna giacciono i resti della colonia romana di Tergeste, fondata verso la metà del I secolo a.c. e posta sul versante nord-occidentale del colle di San Giusto, ai piedi di un'imponente scarpata che dall'altopiano del Carso degrada bruscamente verso il mare Adriatico. La costa era più arretrata rispetto all’attuale e vestigia delle strutture portuali sono state individuate lungo via del Teatro Romano e via Cavana.

La banchina del porto, costruita in lastre di arenaria nel I o inizi II secolo d.c., rimase in funzione almeno fino al V secolo e alcuni resti sono ancora visibili sotto la moderna pavimentazione di esercizi commerciali e alberghi della zona.

Tergeste si sviluppò progressivamente, raggiungendo la sua massima espansione durante l'impero di Traiano, con una popolazione che, secondo lo storico Pietro Kandler, contava 12.000 abitanti. Etimologicamente, il toponimo di Trieste deriva dal venetico Tergeste, formato da - terg - "mercato" ed - este - suffisso tipico dei toponimi venetici.

RICOSTRUZIONE DEL PORTO (dal dvd La città invisibile. Frammenti di Trieste romana)

L'ACCAMPAMENTO ROMANO

Se un tempo si pensava che la Tergeste romana fosse sorta sul colle di San Giusto, in un'area che offrisse riparo dal vento, nel 2013, grazie a un radar ottico chiamato lidar (light detection and ranging), montato su un aeroplano, e a un georadar per lo studio del paesaggio, sono emersi dei nuovi insediamenti situati tra Montedoro e la baia di Muggia, porto naturale.

La scoperta, che ha portato alla luce un accampamento romano con due castrum minori risalenti al 180 a.c., si deve all'archeologo Federico Bernardini dell'Istituto Internazionale di Fisica Teoretica Abdus Salam di Trieste e del Museo Storico della Fisica e Centro di Studi e Ricerche Enrico Fermi a Roma. Annunciata sulla rivista dell'Accademia di Scienze degli Stati Uniti (Pnas), il ritrovamento avrebbe quindi portato alla luce la "prima" Tergeste romana.

Il fortilizio romano, con un grande campo centrale (San Rocco), era affiancato da due fortificazioni minori. I più antichi ritrovamenti archeologici, tra cui un'anfora greco-italica prodotto nel Lazio o in Campania, forniscono una cronologia relativa per la prima installazione delle strutture tra la fine del III secolo a.c. e i primi decenni del II secolo a.c. mentre altri materiali, come le anfore Lamboglia  e un chiodo militare per calzature (tipo D di Alesia), indicano almeno la metà del I secolo a.c.

I siti risalgono alla conquista romana della penisola istriana nel 178-177 a.c. e furono in uso, forse non continuativamente, almeno fino alla fondazione di Tergeste,  a metà del I secolo a.c. Il sito di San Rocco, con le sue eccezionali dimensioni e le imponenti fortificazioni, è la principale testimonianza romana nota del triestino in questa fase e potrebbe corrispondere alla localizzazione del primo insediamento di Tergeste prima della fondazione della colonia.

Questa ipotesi sarebbe supportata anche da fonti letterarie che la descrivono come un frourion (Strabone, V, 1, 9, 9, C 215), termine usato dagli scrittori antichi per designare le fortificazioni dell'esercito romano.

VASCHE VOTIVE DEL TEMPIO DELLA DEA BONA

TARGESTE

I fatti che precedono l'invasione romana del territorio ricordano gli Istri e la loro alleanza con Demetrio di Faro (Lèsina) contro Roma, che condusse ad una prima azione militare da parte dei romani (220 a.c.). Non si hanno notizie se a questa battaglia, nelle file degli Istri, abbiano partecipato anche gli abitanti dell'antica Tergeste.

Nel 183 a.c., Roma iniziò una seconda campagna contro gli Istri, da sempre alleati dei loro nemici e costante minaccia dei territori conquistati. La guerra del 183 venne interrotta per ragioni politiche, ma riprese due anni più tardi quando gli Istri cercarono di ostacolare la costituzione della colonia aquileiense. I tergestini a quel tempo erano governati dal re degli Istri Aipulone o Epulone, o Regulus Aepulus, come dice Tito Livio.

Furono i Veneti a chiedere a Roma aiuto contro il comune nemico, il popolo degli Istri, dedito alla pirateria e al saccheggio. I Romani nel 181 a.c. fondarono la strategica colonia di Aquileia, base per la guerra contro gli Istri che, dopo aver sottoscritto un concordato con Roma, dimostrarono ben presto di non volervi tener fede.

Nel 178 a.c. il console Aulo Manlio Vulsone, ricevuto il proconsolato della Gallia, intraprese, senza l'autorizzazione del Senato, una nuova guerra contro le popolazioni dell'Istria, a protezione anche della nuova colonia di Aquileia. Aveva come alleato Catmelo, re dei Taurisci, che secondo Plinio il Vecchio sarebbero i Norici, forte di 3.000 armati.

PRIAPO DI VIA MALCANTON I SEC. D.C.
Nella battaglia che ne seguì venne sconfitta la seconda legione del pretore Strabone. 

Gli Istri sferrarono l'attacco la mattina presto, quando era ancora buio, gettando nel panico i soldati romani che, colti di sorpresa, si misero in fuga. 

Rimasero nel campo solo 600 uomini, il pretore e gli ufficiali, che vennero travolti e trucidati. 

Gli Istri, dopo la vittoria, avendo trovato nel campo viveri e vino, si misero a banchettare e a ubriacarsi.

Questo consentì ai Romani di riorganizzarsi e di sferrare un micidiale contrattacco dopo qualche ora, gli Istri sopravvissuti si ritirarono disperdendosi nei vari villaggi.

Non ottenendo grande successo all'inzio del nuovo anno, col supporto dell'altro console Marco Giunio Bruto riprese le operazioni militari, ottenendo stavolta buoni risultati, ma senza concludere la campagna, in quanto sostituiti sostituiti dal nuovo console Gaio Claudio Pulcro, console del 177 a.c..

"Pervenuti all'orecchie di Claudio Pulcro i progressi che M. Giunio ed A. Manlio facevano nell'Istria, temendo non gli levassero con la Provincia anco l'esercito fatto consapevole di quanto passava Tito Sempronio suo collega, si partì precipitosamente di notte tempo a quella volta. 

Posciachè, dopo aver rinfacciato Giunio che si fosse con infame lega unito a Manlio, gli comandò che lasciata quella Provincia dovesse subito partire per altre parti altrimenti non eseguendo i suoi ordini come contumaci gli avrebbe mandati cinti di catene a Roma. 

Poco curarono le sue minacce li due anzi che invece di obbedire a quanto loro impose fecero che sbeffato e vilipeso da tutti con suo crepacuore ritornasse coll'istessa nave nella qual era venuto prima in Aquileja ed indi a Roma. 

Fermossi tre giorni Claudio nella Reggia ove raccolto col furore di Tito Sempronio suo collega quel numero di soldati già prima dal Senato destinati in ajuto di quella guerra e levati i debiti ordini con non minor celerità di prima fece ritorno nell'Istria. 

Arrivato in questa Provincia senz'altro ritardo fece indi partire Manlio e Giunio col loro esercito i quali pochi giorni prima, posto l'assedio a Nesazio, l'avevano ridotto molto alle strette e proseguendo egli l'impresa circondò quel Castello con due nuove legioni seco condotte di sì fatta maniera che in breve lo ridusse all'estremo ma perchè il fiume che lo cingeva e bagnava le mura serviva di gran comodità ed aiuto agli assediati ed al suo esercito ed a lui d'impedimento, determinò cangiargli il letto rivolgendolo dopo molte fatiche in altra parte. 

Attoniti gli assediati e fuor di se stessi per tal novità non aspettata, disperati di ottenere più la pace, deliberarono di trucidare colle mogli anche i propri figliuoli i quali tagliati a pezzi gettaronli fuori delle mura nel campo nemico. Fece tal crudeltà stupire oltremodo i Romani i quali eccitati da così orrendo ed abominevole spettacolo e dalli compassionevoli lamenti di quelle misere femmine e fanciulli sforzate incontamente con grande impeto le mura entrarono a viva forza nel Castello. 

Dopo tal successo il Re Epulone volle piuttosto trapassandosi con un pugnale il petto di venir misera preda della morte che rimanendo in vita restar prigione de suoi nemici. Gli altri tutti parte restarono prigioni e parte uccisi."

La guerra si svolse tra il 178 e il 177 a.c. e si concluse con la totale disfatta degli Istri i quali preferirono il suicidio (col massacro di mogli e figli) alla perdita dell’autonomia. 



LA COLONIA 

Sembra che nell’89 a.c., in seguito alla cosiddetta Lex Pompeia, anche Tergeste, come altri centri transpadani, abbia ricevuto il ius Latii, una forma di cittadinanza con diritti ridotti. Gli studiosi ritengono che poco prima il 52 a.c. (anno dell’incursione dei Giapidi che distrusse la città) Tergeste fosse divenuta una colonia, i cui abitanti erano cittadini romani a tutti gli effetti. 

Dopo le guerre contro i Giapidi del 33-32 a.c. condotte da Ottaviano (il futuro Augusto) il confine nord-orientale dell’Italia fu ampliato e portato nell’Istria meridionale. Così Tergeste, al di fuori delle lotte di conquista, poté realizzare un rapido sviluppo demografico ed economico, come centro nodale di raccordo tra i traffici marittimi e le regioni danubiane.

Negli stessi anni la città era stata circondata dalle mura, che persero man mano la loro funzionalità, usate solo come terrazzamenti del pendio. Presso il porto sorse un’area legata al commercio, poi un quartiere residenziale sul versante e il centro politico, amministrativo e religioso sopra al colle.

In epoca neroniana-flavia (54-96 d.c.) Tergeste ebbe il suo Foro, la Basilica, il Propileo e l'Arco di Riccardo. In seguito la città venne arricchita dalla risistemazione del Teatro intrapresa all’inizio dell’età traianea (102-106). 

Nel II secolo poi si ebbero ancora alcuni interventi di ristrutturazione e abbellimento, soprattutto all’epoca di Adriano e di Marco Aurelio, come la ricostruzione della Basilica forense (167-168) e altri edifici dei quali rimangono solo le testimonianze epigrafiche. Due acquedotti alimentavano la città, quello di Bagnoli e quello di San Giovanni di Guardiella.

PIANTA E SEZIONI DEL TEMPIO DELLA DEA BONA


GLI SCAVI ARCHEOLOGICI

1843) - Nel 1843 venne inaugurato ufficialmente l'Orto Lapidario. Il direttore, Pietro Kandler predispose il primo nucleo di reperti in esposizione: quattro sarcofaghi, otto bassorilievi, otto teste ritratto, capitelli, cornici e un'ottantina di iscrizioni, provenienti anche da Aquileia e dal Litorale istriano.

Della Trieste romana è possibile una ricostruzione storica e geografica grazie ai numerosi resti e reperti archeologici venuti alla luce, dal Colle di San Giusto fino al mare. Le strutture portuali rinvenute lungo via del Teatro Romano e via Cavana, risalenti al I - II° secolo d.c., utilizzate almeno fino al V secolo, ci rivelano che il mare era parecchio più avanzato di quanto lo sia oggi.

La città era suddivisa in tre aree: vicino al porto si svolgevano i commerci, nel primo entroterra la zona residenziale e sul colle di San Giusto il centro politico e religioso.
Le antiche mura romane, risalenti al 30 a.c., persa la funzione difensiva, vennero riutilizzate come strutture di terrazzamento e di contenimento.
Sul Colle si trovano i " Templi ", dedicati a Giove ed Atena (alcune strutture architettoniche sono nelle fondamenta della Cattedrale) e la " Basilica Paleocristiana ", edificata fra il IV e il V secolo.

1907) - Dagli scavi di via Bramante del 1907, emersero una serie di monete del I secolo d.c. e  lungo la via per l'Istria, dei locali adibiti ad usi artigianali, tra cui un fabbro, una panetteria con un piccolo forno, un pozzo, una latrina  e una serie di tombe a inumazione di epoca tarda.


1909) - Durante gli scavi del 1909-1912 per le fondamenta del Palazzo Greinitz, in via Santa Caterina, venne alla luce un edificio composto da un recinto quadrilatero con all'interno un piccolo tempio con pronao a quattro colonne, era il Tempio della Bona Dea, risalente ai primi anni dell'Impero e in uso fino al IV secolo d.c.

1911 ) - In diverse zone della città scavando per costruire edifici comparvero tracce di edifici romani: scavando per costruire il grande palazzo della RAS vennero fuori dei mosaici a esagoni e rosette, conservati in quattro pannelli e replicati modernamente nell'atrio del palazzo.

1913) - Nel 1913, durante la demolizione di alcune case nella piazzetta di Riccardo, per la liberazione dell'Arco, emerse  un tempio dedicato alla Dea Cibele o Mater Magna, risalente al primo quarto del I sec. d.c..

1982) - Negli scavi del 1982 in via Donota, vennero rinvenute due monete romane in bronzo: Costanzo II e Costanzo II per Costanzo Gallo (351-354 d.c.), entrambe riconducibili per la tipologia di sepolture, in casse e anfore, all'ultima utilizzazione del sepolcreto, databili entro il IV sec. d.c..

TEATRO ROMANO

IL TEATRO ROMANO

"Un vero monumento si profilerà un giorno nel cielo triestino, risorgendo dalla sconcia e disonorante sepoltura, in cui giace coperto da un agglomerato di case, di catapecchie e di lupanari, tra le vie di Pozzàcchera, di Rena, di Donota e di Riborgo, nella città vecchia. 
È la vasta rovina del teatro romano, di cui sotto le case sono conservati interi piani, gran parte della platea, frammenti di gradinate, due ordini di corridoi o gallerie sovrapposti l’uno all’altro. Tra via di Pozzàcchera e quella di Rena (da arena?), arcuate come sono, seguono ancora la curva delle gallerie sepolte. 
Il Generini afferma che sin verso il 1850 in Pozzàcchera si vedeva un pezzo della cinta del teatro, alto, disposto a curva, il quale continuava nell’interno delle case e terminava a Riborgo. Si vede ancora che una parte delle mura, nel medioevo, fu fondata sulle rovine del teatro. 
Una casa al principio di via Pozzàcchera è costruita sopra porzione del teatro stesso. Un corridoio sotterraneo metteva capo, or non è molto, in androna del Buso e un frammento di gradinata si vedeva in androna degli Scalini. Il diametro del teatro, la cui topografia è facilmente visibile nella sua totalità, misura circa sessanta metri. 
Ireneo della Croce, dopo aver descritto quanto si vedeva delle rovine ai suoi tempi, diede un’immagine di queste in un rame della sua opera e ricordò i risultati di alcuni scavi operati nell’orto Chicchio e alla casa Garzaroli, sulla linea di fronte del teatro, lungo la via Riborgo. Un’iscrizione, di cui esistettero due esemplari, uno in Riborgo e l’altro sulla parte posteriore del teatro, porta il nome di Quinto Petronio Modesto, triestino, ufficiale del tempo di Nerva e di Traiano: gli si attribuì, di fantasia, la costruzione del teatro. 
La città deve aver posseduto anche un anfiteatro, poiché esiste un’iscrizione triestina che rammenta i giochi gladiatori."

(Attilio Tamaro - Storia di Trieste - Vol. I)


"I ruderi dell’antico Teatro romano, oggi sepolti dalle casupole delle vie di Pozzacchera, di Rena, di Donota, di Riborgo, dànno un’idea della sua vastità: Pietro Nobile ne valutava il diametro a 57 metri e calcolava che potesse contenere circa 6000 persone, ciò che permette di concludere che non intervenivano solo i cittadini, ma anche gli abitanti dei paesi vicini. 
Impropriamente, il teatro fu chiamato più tardi Arena ed il quartiere ne prese il nome, con aferesi veneta, di Rena, ma sembra fosse più adatto alle rappresentazioni sceniche, che ai ludi gladiatori."

(Carlo Curiel - Trieste settecentesca)

RICOSTRUZIONE GRAFICA (dal dvd La città invisibile. Frammenti di Trieste romana)
Il Teatro, di fine I secolo a.c. o inizio II secolo, che venne ampliato sotto Traiano, è posto ai piedi del colle di San Giusto, tra via Donota e via del Teatro Romano. La sua costruzione viene attribuita al procuratore Quinto Petronio Modesto, sacerdote di Marco Ulpio Nerva Traiano che però ne curò solamente alcuni interventi di rinnovamento.

All'epoca della sua costruzione, il teatro, si trovava in riva al mare, che a quel tempo arrivava quasi a lambirlo (sono stati rinvenuti moli di attracco), e le sue gradinate, costruite sfruttando la naturale pendenza del colle, potevano accogliere, secondo le fonti dai 3.500 ai 6.000 spettatori.

Il teatro romano era costruito in piano e non su un declivio naturale come quello greco, con una forma chiusa, che non consentiva la copertura con un velarium. Le gradinate semicircolari della cavea sono collegate alla scena con loggiati laterali poggianti su archi e volte realizzati in muratura.

PIANTA DEL TEATRO
La facciata della scena era a numerosi piani e decorata con prismi triangolari rotabili con i lati dipinti con una scena tragica su un lato, comica su un altro e satiresca sul terzo.
La facciata esterna era ornata da statue.
La cavea utilizzava una piccola collina o pendio, con muri di contenimento.

DETTAGLIO DEL TEATRO
Con il trascorrere dei secoli, in stato di totale abbandono, il teatro triestino venne ricoperto da edificazioni abitative.

Ne rimangono la parte inferiore delle gradinate in mattoni (parzialmente rifatte), il grande muro che chiudeva a semicerchio la parte destinata al pubblico, mentre del palcoscenico, che era ricoperto in legno, rimane la “fossa” e della scena solo alcune strutture: doveva essere alta due piani, mossa da porte, colonne e sculture (ora esposte presso il Lapidario Tergestino, nel Castello di San Giusto).

In tre iscrizioni dell’epoca di Traiano compare il nome di Q. Petronio Modesto, un illustre personaggio tergestino che finanziò i lavori di ristrutturazione e abbellimento del teatro nei primi anni del II secolo d.c.

Come gli altri monumenti romani subì la spoliazione delle pietre pregiate e divenne il solido fondamento per le case che vi si costruirono sopra. Fu individuato nel 1814 dall'architetto Pietro Nobile, guidato dal nome del luogo “Rena vecia” (Arena vecchia), ma solo nel 1938 venne portato alla luce in seguito ai grandi lavori di demolizione e di riqualificazione urbana.

Le statue e le iscrizioni rinvenute durante gli scavi sono conservate presso il Lapidario Tergestino al Castello di san Giusto. Il teatro oggi è utilizzato talvolta per spettacoli pubblici, perlopiù rappresentazioni teatrali estive.



ANFITEATRO

La città deve aver posseduto anche un anfiteatro, poiché esiste un’iscrizione triestina che rammenta i giochi gladiatori, però ancora non se ne è trovata la traccia.

ARCO DI RICCARDO

ARCO DI RICCARDO

Si tratta si una porta romana della metà del I secolo d.c., che si apriva sulle mura della città, fatte costruire da Augusto nel 33-32 a.c.. È una costruzione lineare e massiccia, alta m. 7,20 e larga m. 5,30, ornata da lesene e da un motivo vegetale nell'interno dell'arco. La tradizione vuole che il suo nome sia legato al leggendario passaggio in città di Re Carlo Magno o di Riccardo Cuor di Leone. Più probabilmente deriva dalla corruzione del nome del “cardo”, una delle due vie principali delle città romane che incrociava il decumano.

LAPIDARIO TERGESTINO

LAPIDARIO TERGESTINO

Nella prosa ridondante e pomposa del II sec. d.c. il consiglio municipale ricorda i meriti del senatore tergestino Lucio Fabio Severo, che nonostante la sua giovane età era già riuscito a operare con grande competenza e abilità per il bene della sua città patrocinando le cause dei Tergestini anche presso l’imperatore. Tra i suoi meriti più grandi vi fu la concessione da parte dell’imperatore Antonino Pio (138-161 d.c.) che i membri più ricchi e nobili dei Carni e dei Catali – due popolazioni indigene stanziate in un’area non meglio precisata del Carso – potessero acquisire la cittadinanza romana. Essi passarono così dal pagamento di una tassa (probabilmente per l’occupazione del suolo) alla condivisione degli oneri (munera) che gravavano sui membri del consiglio municipale incrementando in tal modo le entrate della colonia. Per tale ragione in onore del senatore, come dice il testo, fu stabilito di erigergli nel punto più frequentato del Foro una statua dorata, sulla cui base fosse inciso anche il decreto onorario, l’unico atto pubblico di Tergeste di cui conserviamo memoria.”

(Commento museale all'epigrafe)


All’interno del cinquecentesco Bastione Lalio del Castello viene esposta la Tergeste romana che va dai monumenti dall'area capitolina (area di S. Giusto: Basilica civile, Foro e Propileo), ai luoghi di culto (con dediche a Giove, Cibele, Silvano, Bona Dea, Ercole e Minerva), alle mura, al Teatro (le statue dalla scena) e alle necropoli: are, stele, cippi, urne e sarcofagi con i nomi degli antichi tergestini. Una sala è dedicata ai mosaici provenienti dalla lussuosa villa marittima rinvenuta lungo la costa, presso Barcola (scavi non visibili). Databili tra la fine del I secolo a.c. e la metà del I secolo d.c., documentano il gusto raffinato dei ricchi proprietari che vollero imitare le ville di Augusto, Tiberio e Nerone.

Due frammenti contigui di blocco in calcare rinvenuti rispettivamente nel giardino Czvietovich, davanti al monastero dei Santi Martiri nel 1838, e in una casa di via della Corte nel 1925. 33-32 a.c.
[Imp(erator) Caesar] co(n)s(ul) desig(natus) tert(ium),
[IIIvir r(ei) p(ublicae)] c(onstituendae) iter(um),
murum turresque fecit.

L’imperatore Cesare (Ottaviano), console designato per la terza volta,
triumviro per la fondazione dello stato per la seconda volta,
fece le mura e le torri.

All’interno del cinquecentesco Bastione Lalio del Castello di San Giusto è ospitato dal 2001 il Lapidario Tergestino composto da 130 reperti lapidei romani, tra monumenti iscritti a carattere onorario o funerario, sculture a bassorilievo e a tutto tondo accanto ad alcuni frammenti architettonici. Questo materiale era esposto finora all'aperto nel giardino dell’Orto Lapidario, dove stava subendo un progressivo degrado causato dagli agenti atmosferici e dall'inquinamento.

Al fine di preservarne la conservazione e, al contempo, valorizzarne l’esposizione, è stato ricoverato al coperto negli ambienti del Castello. Le lapidi iscritte e le statue sono i documenti che, accanto alle notizie archeologiche, permettono di dare un volto alla Tergeste romana in un quadro storico ricostruito dagli studiosi sin dalla fine dell’Ottocento, ma che più recenti analisi hanno rimesso in discussione.

Pertanto la possibilità ora di studiare questo materiale, ora riunito e presentato in sezioni che classificano i reperti per area di provenienza, è facilitata anche dalle nuove attribuzioni e scoperte avvenute sia durante lo spostamento del materiale, sia per le fonti d'archivio, sia per i risultati dei recenti scavi archeologici tuttora aperti in Città Vecchia. 

Le prime due sale del Bastione sono dedicate ai monumenti dell’area capitolina, mentre la terza grande sala è suddivisa in zona sepolcrale, area sacra e materiale dal teatro romano. Accanto ai reperti lapidei, una serie di tabelloni illustra la storia dei ritrovamenti cittadini con le più accreditate ipotesi di interpretazione. Le didascalie riportano per ogni singolo reperto le notizie sul rinvenimento, la datazione, la trascrizione del testo e magari un breve commento critico.

ANTIQUARIO O SEPOLCRETO

ANTIQUARIUM  

In via del Seminario è ora visibile una porzione delle antiche mura costituite da blocchetti di arenaria, alla cui base si trova un canale per il deflusso delle acque provenienti dal fianco del colle. Scendendo di un centinaio di metri via del Seminario, in via di Donota troviamo l’Antiquarium, costituito da una zona archeologica e da una espositiva, con reperti provenienti dagli scavi di recupero edilizio, iniziati negli anni '80.

L’Antiquarium è costituito da una zona archeologica e da una espositiva, quest’ultima collocata nella torre delle mura medievali, detta di Donota. I reperti esposti provengono dagli scavi effettuati a partire dagli anni ’80 del secolo scorso nella zona retrostante il Teatro Romano, lungo la via Donota e le sue adiacenze, nell’ambito di un esteso recupero edilizio.

Gli scavi hanno portato alla luce a monte del Teatro, fuori dalla probabile cinta muraria romana, i resti di un’abitazione, costruita su piani diversi sfruttando il declivio della collina. L’edificio era sicuramente abitato nei primi decenni del I secolo d.c. e i ritrovamenti di intonaco affrescato, di una decorazione architettonica in stucco, oltre alla ceramica fine da mensa, testimoniano il livello di vita degli abitanti.

Alla metà del II secolo sulle strutture abitative completamente sepolte venne inserito un recinto di lastre calcaree di probabile destinazione funeraria. Dal IV al VI secolo l’area venne intensamente riutilizzata con la creazione di tombe a cassa e a fossa e per la sepoltura di bambini in anfore. Queste tombe riempirono tutto lo spazio e si estesero anche fuori dal recinto.

BASILICA FORENSE

PROPILEI E BASILICA ROMANA

I principali monumenti della Trieste romana vennero edificati in cima al colle di San Giusto e verso la fine del I secolo d.c., vi sorsero il Propileo e la Basilica civile. Il Propileo era il monumentale ingresso ad un’area sacra recintata, che doveva ospitare il tempio capitolino con due grandiose strutture laterali colonnate e al centro una scalinata.

Attualmente sono in parte inglobati nel campanile della cattedrale, mentre la parte sepolta nello spiazzo antistante, la scalinata e la struttura di destra, sono visibili scendendo nel cunicolo che si apre nel giardino dell’Orto Lapidario.

Nei lavori di sterro effettuati tra il 1929 ed il 1934 sono emersi, sul lato sinistro del Propileo, i resti della Basilica civile, o Basilica Forense, destinata al tribunale e ai mercati. un edificio a tre navate di m 88 x 23,5 con una platea lastricata, cioè il Foro affacciato sul lato del mare.

Nel Medio Evo, sopra la Basilica romana e con la totale spoliazione dei monumenti romani, sorsero il vescovado, un monastero e la chiesa di San Sergio, anch'essi scomparsi, mentre ai lati furono edificati la Cattedrale e il Castello (che ospita il Lapidario Tergestino con i resti lapidei provenienti dagli scavi della città).
RICOSTRUZIONE DEL PROPILEO

BASILICA PALEOCRISTIANA DELLA MADONNA DEL MARE

In via Madonna del Mare al numero civico 11, sono stati ritrovati i resti di una Basilica paleocristiana con due pavimenti musivi sovrapposti, uno della fine del IV, inizi V secolo e uno del VI secolo, con iscrizioni inserite nel pavimento dove viene nominata per la prima volta la Sancta Ecclesia Tergestina e alcuni nomi di donatori, anche di origine greca e orientale.

Nel presbiterio, sopraelevato rispetto all'aula, si riconosce un loculo per le reliquie, posto probabilmente sotto la lastra dell’altare. A lato la foto di un pavimento musivo policromo rimasto pressochè intatto.



SANTA MARIA DEL MARE  

La chiesa di cui nel 1825 Domenico Rossetti vide i mosaici dell'abside, fu riscoperta e portata alla luce nel 1963 e si trova sotto l'edificio che ospita il Carducci.

La Basilica, con impianto cruciforme con transetto, abside e presbiterio sopraelevati, conobbe due fasi principali corrispondenti a due pavimenti gettati a pochi centimetri l'uno dall'altro, di cui alcuni pezzi sono stati staccati ed esposti nell'atrio.

Il primo più antico di inizio V secolo, è un mosaico bianconero suddiviso in tre corsie decorato a motivi geometrici con le epigrafi degli offerenti, di cui rimangono quattro che riportano le dimensioni del tessellato offerto.

Il successivo mosaico policromo è più recente, forse inizi del VI secolo, decorato al centro con il motivo dell'"onda marina" e ai lati da cerchi ottagoni e rombi coi nomi degli offerenti.

Nell'abside c'erano i subsidia, i sedili per il clero: davanti all'abside c'è il presbiterio leggermente sopraelevato, dove ancor oggi si vedono due sarcofagi interrati ed un pozzo per reliquie.

Tracce di incendio sul mosaico policromo potrebbero riferirsi ad un incendio; fra il VI e il IX secolo non ci sono più notizie della chiesa, che ricompare nel 1150 con l'intitolazione a santa Maria del Mare.



BASILICA DI SAN GIOVANNI IN TUBA

RESTI ROMANI
La Basilica di S. Giovanni in Tuba, in stile gotico, fu edificata nel XV secolo dai conti di Walsee, signori di Duino, in un’area che aveva già ospitato un tempio pagano di cui ci rimangono testimonianze epigrafiche e alcuni resti. 

Il tempio era già sovrastato da una basilica paleocristiana del V secolo d.c., della quale si conservano nel presbiterio della chiesa un pavimento a mosaico con elementi geometrici simili a quelli di Grado e Aquileia, a sua volta sovrastata dalla Basilica di S. Giovenni in Tuba.



ZONA CROSADA

Nella zona di Crosada sono venuti alla luce resti archeologici della fine del I secolo a.c. come muri e canali di scolo ottenuti da anfore capovolte, nonchè un sistema di terrazzamento su cui poggiavano le abitazioni soprastanti, come le prestigiose domus di via Barbacan, articolate su terrazzamenti e divise in una zona rustica destinata alle attività domestiche e un settore residenziale, decorato da raffinati mosaici e affreschi. L’area è stata protetta per una futura valorizzazione.


VIA DEI CAPITELLI

Alla base della via dei Capitelli, è riemersa la parte inferiore di una porta monumentale che segnava il passaggio tra l’area vicina al porto e il quartiere residenziale sulle pendici dell’altura, costituita da quattro pilastri in pietra d’Aurisina, decorati con motivi vegetali e colonne scanalate agli angoli. In epoca tardoantica venne murata con finalità difensive.

Al numero civico 8 della stessa strada è visibile un frantoio per olive del V secolo utilizzando un blocco parallelepipedo decorato appartenuto a un monumento funerario di I secolo d.c. Nella stessa area è stato riconosciuto un tratto di strada coeva con una porta della cinta tarda, riconosciuta poco a monte, all'incrocio con via Crosada.



VIE DI DONOTA, DEL BOSCO PONTINI E G. CIAMICIAN

Recentemente, nel quadro degli interventi di recupero di Città Vecchia, sono venuti alla luce i resti di diversi edifici privati databili tra la prima metà del I secolo e il II secolo d.c., con spazi e decorazioni di lusso. Nel II secolo le case di via di Donota e del Bosco Pontini e poi quelle di via G. Ciamician vennero abbandonate e tra i loro ruderi furono ricavate tombe e sepolcreti familiari, per evidente regresso dell’abitato nell’area e ritorno al nucleo originario sul colle di San Giusto.



BASILICA DI SAN GIUSTO

In epoca antica Tergeste era percorsa da una strada commerciale che seguiva la riva del mare  fino al porto romano. A monte di essa era presente una grande Basilica paleocristiana che probabilmente era nata come basilica martiriale per ospitare le reliquie forse dello stesso san Giusto, il cui corpo, come dal racconto della Passio del santo, fu ritrovato sulla riva del mare proprio su quella spiaggia. La via continuava verso la necropoli fra tombe ed edifici funerari.




AREA DIETRO IL TEATRO

L’area retrostante via del Teatro romano, che comprende via Donota, via Battaglia, via del Crocefisso, via del Seminario, oltre ad essere nota per il rinvenimento del Teatro e degli edifici di destinazione sepolcrale e funeraria, è stata oggetto di numerose campagne di scavo tra il 1982-1987, in conseguenza degli interventi di emergenza e manutenzione fognaria. Varia la tipologia sia dei manufatti sia delle sepolture rinvenute, queste ultime ricoperte da lastroni di reimpiego, da mattoni, da coppi, in anfore o in contenitori di fortuna. Di rilievo, inoltre, la documentazione epigrafica.



SANTA MARIA MAGGIORE

Alla base della scalinata della chiesa di Santa Maria Maggiore, ci sono i resti di un torrione della cinta difensiva, della fine IV e inizio V secolo d.c., con materiali di recupero appartenenti a monumenti funerari e forse del Teatro Romano.



BARCOLA E GRIGNANO

Nel passato sono stati rinvenuti a Barcola, Grignano e altre località della costa resti di ville, erette nel I e II secolo d.c. La riviera di Barcola, in particolare, attrasse l'attenzione dei romani sia per la posizione incantevole sia perché nell'ampia insenatura, a riparo dai venti, il mare è più quieto consentendo l'attracco delle navi. La chiamarono Vallicula poiché si estendeva in un avvallamento, poi il nome si contrasse in Valcula.

STRADA BARCOLANA
Nell'autunno del 1887, a Barcola, all'altezza del porticciolo del Cedas, durante gli scavi per costruire il muro di cinta della fabbrica di ghiaccio, vennero alla luce dei mosaici che fecero supporre fossero i resti di un complesso romano risalente al I-II sec. a.c.

La prima campagna di scavi, ebbe luogo nel 1888-1889, e vennero alla luce i resti di una grande villa romana che si estendeva su una superficie di oltre quattromila metri quadrati, con un fronte a mare di 140 metri. L’edificio, disposto su più terrazze, era composto da numerosi ambienti residenziali e di servizio: un peristilio, impianti termali, un’esedra, una palestra, un giardino e un ninfeo. La grandezza del complesso, la ricchezza delle decorazioni e dei mosaici, indica che la villa apparteneva a personaggi di alto rango.

La scoperta indusse a proseguire le ricerche negli anni successivi (1888-1889; 1890-1891) individuando una notevole documentazione epigrafica. Vennero rinvenute diverse monete le quali furono d'aiuto per la datazione del sito. Si suppose che il complesso doveva risultare dalla fusione di due ville costruite in tempi successivi: quella a monte, con mosaici di pregevole fattura, risalente al primo secolo, la seconda villa, più vasta della prima, a emiciclo panoramico, forse adibita a residenza estiva, del secondo o terzo secolo.

Durante gli scavi effettuati tra il 1888 e il 1889, venne rinvenuta una statua di marmo in vari pezzi che probabilmente era collocata nella palestra. In base alla statua l'edificio si chiamò “Villa della Statua”. Era una splendida scultura in marmo greco, alta 1,24 m. è realizzata in varie parti tenute assieme con dei perni di ferro di cui si scorgono le tracce. Dietro la gamba destra si conserva una parte del sostegno originale.

Si tratta di una replica del Diadoumenos (in greco "che si cinge la fronte con la benda della vittoria") di Policleto, (V sec. a.c.), e rappresenta un giovane atleta poggiato sulla gamba destra, la sinistra flessa e portata in avanti, nella classica posizione a chiasma caratteristica del mondo greco.

MOSAICO DELLA VILLA

VILLA ROMANA DI BARCOLA

All’interno del cinquecentesco Bastione Lalio del Castello si espongono i mosaici provenienti dalla lussuosa villa marittima rinvenuta lungo la costa, presso Barcola (scavi non visibili). Databili tra la fine del I secolo a.c. e la metà del I secolo d.c., documentano il gusto raffinato dei ricchi proprietari che vollero imitare le ville di Augusto, Tiberio e Nerone.  

I resti della villa residenziale romana sono emersi alla fine del XIX secolo a Barcola, allora un modesto villaggio della costa a nord-ovest della città di Trieste, allora oggetto di uno sviluppo edilizio speculativo che non rese possibile la conservazione in loco dei resti archeologici, che vennero rinterrati dopo i rilievi e il recupero dei mosaici.

Gli scavi, iniziati nel 1887, hanno portato alla luce due nuclei di ambienti residenziali di cui uno indicato come Villa della Statua (scavi 1888-1889) e l’altro come Palestra e Ninfeo (scavi 1890-1891). Oggi, data la vicinanza delle due zone e l’omogeneità dei mosaici e dei materiali rinvenuti, vengono connessi e considerati come parti di un’unica villa marittima.

La Villa, che si apriva lungo la riva del mare, comprendeva una zona di rappresentanza, una residenziale appartata, un giardino, e alcune strutture aperte sul mare, collegate ad ambienti termali e di servizio, il tutto disposto lungo il declivio della collina, forse su terrazzamenti successivi, in uno spettacolare effetto scenografico.



ZONA COSTIERA

Nella zona costiera, fino a Sistiana, specialmente dove si trovavano approdi per le navi, sono stati rinvenuti numerosi resti romani, appartenenti anche a ville rustiche, probabilmente in relazione con l'attività estrattiva della pietra. Nel territorio carsico, più ci si allontana dal mare, più i resti di vasellame (anfore e vasi di uso domestico) si fanno scarsi e sono riconducibili ad attività agricole e pastorali.

RESTI DELL'ACQUEDOTTO ROMANO DI TERGESTE
Per le ville affacciate o vicine al mare, sono riemersi piccoli porticcioli che consentivano i trasporti marittimi. Tale sistema, estensibile almeno fino a Sistiana e in molte località costiere dell’Istria, rivela la presenza di una organizzazione produttiva e commerciale.

Cassiodoro, in una sua epistola del 537, ritiene Tergeste non inferiore per bellezza all'incantevole Baja, dove gli imperatori e i patrizi Romani si ritiravano a godere la vita degli Dei: "l'Istria era ornamento dell'impero d'Italia".

Con l'estrazione litica di Aurisina, il materiale da costruzione per le ville non mancava. Le pietre estratte venivano calate per mezzo di giganteschi scivoli, costituiti da lastre di piombo, lungo il ciglione carsico e giungevano a destinazione via mare.

Marziale racconta che intorno al Timavo si producevano grandi quantitativi di lana grezza, e quindi dovevano esserci consistenti allevamenti ovini, con produzione anche di derivati del latte, quale il formaggio, ipotesi confermata dal rinvenimento dei caratteristici contenitori in coccio.

I vari processi di lavorazione si svolgevano naturalmente nelle ville. Plinio ci riporta notizie della produzione di un uvaggio, il Pucino, che si ritiene vinificato nella zona tra Duino e il Villaggio del Pescatore.

La maggior parte di queste ville hanno un tipico schema ad U, con una vasta area centrale scoperta che fungeva da centro di collegamento dell’edificio. I terrazzi inferiori, disposti su corridoi porticati, sono ornati di mosaici, e si affacciavano su un’area interna scoperta.

In molte di queste ville sotto il pavimento, in opus spicatum (mattoni rettangolari disposti di taglio a spina di pesce), circolava dell’aria calda; come nel Calidarium delle terme.
Il porto romano era situato in zona Campo Marzio, con una serie di scali di più modeste dimensioni lungo il litorale: sotto San Vito, a Grignano, a Santa Croce, ecc..



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