I GUERRA PUNICA (264-241 a.c.)

CARTAGINESI

LE GUERRE PUNICHE

La prima guerra punica (264 - 241 a.c.) fu la prima di tre guerre combattute tra la città di Cartagine e la Repubblica romana. Le guerre vennero dette Puniche, dal nome in latino con il quale venivano chiamati i cartaginesi: Puniciderivato da Phoenici, cioè Fenici.

La I Guerra Punica durò 20 anni, con alti costi sia di soldati che di denaro, e la posta in gioco fu il predominio del Mediterraneo occidentale.

Dapprima Roma e Cartagine furono in ottimi rapporti sia commerciali che politici, il tutto ratificato da diversi patti per i quali:

- Roma non avrebbe dovuto approdare su terre cartaginesi se non per pochi giorni e per valide giustificazioni;
- Cartagine, invece, da parte sua, non avrebbe dovuto interferire nella politica delle città latine;
- le due potenze si sarebbero impegnate a combattere nemici comuni alleandosi. Infatti el 279 a.c. Roma e Cartagine si allearono contro Pirro, re dell'Epiro, chiamato in Italia dalla città di Taranto contro i Romani e poi in Sicilia da Siracusa contro i Cartaginesi. 

Tuttavia Roma temeva la stabilità politica delle terre conquistate, messa in repentaglio dalla possibile conquista delle città greche in Sicilia da parte dei Cartaginesi, che avrebbero potuto scatenare la rivolta delle vicine città latine. Sia Cartagine che il Senato desideravano annettersi le terre Siciliane.

CARTAGINE

CARTAGINE

Cartagine era stata fondata nell'814 a.c. presso Tunisi da coloni provenienti da Tiro, la potente città fenicia. Grazie alla favorevole posizione geografica divenne porto importante e ricco abitato. Secondo il mito i coloni vennero guidati da Elissa (la regina Didone). E' probabile che ci fosse del vero, nel senso che anticamente il potere sacerdotale era in mano alle donne che spesso ispiravano i re sulla condotta da seguire.

D'altronde i fenici adoravano la Dea Fenicia Tanit, che veniva spesso incisa sull'atrio della casa in senso bene-augurale un po' come si faceva un tempo dove sopra la porta di casa, all'interno, si poneva l'immagine o del Sacro Cuore di Gesù o della Madonna, con la lucetta perennemente accesa sotto l'immagine. Della Dea esistono centinaia e centinaia di immagini, per quante ne siano state accanitamente distrutte.

LE IMMAGINI DI TANIT
Quando poi gli Assiri conquistarono Tiro nel 573 a.c., Cartagine divenne la guida politica di tutte le colonie fenicie nel Mediterraneo, tra cui Olbia e Palermo in Italia e Cadice in Spagna.

Cartagine disponeva della più potente flotta del Mediterraneo, oltre al suo esercito composto da mercenari con cui riuscì a frenare l'espansionismo greco nel Mediterraneo, specie in Sardegna e nella Sicilia occidentale, ma non nell' Italia meridionale e nel resto della Sicilia.

Occorre visitare Cartagine per comprendere l'alto grado di civiltà della zona. I quartieri residenziali, organizzati secondo una pianta a scacchiera con strade larghe e rettilinee, in gran parte costruite utilizzando una specie di cemento mescolato a coccio, utilizzato sia per i pavimenti che in alcuni muri.

Le case erano fornite di corridoi e scale in legno per accedere al piano superiore. L’acqua piovana era raccolta mediante canali in cisterne poste in un cortile centrale. Non esisteva una rete fognaria, ma venivano utilizzate fosse settiche.

L’entrata della abitazioni di Birsa, detto quartiere di Annibale, è molto stretta, con un lungo corridoio che immette su un cortile dotato di cisterna, attorno al quale si sviluppa l’edificio. Sul fronte c'è uno spazio dedicato al commercio; una scala conduce ai piani superiori. Varie fonti sostengono che gli edifici avevano fino a sei piani.

L’approvvigionamento idrico è gestito privatamente dai cittadini, ed ogni residenza individuale era dotata di una cisterna che costituisce oggi una preziosa guida per gli archeologi nella ricostruzione della topografia urbana. Nel sito di Kerkouane si è rilevato che ogni casa possedeva una sala da bagno posta vicino all’ingresso, pavimentata a mosaico e dotata di vasca da bagno in pietra con uno o due sedili e lavandino.

I CARTAGINESI

I CARTAGINESI

Cartagine era una repubblica oligarchica con tre organi principali:


- 1) - I SUFFETI

I nobili cartaginesi appartenevano a una classe aristocratica proprietaria di terre che in parte però divenne una ricca classe di commercianti via mare. Questi due gruppi elitari erano rappresentati da due magistrati, eletti annualmente, tra le famiglie dei ricchi mercanti e dei proprietari terrieri, ed erano chiamati Sufeti, cioè “giudici”.

Essi:
- presiedevano il senato, 
- amministravano la giustizia, 
- promuovevano le leggi 
- convocano il senato e l'assemblea del popolo.
Erano eletti da un’assemblea dei cittadini che poteva prendere decisioni in caso di divergenze tra i sufeti e il senato. Il senato promulgava le leggi, dirigeva la politica estera e reclutava gli eserciti, ed era sostanzialmente un organo aristocratico, formato esclusivamente da nobili cittadini che restavano in carica a vita.


- 2) - IL SENATO

Era composto da 300 membri.

Esso:
- si occupava di questioni di guerra e di pace;
- controllava l'operato dei suffeti.
- era poi diviso in commissioni di cinque membri che eleggevano “la corte dei cento” formato da circa cento senatori cui si conferivano poteri illimitati.

Rispetto alla cultura romana possedevano meno democrazia e soprattutto poca considerazione dei plebei. Sul piano culturale era a tutti gli effetti una città fenicia, che parlava fenicio, che scriveva in fenicio, che seguiva usi e i costumi fenici e che venerava gli Dei fenici.


-3) - L'ASSEMBLEA DEL POPOLO

- eleggeva i suffeti;
- eleggeva i generali;
- pronunciava le condanne all'esilio.

LE ROVINE DI CARTAGINE

LE CITTA' STATO

I fenici sapevano tracciare le rotte marine, sapevano navigare di notte, riferendosi all'Orsa Maggiore. Naturalmente navigavano seguendo il costa a costa, per poter attraccare in caso di difficoltà, fare rifornimento di acqua dolce e viveri e commerciare con le popolazioni locali. Seppero produrre, con il legno di cedro, navi snelle e robuste, che potevano contenere grandi quantità di merci e navigare velocemente.

La loro potenza era soprattutto per mare, dove erano abili combattenti, molto meno attrezzati a combattere sulla terra ferma, dove usavano soldati mercenari assoldati di volta in volta. Viceversa i romani, abituati ad espandersi sul suolo italico, erano poco pratici in mare ma efficientissimi sulla terra ferma, tanto più che possedevano un esercito stanziale che passava la vita ad allenarsi.

Inoltre mentre a Roma c'era come base la figura del cittadino soldato, base per qualsiasi desiderio di intraprendere la carriera politica in quanto base del rispetto romano, a Cartagine il combattimento era esercitato solo da alcune famiglie nobili che ne tenevano il privilegi in qualità di comandanti. Pertanto disposero di ottimi generali ma di combattenti meno bravi e soprattutto meno motivati dei romani che si battevano per la patria.

Le città-stato cartaginesi erano fondate sui promontori della costa, con uno o più porti e con un'entroterra che si spingeva fino alle montagne. Venivano utilizzati anche gli isolotti antistanti la costa, per essere meglio fortificati. Il clima era umido d'inverno e secco d'estate, ma i cartaginesi sapevano irrigare i campi. 

L'economia si basava principalmente sull'agricoltura con la coltivazione del grano, dell'ulivo, della vite e della frutta, soprattutto fichi e sicomori. Erano anche esperti nella lavorazione del legno e crearono molte industrie per la lavorazione del pesce, in special modo del tonno. Erano inoltre esperti di tecniche della lavorazione del bronzo, dell'avorio, ma furono anche abili fabbri e orafi, soprattutto nell'oro e nell'argento. 

Divennero poi molto abili nelle attività tessili, soprattutto per i tessuti colorati con la porpora, un colorante naturale ottenuto da un mollusco, il murice. Ebbero dunque e produssero risorse notevoli, utilizzabili però totalmente in un contesto di scambi.

Vi erano poi i piccoli agricoltori, i pescatori, gli artigiani e gli operai che lavoravano, insieme agli schiavi (prigionieri di guerra o di azioni di pirateria), nelle fabbriche, nei cantieri navali e nelle grandi proprietà terriere dei nobili. Gli stranieri che vivevano a Cartagine erano detti "meticci", questi non avevano diritti politici, ma erano ben integrati nella vita economica, culturale e religiosa della città.

NAVI PUNICHE

IL COMMERCIO PUNICO

Nelle commedie greche il commerciante cartaginese veniva dipinto come un tipo divertente, imbonitore e pacifico, intento a scucire più denaro possibile al nobile e innocente affibbiandogli qualsiasi merce.. I mercanti cartaginesi attraccavano in ogni porto del Mediterraneo, comprando e vendendo, stabilendo magazzini, o sciorinando le loro merci nei mercatini all'aperto appena scesi dalle loro navi.

Sembra che gli Etruschi furono per parecchi secoli clienti e fornitori di Cartagine, molto prima della espansione di Roma. Le città-stato etrusche furono partner commerciali di Cartagine oltre che, a volte, alleate in operazioni militari. Si intendevano tra loro per l'arte del commercio e la raffinatezza, nonchè lo spirito libero delle città-stato.



LA STORIA

Dall'VIII fino al V a.c. in Sicilia coabitarono delle etnie fenicio-puniche, soprattutto a Mozia, sull'isola di San Pantaleo, a Solunto, città ellenistica sulla costa settentrionale della Sicilia, sul Monte Catalfano e a Palermo, che durante la guerra contro l'isola di Mozia, insieme a Solunto, Segesta ed Entella si dichiarò fedele a Cartagine e nemica di Dionisio, quindi venne attaccata dai greci di Siracusa, dai Popoli preellenici e dall'etnia greca e saccheggiata.

IL MEDITERRANEO NEL 264 A.C. (INGRANDIBILE)
Le campagne di espansione greca verso l'occidente crearono spesso contrasti e battaglie tra le due etnie, soprattutto tra le città di Selinunte (greca) e Segesta (alleata dei Fenici). Spesso Cartagine forniva mezzi e uomini a supporto dei Fenici isolani, fino ad intervenire in diversi scontri. Il terreno di battaglia fu spesso la Sicilia, come nella celebre battaglia di Hymaera, nel 480 a.c. dove ebbero la meglio i greci, ma non mancarono scontri navali.

All'inizio del V secolo a.c., Cartagine era il centro commerciale della regione, avendo conquistato i territori delle antiche colonie fenicie come Adrumeto (oggi Susa in Tunisia), Utica (città costiera tunisina), Kerkouane (antico sito cartaginese), e delle tribù libiche, conquistando tutta la costa dell'Africa dal Marocco ai confini dell'Egitto. 

Sul Mar Mediterraneo aveva ottenuto il controllo di alcune aree costiere della Sardegna, di Malta, delle isole Baleari e della parte occidentale della Sicilia, e pure alcune colonie in Spagna. In tutto il Mediterraneo occidentale resistevano a Cartaginese solo Marsiglia (colonia greca focese), le colonie greche della costa italiana e i commercianti etruschi.



I SACRIFICI UMANI

SIMBOLO DELLA DEA ASTARTE
"C’era una statua di Cronos in bronzo, dalle mani stese con le palme in alto e inclinate verso il suolo, in modo che il bambino posto su esse rotolava e cadeva in una fossa piena di fuoco" narra Diodoro Siculo, ma si sa che i nemici vengono spesso demonizzati, la stessa cosa si disse degli ebrei e dei cristiani, ambedue sacrificatori di bambini.

La credenza è basata sui Tofet, i cimiteri dei bambini, tra l'altro dedicati alla Dea Madre Tanit e le Dee Madri non volevano certo sacrifici umani.

E' come dire che le tombe di bambini trovate fuori delle tombe a camera etrusche, e ce ne sono parecchie, non si trovino all'interno con quelle degli adulti in quanto sacrificati.

E poi, dato l'odio dei romani per i rivali cartaginesi, figuriamoci se Catone e altri non avrebbero invocato l'abominio per giustificare e spronare all'agognata guerra.

Non esiste la minima prova di codesti sacrifici umani, ma la Chiesa cattolica si è molto data da fare per farlo credere.

Sulla chiesa di Alatri un'epigrafe avverte che un tempo lì sorgesse un tempio di Baal dove si eseguivano i sacrifici dei bambini, notizia assolutamente inventata.



LA SITUAZIONE

Nel 280 a.c. Roma aveva vinto e debellato gli Etruschi, i Sabini, i Volsci, mentre con i Marsi, gli Apuli, i Vestini aveva stretto alleanze, come aveva stretto accordi di alleanza o di non-interferenza con varie popolazioni italiche e con le colonie greche dell'Adriatico.

Per contro non possedeva una vera Marina e per i commerci si affidava agli Etruschi e ai Greci. Gli abitanti di Tarentum, in lotta con i Thurii (coloni magna-greci che stavano tra il Pollino e lo Ionio) che avevano chiesto aiuto a Roma, dal momento che la coalizione con Sanniti, Bruzi e Lucani non riusciva a battere Roma, chiesero aiuto a Pirro, re dell'Epiro.

Pirro, grande condottiero e stratega dei Molossi, aveva perso il trono nel 302 a.c. ed era stato mandato quale ostaggio alla corte egiziana di Tolomeo I che però lo aiutò a rientrare nel suo regno. Chiamato dalla città greca di Taranto contro Roma che aveva rotto un trattato, giunse in Italia nel 280 a.c. con un esercito di 25.500 uomini e 20 elefanti da guerra.

Pirro sconfisse i romani, terrorizzati dagli elefanti, guidati dal console Publio Valerio Levino, nella battaglia di Heraclea e poi sconfisse l'esercito romano guidato da Publio Decio Mure e Publio Sulpicio Saverrione nella battaglia di Ascoli di Puglia, nonostante la "devotio" di Decio Mure.

Giunse poi in Sicilia a favore delle colonie greche contro i cartaginesi, ma venne tradito dai suoi stessi alleati, per tema del suo dominio. Tornato in Italia, nel 275 a.c. venne sconfitto dai Romani a Maleventum, ribattezzata Beneventum e si ritirò in Grecia dove morì. Nelle "Vite parallele" Plutarco paragonò Pirro a Gaio Mario. Nel 272 a.c. Roma conquistò Taranto e la Calabria, e poi anche la Puglia.



SIRACUSA

La città venne governata da Gerone II che venne eletto stratego nel 275 a.c. per le vittorie contro i cartaginesi, e tiranno nel 265 a.c.per le vittorie contro i Mamertini di Messina, alleati di Roma. Forse un po' troppo esaltato dalla vittoria si alleò coi Cartaginesi contro Roma.

RE PIRRO
Cartagine nel 279 a.c. per tema che Pirro cercasse di occupasse Racusa (Ragusa), inviò una flotta di 120 navi che si ancorarono nel porto di Ostia per forzare i romani, in guerra con Pirro, a non mollare le ostilità.

Così Cartagine ebbe mani libere contro Siracusa e stipulò un trattato con Roma per spartire le zone di influenza.

Il patto, oltre a promesse di aiuto economico e militare di Cartagine contro i greci, garantiva a Roma che i punici non si accordassero con Pirro mentre Roma era impegnata in combattimenti con Sanniti, Lucani e Bruzi.

Era proibito ai romani sbarcare in Sicilia, ma l'anno successivo, Pirro sbarcò con 8.000 uomini a Catania e Taormina, e conquistò praticamente tutta la Sicilia riducendo i punici al possesso del solo Capo Lilibeo.
Due anni dopo dovette però rientrare in Italia e Cartagine si riprese le sue terre.



BELLUM IUSTUM

Nel 288 a.c. i Mamertini, mercenari campani al servizio del tiranno di Siracusa, alla morte di questi occuparono la città di Messana (Messina) uccidendo tutti gli uomini e prendendone le donne. Inoltre la guarnigione romana di Rhegium (Reggio Calabria) costituita da soldati campani, per prevenire una sollevazione, fece strage degli uomini, impossessandosi dei beni e delle donne. 

Allora i romani, sconfitto ormai Pirro a Maleventum, nel 270 a.c. inviarono un esercito con a capo il console Gneo Cornelio Blasione per riprendere Rhegium. Cornelio pose l'assedio alla città, aiutato dalla flotta siracusana, e quando la guarnigione si arrese deportò a Roma i sopravvissuti tra i 4000 che dieci anni prima avevano preso la città. Il senato chiese una punizione esemplare per quei soldati che si erano macchiati di crimini contro la popolazione facendoli fustigare e poi decapitare dal primo all'ultimo.
In Sicilia invece i mamertini saccheggiavano il territorio circostante Messana (Messina) e si scontrarono con la città indipendente di Siracusa. Il tiranno di Siracusa Gerione II nel 270 a.c. si scontrò con i mamertini vicino Mylae (Milazzo). I mamertini si rivolsero a Roma e pure a Cartagine per ottenere aiuto. Cartagine contattò Gerone per fermarlo e convinse i mamertini ad accettare una guarnigione cartaginese a Messana. I mamertini chiesero aiuto anche a Roma, ma se questa accettava entrava in guerra con Cartagine. 
Da un lato si riteneva ingiusta la causa dei mamertini, che si erano impossessati di una città, e pericoloso rompere il trattato con Cartagine che impediva si mettere piede in Sicilia; d'altra parte non si era favorevoli all'espansione del potere cartaginese che, dopo Messana, poteva passare a Siracusa, e alla Sicilia intera.

Il senato non seppe decidersi e si rimise all'assemblea popolare, dove contava molto la parte mercantile e popolare di Roma, che era anche interessata al grano di Sicilia e a fondare colonie per aprire nuovi mercati. L'Assemblea accettò la richiesta dei mamertini, venne posto il console Appio Claudio Caudice a capo di una spedizione militare con l'ordine di attraversare lo stretto di Messina, nel 264 a.c.

Si dice che Romani mandassero a Cartagine una lancia (simbolo di guerra) ed un caduceo (simbolo di pace) chiedendo ai Cartaginesi di scegliere quale volessero, e che i Cartaginesi rispondessero che i latori dei due simboli potevano scegliere di lasciare quello che volevano. Era stato un tentativo romano di intimidazione, al quale però i Cartaginesi risposero senza paura, a dire che nessuna delle due potenze temeva la guerra.



LA BATTAGLIA DI MESSINA - 264 a.c.

La battaglia di Messina fu il primo scontro tra forze romane e Cartaginesi, cioè l'inizio della I Guerra Punica e durò dal 264 a.c al 241 a.c..
I Mamertini occuparono Messina, uccisero gli uomini e presero le donne e usando Messina come base iniziarono i saccheggi dei territori vicini. Questo finchè Gerone, generale di Siracusa decise di stroncare la situazione:
«...addestrò in modo efficace le milizie cittadine, le condusse fuori, e si scontrò con i nemici nella pianura Milea nei pressi del fiume chiamato Longano. Inflitta loro una pesante sconfitta e presi vivi i loro capi, stroncò l'audacia dei barbari e, una volta tornato a Siracusa, fu proclamato re da tutti gli alleati.»
(Polibio, Storie, I, 9, BUR. Milano, 2001)

I Mamertini avevano chiesto aiuto a Cartagine e contemporaneamente anche a Roma. I Romani avevano appena condannato a morte i loro stessi concittadini (mercenari che come i Mamertini avevano combattuto per Reggio e poi l'avevano occupata). Tuttavia, non per i Mamertini, ma per ragioni di espansione, accettarono la richiesta e nel 264 a.c. Roma inviò a Messina uno dei due consoli, Appio Claudio Caudice, con le sue due legioni. Le altre due legioni vennero affidate a Marco Fulvio Flacco.

Cartagine intanto aveva occupato il porto messinese e il comandante cartaginese si era insediato nella rocca, ma Messina voleva essere romana.
Intanto i Cartaginesi posero la flotta nei pressi di Capo Peloro (la punta estrema nord orientale della Sicilia) e le forze terrestri vicino alle Sine (a nord di Messina). Gerone II di Siracusa si alleò con Cartagine contro i Mamertini, uscì con le sue truppe e si accampò a sud di Messina tentando una azione "a tenaglia".

Appio Claudio, in un primo momento cercò di evitare il combattimento; mediando fra i Mamertini e gli assedianti. Visto che tutto era inutile attaccò i Siracusani che dovettero cedere e ritirarsi nel loro accampamento. Ma nella notte Gerone e i suoi ritornarono a Siracusa. Il giorno successivo però Appio all'alba attaccò i Cartaginesi che dovettero fuggire nelle città vicine. Poi Appio tornò a Siracusa e l'assediò.

Gerone II venne poi sconfitto nel 262 a.c.dai successivi consoli Lucio Postumio Megello e Quinto Mamilio Vitulo, che posero la basi della permanenza romana in Sicilia, mentre Gerone divenne alleato romano.
«la maggior parte delle città, ribellandosi ai Cartaginesi e ai Siracusani, si unì ai Romani. Gerone concluse che le prospettive dei Romani fossero più brillanti di quelle dei Cartaginesi. Perciò, orientato in questo senso dalle sue riflessioni mandava inviati ai consoli parlando di pace e di amicizia. I Romani accettarono soprattutto per gli approvvigionamenti...»
(Polibio, Storie)

A Roma, quando si seppe dei brillanti risultati di Appio si decise di inviare in Sicilia entrambi i nuovi consoli Manio Otacilio Crasso e Manio Valerio Massimo Messalla (figlio di Marco Valerio Massimo Corvino) con tutte e quattro le legioni; 16.000 fanti e 1.200 cavalieri. I Fasti trionfali riportano che Messalla riportò delle grandi vittorie, conquistando 67 cittadine, tra cui Messina e Catania, e vincendo un'importante battaglia contro i cartaginesi ad Imera, un'importante colonia greca.



BATTAGLIA DI IMERA

Occorre ricordare che due secoli prima, assediata ed espugnata Selinunte, la cui popolazione fu o massacrata o ridotta in schiavitù, i Cartaginesi si rivolsero ad Imera, che la gente aveva in gran parte lasciato per scappare a Messina, ma circa 3,000 dei suoi abitanti, per lo più anziani, una volta caduta la città, vennero sacrificati, per ordine di Annibale, ai Mani del suo antenato, ucciso qui nel 480 a.c..

Dopo questi eventi la città venne rasa al suolo e disabitata. Due anni dopo, gli esuli di Imera, assieme a coloni libici, fondarono a 12 km ad ovest dello storico insediamento di Thermai Himeraìai, l'odierna Termini Imerese.

Nel 260 a.c. i Romani subirono presso la città una durissima sconfitta ad opera di Amilcare, ma successivamente riuscirono a riconquistarla, grazie a Manio Valerio Massimo Messalla e al suo esercito nel 253 a.c., e da allora la città rimase fedele a Roma, e fu tra quelle soggette a tributo.

I consoli accettarono la pace, Gerone dovette restituire i prigionieri senza ricevere il riscatto di 100 talenti d'argento, e si impegnò a supportare le attività belliche di Roma in Sicilia. Ora c'era il problema del controllo del mare della flotta cartaginese.



LA BATTAGLIA DI AGRIGENTO

Ratificato l'accordo dal popolo, Roma ridusse le truppe di occupazione a due legioni ma Cartagine, con Siracusa e Roma ormai nemiche, arruolò mercenari Liguri, Celti e Iberici per rinforzare le proprie guarnigioni e li concentrò ad Agrigento.

I successivi consoli Lucio Postumio Megello e Quinto Mamilio Vitulo, inviati in Sicilia nuovamente con quattro legioni (anzichè due) affrontarono la battaglia di Agrigento. Anzitutto si cercò da ambedue le parti di chiudere i porti principali al nemico, per impedirgli il rifornimento delle loro truppe, non possedendo basi militari in Sicilia. 

Poi Roma nel 262 a.c. assediò Akragas (Agrigento) con quattro legioni (circa 20.000 legionari e 2.000 cavalieri) ma la guarnigione cartaginese di Agrigento riuscì a chiedere rinforzi che giunsero, con una flotta che occupò il porto di Messina. 

I romani passarono quindi da assedianti ad assediati e, perso il supporto di Siracusa, dovettero costruire un vallo per la propria difesa, un po' come fece due secoli dopo Cesare ad Alesia. Vinsero i romani, le cui legioni erano più disciplinate ed efficienti delle armate mercenarie cartaginesi, anche perchè gli abitanti si ribellarono e aprirono le porte della città ai romani.

Immenso fu il bottino e il saccheggio del campo nemico che durò buona parte della notte. Se Annibale Giscone (300 - 258 a.c.), comandante delle truppe ad Agrigento, avesse disposto di forze sufficienti forse avrebbe potuto infliggere gravi perdite ai romani intenti al bottino ma i superstiti dopo sette mesi di assedio erano così sfiniti e sfiduciati che durante la notte, senza esser visti dai romani, uscirono dalla città e raggiunsero la flotta.

ARMAMENTO DI GUERRIERO CARTAGINESE

BATTAGLIA DELLE ISOLE LIPARI

Nel 260 a.c., dunque la flotta romana era stata costruita su modello cartaginese e fu affidata al console Gneo Cornelio Scipione Asina, mentre a Gaio Duilio, l'altro console, fu dato il comando delle forze di terra.

Scipione, dopo aver ordinato ai capitani delle navi di partire per Messina appena pronti, era partito in anticipo con 17 navi diretto allo Stretto. Passando vicino all'isola di Lipari, controllata da Cartagine, si accorse che la sua guarnigione aveva dimensioni ridotte, così decise di occupare le isole.
Infatti Gneo occupò la città e il suo porto, ma la notizia giunse velocemente a Palermo, dove il comandante Annibale Giscone, che era riuscito a fuggire da Agrigento, inviò Boode, un membro del Senato cartaginese con venti navi.

«Questi, compiuta la navigazione di notte, bloccò nel porto Gneo e i suoi. Quando sopraggiunse il giorno, gli equipaggi si dettero alla fuga nella terraferma e Gneo, che era terrorizzato e non poteva fare nulla, alla fine si arrese ai nemici
(Polibio, Storie, I, 21, BUR. Milano, 2001. trad.: M. Mari.)
Le navi cartaginesi, catturata la flottiglia nemica e il suo comandante che era anche console tornarono a Palermo.

Cornelio Scipione venne liberato probabilmente quando Marco Atilio Regolo (299 - 246 a.c.) sbarcò in Africa, ma la sua sconfitta non lo penalizzò, perchè venne eletto console per la seconda volta nel 254 a.c. con Aulo Atilio Calatino. Insieme i due consoli comandarono l'esercito in Sicilia e conquistarono Panormium (Palermo). Gneo Cornelio si era vendicato e per questa impresa gli fu concesso l'onore del trionfo (che non venne invece riconosciuto ad Atilio Calatino)



BATTAGLIA DI MILAZZO 260 a.c.

Fu la prima vittoria navale di Roma nei confronti dell'esperta flotta di Cartagine. Messina rinunciava all'indipendenza chiedendo di essere protetta contro i nemici dalla superiore forza militare romana. Ora Roma aveva il "diritto" di stare in Sicilia. Finalmente aveva il Iustum Bellum.

I Cartaginesi intanto crocifissero il loro comandante Annone perchè si era dimostrato vile e incapace, posero la flotta nei pressi di Capo Peloro (la punta estrema nord orientale della Sicilia) e le forze terrestri vicino alle Sine (a nord di Messina). Gerone II di Siracusa stipulò un trattato con i Cartaginesi, e si accampò a sud di Messina tentando una azione "a tenaglia".

Appio Claudio, in un primo momento cercò di evitare il combattimento mediando fra i Mamertini e gli assedianti. Quando capì che era inutile attaccò i Siracusani che dovettero cedere e ritirarsi nel loro accampamento. Durante la notte Gerone e i suoi ritornarono a Siracusa. Il giorno successivo Appio, all'alba attaccò i Cartaginesi e li vinse. Poi si diresse a Siracusa e l'assediò.

A Roma, visti i successi di Appio si decise di inviare in Sicilia entrambi i nuovi consoli, Manio Otacilio Crasso e Manio Valerio Massimo Messalla con tutte e quattro le legioni; 16.000 fanti e 1.200 cavalieri.
«la maggior parte delle città, ribellandosi ai Cartaginesi e ai Siracusani, si unì ai Romani. Gerone concluse che le prospettive dei Romani fossero più brillanti di quelle dei Cartaginesi. Perciò, orientato in questo senso dalle sue riflessioni mandava inviati ai consoli parlando di pace e di amicizia. I Romani accettarono soprattutto per gli approvvigionamenti...»
(Polibio, Storie)



RITORNO A ROMA

I siciliani, scontenti del governo dei cartaginesi e dei greci, non opposero resistenza all'arrivo dei romani. Inoltre Gerone II di Siracusa offrì la propria alleanza e Messalla accettò facendogli firmare un trattato di pace che limitava la sovranità siracusana sulla Sicilia sud orientale.

Nonostante la coordinazione dei due consoli nelle operazioni, solo a Messalla venne concesso il trionfo «De Paeneis et Rege Siculorum Hierone» (Fasti).

Al suo ritorno a Roma, portò con sé la prima meridiana, presa a Catania, e la fece posizionare su una colonna nel Foro.

Fece dipingere un affresco nella Curia Hostilia raffigurante la battaglia tenutasi ad Imera, opera considerata da Plinio un antesignano dell'arte pittorica a Roma.

Attaccata da Roma e dai Mamertini, Siracusa alleata con Cartagine perse con Manio Valerio Massimo Messalla. Ottenne la pace versando 100 talenti, e divenne un fedele alleato di Roma cui fornirà aiuti, grano e macchine da guerra.



BATTAGLIA DI CAPO ECNOMO

Fra il 256 a.c. e il 255 a.c. Roma tentò di portare la guerra in Africa invadendo le colonie cartaginesi. Fu costruita una grande flotta sia per il trasporto delle truppe e dei rifornimenti sia per la protezione dei convogli. Cartagine cercò di fermare questa operazione ma venne sconfitta nella Battaglia di Capo Ecnomo dalle legioni di Attilio Regolo.
 

BATTAGLIA DI TUNISI

Cartagine chiese la pace ma le condizioni erano così pesanti che i negoziati fallirono e Cartagine, assunse il mercenario spartano Santippo per riorganizzare le proprie forze. Questi riuscì a fermare l'avanzata romana, sconfisse Regolo nella battaglia di Tunisi e lo catturò. 

Secondo Polibio circa cinquecento romani che, assieme al console, erano riusciti a fuggire furono in seguito catturati. Le perdite cartaginesi furono di 800 mercenari, quelli disposti all'ala sinistra e sgominati dai Romani. I  2000 componenti dell'ala destra romana, che li avevano messi in fuga, a causa dell'inseguimento si trovarono fuori dalla battaglia e si salvarono.

I sopravvissuti delle truppe romane si rifugiarono nella città di Aspide, dove era rimasta una guarnigione. Roma organizzò una flotta di soccorso di trecentocinquanta navi comandata da Marco Emilio Paolo e Servio Fulvio Petino Nobiliore.

I Cartaginesi, raccolto il bottino, assediarono Aspide che però resistette. Ora Cartagine doveva attaccare la flotta romana che veniva in soccorso, ed organizzò una flotta di duecento navi .
La battaglia si scatenò al largo del Capo Ermeo, la flotta cartaginese perse ben 114 navi, complete di equipaggio, che furono catturate dai romani. La flotta romana raccolse i superstiti di Aspide e fece vela verso la Sicilia.

Santippo lasciò Cartagine al massimo della gloria e tornò a Sparta, ben sapendo che non avrebbe potuto resistere a lungo al comando dell'esercito cartaginese, intriso di legami politici e familiari. Diodoro (XXIII, 16) afferma che i Cartaginesi, o alcuni di loro, fecero naufragare la nave che lo riportava in Grecia.

AMILCARE BARCA

AMILCARE BARCA

Verso la fine della guerra, nel 249 a.c. Cartagine inviò in Sicilia il generale Amilcare (il padre di Annibale). e Roma dovette creare un dittatore. Amilcare sbarcò immediatamente nella parte nord-ovest della Sicilia, con un corpo di mercenari. Asserragliato sul monte Pellegrino, e poi sul Monte Erice, riuscì a mantenere la posizione contro gli attacchi nemici, a difendere le città di Lilibeo (Marsala) e di Drepano (Trapani), e ad effettuare alcune incursioni sulle coste dell'Italia meridionale.

Amilcare non subì mai sconfitte in terra siciliana. A dimostrazione del suo valore, i Romani gli concessero, infine, l'onore delle armi: fatto assolutamente eccezionale per la consuetudine romana, non perchè i romani fossero avari di riconoscimenti ma perchè in genere i generali più intelligenti e generosi li ebbero loro.

Amilcare fu un generale davvero geniale e innovativo: perfezionò la manovra a tenaglia, ereditata dall'Oriente ellenistico e da Santippo (che verrà poi attuata e perfezionata da Scipione l'Africano a Zama), e inventò un metodo per frenare gli elefanti da guerra imbizzarriti, per evitare che si volgessero contro le proprie unità, dotando i cornac (i conducenti) di mazzuoli e grandi chiodi che, all'occorrenza, venivano conficcati nel cranio degli animali, uccidendoli.

Comunque non potè cambiare il corso della guerra, anche perchè ormai si combatteva per mare, e che terminò con la sconfitta dei Cartaginesi. Nonostante Roma l'avesse ammirato Amilcare la odiava, e si oppose sempre all'accordo con Roma, tanto che, nel momento in cui venne ratificato il trattato di pace, si allontanò dalla sala del Consiglio cartaginese.



BATTAGLIA DELLE ISOLE EGADI - 241 a.c.

Le battaglie con Cartagine avevano dissanguato l'erario di Roma. Non c'erano più soldi per sostituire le navi distrutte. Ma anche Cartagine era allo stremo. Si doveva affrontare un'ultima battaglia per vivere o morire.

«L'impresa fu, essenzialmente, una lotta per la vita. Nell'erario, infatti, non c'erano più risorse per sostenere quanto si erano proposti
(Polibio, Storie, I, 59, 6,)

Il senato si rivolse ai romani, soprattutto ai ricchi mercanti, annunciò che la situazione era grave, anzi gravissima, o si ricostituiva una flotta o Roma era perduta. 

Al contrario dei Cartaginesi che spesso uccidevano i loro migliori generali per invidie e competizioni di famiglia, i romani comprendevano che o si salvavano tutti o tutti perivano.

La classe più ricca, sia nobile che plebea rispose all'appello, col patto che in caso di vittoria avrebbero recuperato il proprio danaro. In caso contrario non c'era nulla da chiedere perchè tutti avrebbero perso tutto, conoscendo poi l'estrema crudeltà dei cartaginesi.

Così il popolo romano finanziò una nuova flotta di duecento quinqueremi complete di equipaggio sul modello di quelle puniche, migliori di quelle romane in quanto leggere e maneggevoli specie per le speronature.

La flotta romana comandata da Quinto Lutazio Catulo, viene inviata a Drepanon (Trapani), ultima roccaforte punica rimasta in Sicilia. I cartaginesi impiegano otto mesi per predisporre una nuova flotta che, al comando di Annone, doveva liberare Drepanon. La battaglia è in favore dei romani che catturano 70 navi cartaginesi e ne affondano 50: altre 50 navi cartaginesi vennero messe in fuga. La battaglia combattuta il 10 marzo del 241 a.c., segna la supremazia dei romani via mare e la definitiva sconfitta di Cartagine, nonchè la fine della I Guerra Punica.

Ma la battaglia decisiva avvenne sul mare. La battaglia delle Isole Egadi del 241 a.c. vinta dalla flotta romana, segnò la fine della prima guerra punica, dimostrando che i romani sapevano combattere egregiamente sia via terra che via mare.

Fu pace, ma una pace precaria. Sia Roma che Cartagine erano ormai le grandi potenze del Mediterraneo e due erano troppe, un di loro doveva soccombere.

Vedi anche: SECONDA GUERRA PUNICA >


BIBLIO

- John Francis Lazenby - The First Punic War - UCL Press - 1996 -- Santo Mazzarino - Introduzione alle guerre puniche - Rizzoli - 2003 -
- Gaetano De Sanctis - III.1 - L'età delle guerre puniche - Milano-Torino - 1916 -
- Gaetano De Sanctis - III.2 - L'età delle guerre puniche - Milano-Torino - 1917 -
- Gaetano De Sanctis - IV.1 - La fondazione dell'Impero: dalla battaglia di Naraggara alla battaglia di Pidna - Milano-Torino - 1923 -
- Roberto Bartoloni - Le guerre puniche: Roma contro Cartagine - Firenze - Giunti - 2006 -
- Ettore Pais - Storia di Roma durante le guerre puniche - 2 voll. - Roma - Optima - 1927 -

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