MATRALIA (11 Giugno)

LA MATER MATUTA
I Matralia erano le festività dedicate alla Dea Mater Matuta, protettrice della nascita degli uomini e delle cose, che rappresentava la parte visibile della natura.

Venivano celebrate l'11 giugno, durante il più lungo periodo delle solennità dedicate a Vesta, che si svolgevano dal 9 al 15 giugno. Secondo Plutarco sarebbero stati istituiti da Furio Camillo (446 a.c. – 365 a.c.) che eletto dittatore nel 396 a.c. avrebbe fatto voto di dedicare un tempio alla Mater Matuta in caso di vittoria contro i Falisci, abitanti di Falerii.



I FALISCI

Alla conquista di Falerii è legato il racconto del maestro di scuola falisco, che tradendo il suo compito e il suo patriottismo, condotti i propri ragazzi fuori dalla città, li consegnò a Furio Camillo, perché li trattenesse come ostaggi. Furio Camillo, a detta di Eutropio, nel suo Breviarium ab Urbe condita lib. I, non solo rifiutò con sdegno l'offerta, ma rimandò il maestro indietro a Faleri, con le mani legate dietro la schiena, sospinto dalle verghe di cui aveva fornito i suoi allievi. 

Colpiti da un così nobile gesto, i Falisci decisero di arrendersi al generale romano, ma non rimasero colpiti a lungo perchè in breve provarono più volte a ribellarsi a Roma, ma sempre con un pessimo risultato. Dunque fu Furio Camillo il dedicante del tempio, tanto che la sua storia venne ripetuta ogni anno fino a giungere sino a noi.

LA GIUSTIZIA  DI CAMILLO

I VEIENTI

Furio Camillo fu nominato dittatore nel 396 a.c., dopo che i romani caddero in un'imboscata organizzata da Falisci e Capenati. Camillo non conobbe soste:
- infuse un nuovo coraggio e un nuovo entusiasmo nell'esercito romano e nella popolazione, 
- punì i disertori e i fuggiaschi delle precedenti battaglie e stabilì un giorno per la chiamata di leva, - poi corse sotto le mura di Veio a rincuorare i soldati che stavano continuando l'assedio, 
- e poi tornò a Roma a reclutare il nuovo esercito.

Non solo i romani ma pure gli alleati Latini ed Ernici si offrirono volontari. Allora il dittatore fece voto di indire grandi giochi e di restaurare il tempio della Madre Matuta quando Veio sarebbe stata conquistata. Camillo sconfisse Capenati e Falisci, ne prese gli accampamenti e un grande bottino. Arrivato sotto le mura di Veio fece costruire altri fortini ed eseguì il rito dell'Evocatio:

« Una folla immensa si riversò nell'accampamento. Allora il dittatore, dopo aver preso gli auspici, si fece avanti e, dopo aver detto ai soldati di armarsi, disse: 
"O Apollo pizio, sotto la tua guida e per tua divina inspirazione vado a distruggere la città di Veio e a te offro in voto la decima parte del bottino che ne si ricaverà. Nello stesso tempo supplico te, Giunone Regina di Veio, di seguire le nostre armi vittoriose nella nostra città di Roma, tua dimora futura, la quale ti riceverà in un tempo degno della tua grandezza" »

(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, V, 2, 21)

Poi ordinò la costruzione di una galleria che doveva arrivare fino alla rocca nemica e si pose il problema della spartizione di un bottino che si preannunciava superiore a quello di tutte le precedenti guerre assommate e chiese direttive al Senato che però lasciò al "popolo", riunito nei Comizi, la decisione

«Perciò venne annunciato che chi avesse voluto prendere parte alla spartizione del bottino di Veio avrebbe dovuto recarsi all'accampamento del dittatore.»

(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", V, 2, 20.)

Forte di un grande esercito, Furio Camillo ordinò alle truppe di assalire le mura di Veio, come diversivo, onde nascondere le truppe scelte che passavano entro il tunnel sotterraneo, segretamente scavato.

« E si chiedevano (i veienti) con meraviglia come mai, mentre per tanti giorni non c'era stato un solo Romano che si fosse mosso dai posti di guardia, adesso, come spinti da un furore improvviso, si riversassero in massa alla cieca contro le mura »

(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", V, 2, 21)

I Romani irruppero nel tempio di Giunone, sulla cittadella di Veio, e attaccarono i nemici assiepati sulle mura, aprendo le porte della città. Il massacro terminò solo quando il dittatore ordinò di risparmiare i nemici che abbandonavano le armi.

La statua di Giunone Regina fu portata a Roma, dove le fu dedicato un tempio sull'Aventino, e dove Furio Camillo non restaurò il tempio di Mater Matuta ma gliene fece erigere uno nuovo, dopo che fu celebrato il trionfo, e la vittoria fu festeggiata con 4 giorni di feste.

IL TRIONFO DI FURIO CAMILLO

LA CERIMONIA

L'intero mese di giugno nel Calendario Romano era posto sotto la protezione di Giunone, da cui secondo Ovidio il mese prendeva il nome, per questo conteneva alcune festività a carattere prevalentemente e talvolta esclusivamente femminile. 

"Matuta" derivava appunto da "bontà" secondo Festo, ma in realtà la radice mat in molte lingue ha il significato della morte e della madre, infatti in spagnolo "matare" significa uccidere. Ciò riconduce alla triplice Dea che dà la nascita, il nutrimento e la morte.

Come cerimonia in sé era molto semplice e di evidente origine arcaica ed agricola, consistendo dell'offerta di una focaccia abbrustolita sul testum (pietra tonda da focolare) e posta dalle matrone sull'altare della Dea. 

Del resto l'antico Pasto Sacro, il convivio più arcaico che si conosca riguarda l'offerta del cereale impastato coll'acqua e cotto insieme a un'offerta di vino, il che rappresentava il corpo della Dea, cioè le piante nutritive della madre Terra. In seguito venne cooptato dalla religione cattolica.

La cerimonia dei Matralia era riservata esclusivamente alle donne libere e questo per alcuni spiegherebbe l'usanza narrata da Plutarco di condurre una schiava nel tempio durante la cerimonia per poi percuoterla e cacciarla fuori. 

Riteniamo che l'usanza volesse ribadire il distacco dagli schiavi, infatti spesso le matrone si affezionavano alle schiave ma questo non piaceva ai romani che desideravano le distanze, per cui se volevano adire al tempio le matrone dovevano sacrificare l'affetto alle schiave dimostrando pure una certa crudeltà.

IL PASTO SACRO RIEDITATO DAL CRISTIANESIMO CON UN ACCENNO AL MITO ARTURIANO
C'era poi l'usanza di portare in braccio al tempio non i propri figli ma quelli dei fratelli, e Ovidio lo spiega partendo dal mito greco di Ino e Semele, in cui Ino, (poi Leucotea), si prende cura del piccolo Bacco (corrispondente del Dio greco Dioniso), figlio della sorella Semele, folgorata da Zeus per volere di Giunone che voleva sbarazzarsene. 

Giunone scoprì l'esistenza di Bacco, e, per vendicarsi, infuse la follia in Atamante, marito di Ino, che uccise il suo primo figlio, Learco. Per evitare al secondo figlio, Melicerte, la stessa sorte, Ino si getta insieme a lui nel mare dove nuotando raggiunge la costa del Lazio. 

Qui viene infine soccorsa da Carmenta, madre di Evandro, che per rifocillarla le offre una focaccia, il cui ricordo si sarebbe perpetuato nel rito dei Matralia. Trasformatisi in divinità marittime, col nome di Leucotea e Palemone, i due avrebbero assunto i nomi di Mater Matuta e Portuno, divenendo divinità italiche. 

Secondo Ovidio la cerimonia dei Matralia sarebbe dedicata piuttosto alle zie e ai nipoti, in memoria di Ino-Leucotea, ritenuta una madre migliore per suo nipote che per i suoi stessi figli, ma anche questo non ha senso: primo perchè Ino non poteva prevedere la follia del marito, secondo perchè avrebbe incitato le matrone a privilegiare i nipoti ai figli.

In realtà si trattava di un antico rito femminile che ricordava alle donne il loro antico istinto materno che si estendeva ai figli di fratelli e sorelle, nel caso in cui questi ultimi fossero venuti a mancare per non lasciare i nipoti senza genitori o per aiutare il genitore superstite.


BIBLIO

- Eutropio - Breviarium ab Urbe condita lib. - I -
- Plutarco - Vite parallele - Vita di Camillo - 5 -
- Vittorio Dini - Il potere delle antiche madri - Firenze - Pontecorboli - 1995 -
- Robert Graves - La Dea bianca. Grammatica storica del mito poetico - Milano - Adelphi - 1992 -
- Georges Dumézil - Feste romane - Genova - Il Melangolo - 1989 -
- Giulio Vaccai - Le feste di Roma Antica - Roma - Mediterranee - 1986 -
- Ovidio - Fasti - V -

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