MENSA FUNERARIA O BANCHETTO FUNEBRE

MENSA FUNEBRE MOBILE
L'uso dei banchetti funebri, con relativi letti triclinari, non interessò solo la civiltà romana ma un po' tutte le antiche civiltà e pure quelle successive, infatti riguardò pure il culto cristiano dei primordi in modo massiccio, denominato "refrigerium cristiano".

Naturalmente il costume condizionò la struttura architettonica delle tombe, vedi le necropoli di Ostia e Porto, dove venivano posti letti triclinari in muratura sia all’esterno che all’interno dei sepolcri, per la pratica del banchetto sia all'interno, per le stagioni più fredde, che all'esterno per le stagioni più miti.

La tomba più diffusa era il loculo, la sepoltura più economica chiusa sopra con tegole o mattoni, oppure a lato con lastre di marmo su cui si incideva un'epigrafe, e magari si attaccavano alla calce fresca oggetti, come bracciali, aghi, fibule, monete e conchiglie, come oggetti cari al defunto o come oggetti apotropaici, poi c'erano le catacombe e pure i mausolei.

MENSA FUNEBRE IN MURATURA


GLI ARREDI DELLE TOMBE

Nella necropoli ostiense della Via Laurentina, tomba dei Liberti Claudii, si conservano egregiamente i pozzi per attingere l'acqua e le strutture destinate ai cibi, molto simili ai piani di cottura delle case dei vivi, con scamna, triclinia e mensae annessi.

Gli scramna erano i rettangoli aventi il lato lungo parallelo ai decumani mentre se erano relativi ai cardini si dicevano strigae. Da cui il nome di scanni ai sedili rettangolari paralleli al piano di lavoro. Le mensae erano i tavoli dei sacrifici a cui sedevano i sacerdoti flamini, come dire dei veri e propri tavoli.

Se ne osservano nella necropoli di Porto (Isola Sacra) dove sedili e letti in muratura stanno accanto alla porta di ingresso, con dei sostegni intonacati di rosso, che fungono da mensae, come testimoniano le tracce di cibo bruciato e il vasellame ceramico. Nella necropoli ostiense della Via Laurentina, detta dei Liberti Claudii sono conservati i pozzi e gli angoli cottura. 

Forni o pozzi sono documentati ad Isola Sacra in singole tombe o spazi inizialmente utilizzati da più famiglie, soprattutto durante il II secolo d.c., diminuendo nel secolo successivo.  Nelle necropoli di Roma, spesso mancano questi arredi per cui si è pensato anche alla possibilità di arredi mobili.

IL BANCHETTO CON IL DEFUNTO


LE FASI

Presso la tomba si eseguivano tre fasi: 

- Il seppellimento:
Quando ormai il moribondo era al termine dell'agonia veniva chiamato al capezzale il parente più prossimo che con un bacio sulla bocca raccoglieva con l'ultimo spirito vitale l'anima del defunto a cui poi chiudeva gli occhi, con in bocca una moneta per pagare Caronte, il traghettatore dell'al di là.
"Li cavavano intanto, con mesto rito, dalle dita l’anelli," lo attesta Svetonio nella vita di Tiberio al Cap. 73; Valerio Massimo al lib. 7, e Plinio per tutti al libro 33 con tali parole:
"Gravis somno, aut morientibus
religione quadam annuli detrahuntur."
Avveniva poi la 'conclamatio' con la quale si ripeteva il nome del defunto sino al momento della sepoltura. 

Terminata la vestizione il morto veniva posto su di un letto di fiori ed erbe odorose e coperto con la calce viva per evitare la decomposizione. Per i più abbienti erano previste anche le lamentazioni delle praeficae, donne pagate a questo scopo, che si univano a quelle delle donne della famiglia. 
Il defunto veniva poi esposto sul letto funebre dai libitinarii, gli uomini delle pompe funebri che organizzavano anche il corteo con il feretro sostenuto a spalla da 4 o 8 portatori, con l'accompagnamento dei maschi della famiglia vestiti di nero (lugubria) e il contorno di suonatori e praeficae. Se il morto era importante nel corteo c'era l'esposizione di ritratti in cera, o in legno, o in marmo degli antenati che al termine del rito venivano deposti dentro armadi collocati nell'ingresso della casa.

- Il sacrificio di un maiale:
Il sacrificio serviva soprattutto a collocare il morto nella sua nuova dimensione ctonia, offrendo alla Dea Tellus il sacrificio di un maiale, animale destinato infatti ai sacrifici riguardante la terra e il suo sottosuolo, cioè gli inferi. Comunque le carni del maiale spettavano ai vivi, mentre il sangue della vittima veniva deposto sulla pira. 

- Il banchetto funerario:
Invece era destinato ai vivi e ai morti. Si sono infatti reperiti anche dispositivi riservati al nutrimento del morto: un tubo di terracotta, due coppi uniti a formare un condotto o un’anfora tagliata, che permettevano ai liquidi delle libagioni di penetrare nella sepoltura. 
In un sepolcreto rinvenuto in territorio ostiense (Acilia, loc. Malafede) l’uso di tubuli per libagioni, sia fittili che in piombo, destinati a raggiungere direttamente le ceneri, è attestato soprattutto nelle sepolture a cremazione.
 I banchetti si tenevano varie volte all'anno, ora particolarmente per un determinato sepolcro, ora in ricorrenze comuni, come i Parentalia in febbraio, le Violaria a marzo, le Rosalia o Rosaria a maggio, e così via.
Il convito non solo non era triste, ma vi era una certa festa e allegria fra i partecipanti, un gioia e spensieratezza che finivano per rinsaldare i vincoli della solidarietà e della Concordia familiare, avendo pertanto anche una valenza sociale.

IL VESTIMENTO DEL DEFUNTO

LE RICORRENZE DEL MORTO

Ferie Denicales

Per i nove giorni delle “feriae denicales”, i parenti dovevano osservare il lutto stretto, dove non ci si sposava, non si partiva, non si facevano affari e non si frequentavano i luoghi pubblici. Poi, con la cena “novemdialis” la famiglia ormai purificata, si apriva agli amici e riallacciava i legami con il resto della società.

Parentalia

Nei “Parentalia”, in onore dei defunti, che si svolgevano tra il 13 e il 21 febbraio si concludeva questo periodo il 22 febbraio, nella festa detta “carestia”, con un banchetto, nel corso del quale la famiglia accoglieva i suoi morti in immagine (larvae conviviales).

Lemuria

Nonostante i “parentalia”, i morti dispersi, di larve e lemuri, potevano apparire nelle case, per cui si eseguivano cerimonie legate all'allontanamento dei “Lemuria”. Nel mese di maggio il padre di famiglia, levandosi a mezzanotte, dopo aver compiuto gesti di carattere apotropaico, gettava dietro di sé delle fave nere per riscattare se e la sua famiglia, scongiurando i Mani di lasciare la sua casa.

Altri riti di offerta e banchetto si svolgevano in numerose occasioni, come nella ricorrenza del “dies natalis” del defunto. Presso il sepolcro del defunto si poneva un piccolo altare su cui i parenti o gli amici del morto bruciavano dei profumi, ogni giorno per una luna e in seguito negli anniversari. Qui si mangiavano le africia e se ne offriva al morto, e si beveva vino versandone sull'altarino.

C'era anche il morto in virtual che partecipava al banchetto, cioè l'iconografia del defunto banchettante, raffigurato da solo o in coppia, mentre semi sdraiato sul triclinio si ciba attingendo a una mensa posta di fronte a lui, magari assistito da un personaggio in compianto, da un servente e da un animale domestico.

Nella necropoli della via Laurentina, il defunto banchettante viene assistito da una donna vestita di scuro, come si addice al lutto, circondato da molti dei mobili che possedeva in vita e di cui egli si circonda mantenendo anche qui una sua condizione sociale. 

Nelle necropoli di Ostia e di Porto invece sono stati reperiti dei dispositivi atti al nutrimento del morto: un tubo di terracotta, due coppi uniti a formare un condotto o un’anfora tagliata, che permettevano ai liquidi delle libagioni di penetrare nella sepoltura. 

In alcune tombe di Isola Sacra condotti furono infissi ai quattro angoli della cella allo scopo di nutrire simbolicamente la terra in cui erano contenute le spoglie. In un sepolcreto rinvenuto in territorio ostiense (Acilia, loc. Malafede) l’uso di tubuli per libagioni, sia fittili che in piombo, destinati a raggiungere direttamente le ceneri, è attestato soprattutto nelle sepolture a cremazione. 

IL BANCHETTO DENTRO LA CATACOMBA

LE CATACOMBE

Onde seppellire i propri defunti gli Etruschi, i Sabini, gli Ebrei e gli stessi Romani crearono strutture sotterranee, con ambienti ipogei, insomma le catacombe. Erano un intrico di gallerie e cubicoli intersecati in veri e propri labirinti che si espandevano per km sotto la campagna romana, il tutto scavato nel tufo, roccia leggera facile da spicconare. 

Si seppelliva dal basso in alto, in ordine verticale, sia nelle gallerie che nei cubicoli, e così pure negli ipogei e ciascun sepolcro poteva contenere più cadaveri. Qui gli innumerevoli frammenti di recipienti vitrei o ceramici testimoniano il famoso refrigerium in memoria del defunto. Non mancavano le lucerne, i sedili, e a volte i pozzi per l'acqua.

Nel sarcofago o loculo che fosse, venivano inseriti all'interno delle bare sia fiale profumate, sia oggetti cari al defunto. Poi si procedeva alla chiusura della tomba e si completava il funerale con un convivio funebre in onore del defunto, che virtualmente vi partecipava: questo banchetto era chiamato refrigerium.

Questi convivi, o meglio commemorazioni del defunto, avvenivano durante il periodo di lutto, il terzo, il settimo, il nono, il trentesimo e il quarantesimo giorno dopo la morte.

UNA MENSA DI PIETRA

L'ANNIVERSARIO

L’anniversario personale del morto per i pagani era quello della nascita, presso i cristiani invece era quello della morte ed era chiamato “dies natalis”, perché con la morte l’anima rinasceva e si avvicinava al Signore: il trapasso per i cristiani è un passaggio alla vera vita.



I FOSSORI

"Ad catacumbas (presso la cavità) si chiamava la depressione di fronte al circo di Massenzio sulla via Appia fra due colline dove oggi si trova il cimitero di San Sebastiano. Il toponimo si generalizzò e venne utilizzato per indicare gli ipogei sotterranei (TESTINI 1980, p. 92; FIOCCHI NICOLAI et alii 1998, p. 9). In genere erano alte m 2 e larghe cm 80-100 (TESTINI 1980, p. 97).

Il loro compito (dei Fossori) oltre a scavare gallerie, creare ambienti e diversi tipi di tombe, era anche quello di dare sepoltura ai defunti e di custodire questi luoghi. Nel IV secolo i Fossori erano inseriti nei ranghi gerarchici della chiesa e il loro potere diventò quasi incontrollabile, fattore che determinò soprusi e malversazioni, sino a giungere alla loro destituzione da questo incarico, tornando a rivestire un ruolo più modesto, per poi declinare definitivamente verso la metà del V secolo con il progressivo abbandono delle catacombe (TESTINI 1980, pp. 150-156; MARINONE 2000, pp. 51- 53;FIOCCHI
NICOLAI 2001, p. 73)."



BANCHETTO FUNEBRE COL DEFUNTO

Lo strapotere dei fossori fece si che diverse persone si riunissero per acquistare un terreno e farvi scavare un ipogeo, scavando poi varie fosse e decorandolo, all'uso di chi pagava onde avere il loculo, che veniva venduto a un prezzo che teneva conto della comodità o meno del loculo stesso  (per esempio l'altezza o l'umidità del suolo) e della parte più o meno decorata. Qui le stesse persone che avevano creato l'ipogeo stabilivano la loro sepoltura che dava soldi in vita e riposo in morte.

Sembra che i banchetti prevedessero pani, focacce, carni e pesci cotti, verdure, formaggi, olive e frutta secca, accompagnato il tutto con vino abbondante anche se annacquato. Si chiamavano africia le focacce usate per il sacrificio al morto, focacce non lievitate e profumate con rametti di rosmarino che era simbolo dell'immortalità dell'anima.

A causa degli abusi dei Fossori e della troppa allegria dei banchetti l'usanza di questi venne successivamente bandita dal clero cristiano. Divertirsi era peccato.


BIBLIO

- De Santis L., Biamonte G. - Le catacombe di Roma - Newton & Compton Ed. - Roma - 1997
- Ghedini 1990 - Raffigurazioni conviviali nei monumenti funerari romani, in "Rivista di Archeologia", 14, pp. 35-62.
 Nadia Agnoli - L'archeologia delle pratiche funerarie - Mondo romano, Il Mondo dell'Archeologia -Enciclopedia Treccani - 2002.
- Ortalli 2005 - Simbolo e ornato nei monumenti sepolcrali romani: il caso aquileiese, in "Antichità Altoadriatiche" - 61.
- Platner & Ashby - Sepulcra - A Topographical Dictionary of Ancient Rome - Oxford University Press, London - 1929.
- V. Fiocchi Nicolai - I cimiteri paleocristiani del Lazio, I, Etruria Meridionale - Città del Vaticano - 1988.

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