CARTAGINE |
Vedi anche: < SECONDA GUERRA PUNICA
La Terza Guerra Punica fu l'ultima delle tre guerre combattute fra le due grandi potenze del Mediterraneo: Cartagine e Roma, e si compì fra il 149 a.c. e il 146 a.c. Era già avvenuta nel 348 a.c. la stipulazione di due trattati con Cartagine riguardanti il possesso di Sardegna e Corsica, molto contestata dai loro abitanti.
Con la fine della I Guerra Punica Cartagine aveva perso definitivamente la Sicilia e la Corsica, con un'invasione romana nel 236 a.c. La rivolta dei mercenari contro i cartaginesi permise ai Romani di appropriarsi anche della Sardegna.
CIVILTA' CARTAGINESE
Sorse dall'unione delle comunità berbere africane con i coloni dell'antica fenicia, la prima a creare una sorta di alfabeto scritto, forse come necessità nelle trattative commerciali. Al tempo delle prime installazioni fenicie, il Nord Africa è occupato da popolazioni libiche molto simili ai berberi. Secondo la tradizione venne fondata dalla principessa di Tiro Didone.
Cartagine subiva le pesanti condizioni di sconfitta e si atteneva ai patti per tema di ritorsioni ma Roma non aveva dimenticato i costi economici e umani causati da Annibale nella precedente guerra. I territori a sud di Roma che avevano sopportato le scorribande, dei Cartaginesi prima e delle legioni poi, nel solo 214 a.c. registravano nove villaggi distrutti e 32.000 civili resi schiavi.
IL CASUS BELLI
Intanto il re di Numidia e alleato dei romani Massinissa si era arbitrariamente annesso alcuni regni minori sulla costa dalla Tunisia all'Atlantico. Colpito dalla civiltà di Roma volle emularla trasformando pian piano il suo regno da pastorale con società nomade ad agricolo e stanziale. Fondò alcune città e poi mirò a Cartagine, al suo sapere, al suo porto e alle sue terre.
Così approfittò degli accordi di pace del 201 a.c. fra Roma e Cartagine, che vietavano alla città persino la difesa senza il consenso dell'Urbe, per sottrarre con la violenza alcuni suoi territori di confine. Così occupò la ricchissima Emporia nella Syrtis Minor, Cartagine protestò con Roma e il Senato inviò una delegazione comprendente Publio Cornelio Scipione, tra l'altro amico di Massinissa, che non decise nulla contro la Numidia.
Avendola fatta franca, nel 174 a.c. Massinissa occupò Tisca e il territorio circostante. Roma inviò in Africa Catone, il grande nemico di Cartagine, alla guida di un'altra commissione. Per tutta risposta Catone ribadì la necessità di distruggere Cartagine, portando il famoso aneddoto del cesto di fichi, portati da Cartagine ancora tanto freschi da far comprendere quanto Cartagine fosse pericolosamente vicina.
Intanto a Cartagine la fazione favorevole a Roma e a Massinissa perse il potere e 40 membri furono esiliati e si rifugiarono in Numidia, pressando il re a inviare a Cartagine i suoi figli per chiedere il rientro degli esuli. Cartagine rifiutò e Massinissa occupò la città di Oroscopa. Esasperata Cartagine, rompendo i patti, allestì un esercito di 50.000 uomini e cercò di riconquistare Oroscopa, ma perse la battaglia.
Ora Roma non temeva più Cartagine ma temeva che la Numidia la conquistasse assorbendone il grande potere. Roma finse di trattare con Cartagine chiedendo però che la parte della città sul mare fosse demolita e che nessun edificio sorgesse a meno di 5 km dal mare, il che significava toglierle tutti gli scambi commerciali via mare. Cartagine rifutò e Roma dichiarò guerra. Era il 149 a.c. aveva inizio la III Guerra Punica.
L'ESERCITO ROMANO IN AFRICA
Appena i consoli romani Lucio Marcio Censorino e Manio Manilio Nepote partirono per l'Africa dalle basi siciliane con un esercito di 80.000 uomini e 4.000 cavalieri, Cartagine si arrese e si rimise alle decisioni di Roma inviando 300 ostaggi scelti fra gli adolescenti della nobiltà punica.
L'esercito romano sbarcò presso Utica, che si arrese e dovette consegnare al campo romano di Utica ben 200.000 armature, 2.000 catapulte e altro materiale bellico. Ma secondo gli ordini ricevuti Marcio Censorino ordinò la distruzione di Cartagine: "Escano dunque dalle mura gli abitanti e vadano ad abitare ad ottanta stadi dal mare"
Per tutta risposta il popolo cartaginese uccise tutti gli Italici presenti in città, liberò gli schiavi perchè aiutassero nella difesa, e richiamò Asdrubale e gli altri esuli allontanati per compiacere Roma. Però finsero di volere un'ulteriore risposta di Roma per guadagnare altri 30 giorni.
In realtà sbarrarono le porte della città, rinforzarono le mura, poi i 300.000 Cartaginesi rimasti, fondendo ogni metallo recuperabile dagli edifici e dai templi, perfino oro e argento, riuscirono a produrre ogni giorno 300 spade, 500 lance, 150 scudi e 1.000 proiettili per le ricostruite catapulte. Le donne offrirono i loro capelli per fabbricare corde per gli archi. Quando i Romani, partiti da Utica per distruggerla, arrivarono alle mura di Cartagine le trovarono chiuse e con gli armati sulle mura. E fu assedio.
L'ASSEDIO
Ora a parte che furono armati perfino i vecchi e i giovinetti cartaginesi, Asdrubale era riuscito ad arruolare circa 50.000 uomini ben armati. Censorino tentò di bloccare il porto con la flotta senza riuscirvi. Le mura erano inespugnabili. Intanto come tribuno, Scipione Emiliano, figlio del console Lucio Emilio Paolo Macedonico, vincitore a Pidna, adottato nella gens Cornelia dal figlio di Scipione Africano, riuscì a portare nel campo dei romani Imilcone, uno dei capi della cavalleria cartaginese, con oltre 1.200 cavalieri.
Nel 148 a.c.vennero inviati in Africa i nuovi consoli ma si rivelarono ancora più incapaci dei predecessori facendosi battere dai difensori di due città vicine: Clupea e Ippona. Questi insuccessi romani galvanizzarono i Cartaginesi, Asdrubale prese il potere con un colpo di Stato rompendo la concordia precedente e fece esporre sulle mura i prigionieri romani, orrendamente mutilati, per intimorire i nemici. Ma non conosceva i romani che erano abituati da secoli alle atrocità dei barbari, che per questo odiavano e disprezzavano. Anzi, ottenne l'effetto contrario, più che mai i romani si decisero a distruggere la città e pure gli abitanti.
LA FINE DI CARTAGINE
L'agonia della città durò tutto l'inverno, senza viveri, con la pestilenza, vi furono casi di cannibalismo e di morte per gli stenti. Scipione conosceva benissimo le condizioni degli assediati e non forzò l'attacco.
Nel 146 a.c. infine dà l'ordine di salire sulle mura. Lelio e le sue truppe scelte conquistano il porto militare e il foro.I sopravvissuti si battono per le strade della città, di casa in casa, per circa quindici giorni. Gli ultimi soldati assieme a un migliaio di disertori romani, si rinchiusero nel tempio di Eshmun sull'acropoli, resistendo per altri otto giorni. Il tempio verrà poi dato alle fiamme dagli stessi Cartaginesi.
Cartagine, la bella e potente regina del Mediterraneo che aveva fatto tremare Roma, fu data alla fiamme, rasa al suolo, e il suo porto venne distrutto. Lo storico greco Polibio narra che Scipione pianse vedendo quella rovina.
Leggenda vuole che sulle rovine della città fu passato l'aratro, ed i solchi furono cosparsi di sale in modo tale che nulla potesse più crescere sul suo suolo; però nessuna fonte dell'antichità cita questo rituale menzionato solo nel XIX secolo.
Con la fine della I Guerra Punica Cartagine aveva perso definitivamente la Sicilia e la Corsica, con un'invasione romana nel 236 a.c. La rivolta dei mercenari contro i cartaginesi permise ai Romani di appropriarsi anche della Sardegna.
Dopo Annibale, che era stato il signore della II guerra punica, Cartagine aveva dovuto cedere anche la ricchissima Spagna, con cui i cartaginesi avevano sostenuto le spese, sia del pagamento delle indennità del primo conflitto, sia per i quindici anni di guerra sostenuti da Annibale in Italia.
Per la sconfitta di Annibale, Cartagine stava inoltre pagando 200 talenti d'argento annui per 50 anni, costretta inoltre a prestare un contingente all'esercito di Roma nelle guerre contro Antioco III, Filippo V e Perseo.
Peraltro i suoi commerci avevano avuto una viva ripresa e la loro agricoltura stava rifiorendo, soprattutto grazie alle coltivazioni di ulivo e vite che i cartaginesi sapevano produrre con nuove tecniche che davano un'alta resa, grazie al manuale agronomico di Magone che era subito stato tradotto e utilizzato anche dai romani..
I romani apprezzavano tutte le innovazioni da qualsiasi parte venissero e ciò aveva contribuito a farli grandi, e da Cartagine avevano copiato molto, soprattutto la costruzione delle navi.
CIVILTA' CARTAGINESE
Sorse dall'unione delle comunità berbere africane con i coloni dell'antica fenicia, la prima a creare una sorta di alfabeto scritto, forse come necessità nelle trattative commerciali. Al tempo delle prime installazioni fenicie, il Nord Africa è occupato da popolazioni libiche molto simili ai berberi. Secondo la tradizione venne fondata dalla principessa di Tiro Didone.
Sconfitti ad Himera nel 480 a.c. dai greci, loro rivali commerciali, la civiltà cartaginese si sviluppò in territorio africano. Qui sembra che le vie si sviluppassero con un sistema ortogonale, molto simile a quello greco e romano. Le strade erano lastricate e diritte ma fatte di argilla sulle colline, con rampe di scale quando necessitava.
Le abitazioni venivano costruite per mezzo di una specie di cemento mescolato a pezzi di ceramica, e così il pavimento delle stanze o l'elevazione delle pareti. Le case avevano corridoi e scale di legno, erano alimentate da cisterne sotterranee che raccoglievano l'acqua piovana da un cortile centrale attraverso condutture. Non esisteva un sistema fognario ma una sorta di fossa biologica. I più abbienti avevano l'encausto come i romani con vasche nei bagni.
Tra gli elementi principali della città ci sono l'agorà, i templi, i porti mercantili e militari, varie taberne e bancarelle, magazzini, quartieri di artigiani alla periferia. soprattutto vasai, mercati, necropoli, di cui molti si trovano tra le case e la pianura, e altri più in alto sulle colline.
Cartagine subiva le pesanti condizioni di sconfitta e si atteneva ai patti per tema di ritorsioni ma Roma non aveva dimenticato i costi economici e umani causati da Annibale nella precedente guerra. I territori a sud di Roma che avevano sopportato le scorribande, dei Cartaginesi prima e delle legioni poi, nel solo 214 a.c. registravano nove villaggi distrutti e 32.000 civili resi schiavi.
Le sei legioni che Roma manteneva prima di Annibale, erano diventate 25 nel 212 a.c. a causa di Annibale.
Roma doveva mantenere oltre 200.000 legionari, oltre alle navi con i loro costi e i loro uomini. Inoltre chi combatteva non produceva e non coltivava la terra, Roma non poteva perdonare ed aveva bisogno di rimpinguare le casse.
C'era soprattutto il moralista Marco Porcio Catone, non tanto preoccupato dai pericoli futuri, ma dal timore che i romani potessero apprendere i molli costumi orientali che terminava tutti i suoi discorsi con la famosissima frase «Ceterum censeo Carthaginem esse delendam» (e concludo affermando che Cartagine deve essere distrutta).
Non tutti erano d'accordo, nemmeno il valoroso Scipione Nasica, cugino dell'Africano che rispondeva: «per me deve vivere». Ma i cavalieri, che gestivano molte attività commerciali erano dalla parte di catone per togliersi di torno il rivale commerciale.
IL CASUS BELLI
Intanto il re di Numidia e alleato dei romani Massinissa si era arbitrariamente annesso alcuni regni minori sulla costa dalla Tunisia all'Atlantico. Colpito dalla civiltà di Roma volle emularla trasformando pian piano il suo regno da pastorale con società nomade ad agricolo e stanziale. Fondò alcune città e poi mirò a Cartagine, al suo sapere, al suo porto e alle sue terre.
Così approfittò degli accordi di pace del 201 a.c. fra Roma e Cartagine, che vietavano alla città persino la difesa senza il consenso dell'Urbe, per sottrarre con la violenza alcuni suoi territori di confine. Così occupò la ricchissima Emporia nella Syrtis Minor, Cartagine protestò con Roma e il Senato inviò una delegazione comprendente Publio Cornelio Scipione, tra l'altro amico di Massinissa, che non decise nulla contro la Numidia.
Avendola fatta franca, nel 174 a.c. Massinissa occupò Tisca e il territorio circostante. Roma inviò in Africa Catone, il grande nemico di Cartagine, alla guida di un'altra commissione. Per tutta risposta Catone ribadì la necessità di distruggere Cartagine, portando il famoso aneddoto del cesto di fichi, portati da Cartagine ancora tanto freschi da far comprendere quanto Cartagine fosse pericolosamente vicina.
Intanto a Cartagine la fazione favorevole a Roma e a Massinissa perse il potere e 40 membri furono esiliati e si rifugiarono in Numidia, pressando il re a inviare a Cartagine i suoi figli per chiedere il rientro degli esuli. Cartagine rifiutò e Massinissa occupò la città di Oroscopa. Esasperata Cartagine, rompendo i patti, allestì un esercito di 50.000 uomini e cercò di riconquistare Oroscopa, ma perse la battaglia.
Ora Roma non temeva più Cartagine ma temeva che la Numidia la conquistasse assorbendone il grande potere. Roma finse di trattare con Cartagine chiedendo però che la parte della città sul mare fosse demolita e che nessun edificio sorgesse a meno di 5 km dal mare, il che significava toglierle tutti gli scambi commerciali via mare. Cartagine rifutò e Roma dichiarò guerra. Era il 149 a.c. aveva inizio la III Guerra Punica.
L'ESERCITO ROMANO IN AFRICA
Appena i consoli romani Lucio Marcio Censorino e Manio Manilio Nepote partirono per l'Africa dalle basi siciliane con un esercito di 80.000 uomini e 4.000 cavalieri, Cartagine si arrese e si rimise alle decisioni di Roma inviando 300 ostaggi scelti fra gli adolescenti della nobiltà punica.
L'esercito romano sbarcò presso Utica, che si arrese e dovette consegnare al campo romano di Utica ben 200.000 armature, 2.000 catapulte e altro materiale bellico. Ma secondo gli ordini ricevuti Marcio Censorino ordinò la distruzione di Cartagine: "Escano dunque dalle mura gli abitanti e vadano ad abitare ad ottanta stadi dal mare"
Per tutta risposta il popolo cartaginese uccise tutti gli Italici presenti in città, liberò gli schiavi perchè aiutassero nella difesa, e richiamò Asdrubale e gli altri esuli allontanati per compiacere Roma. Però finsero di volere un'ulteriore risposta di Roma per guadagnare altri 30 giorni.
In realtà sbarrarono le porte della città, rinforzarono le mura, poi i 300.000 Cartaginesi rimasti, fondendo ogni metallo recuperabile dagli edifici e dai templi, perfino oro e argento, riuscirono a produrre ogni giorno 300 spade, 500 lance, 150 scudi e 1.000 proiettili per le ricostruite catapulte. Le donne offrirono i loro capelli per fabbricare corde per gli archi. Quando i Romani, partiti da Utica per distruggerla, arrivarono alle mura di Cartagine le trovarono chiuse e con gli armati sulle mura. E fu assedio.
CARTAGINE A FUOCO |
L'ASSEDIO
Ora a parte che furono armati perfino i vecchi e i giovinetti cartaginesi, Asdrubale era riuscito ad arruolare circa 50.000 uomini ben armati. Censorino tentò di bloccare il porto con la flotta senza riuscirvi. Le mura erano inespugnabili. Intanto come tribuno, Scipione Emiliano, figlio del console Lucio Emilio Paolo Macedonico, vincitore a Pidna, adottato nella gens Cornelia dal figlio di Scipione Africano, riuscì a portare nel campo dei romani Imilcone, uno dei capi della cavalleria cartaginese, con oltre 1.200 cavalieri.
Nel 148 a.c.vennero inviati in Africa i nuovi consoli ma si rivelarono ancora più incapaci dei predecessori facendosi battere dai difensori di due città vicine: Clupea e Ippona. Questi insuccessi romani galvanizzarono i Cartaginesi, Asdrubale prese il potere con un colpo di Stato rompendo la concordia precedente e fece esporre sulle mura i prigionieri romani, orrendamente mutilati, per intimorire i nemici. Ma non conosceva i romani che erano abituati da secoli alle atrocità dei barbari, che per questo odiavano e disprezzavano. Anzi, ottenne l'effetto contrario, più che mai i romani si decisero a distruggere la città e pure gli abitanti.
SCIPIONE EMILIANO |
SCIPIONE EMILIANO
Siamo nel 147 a.c., Roma non si fida più dei suoi consoli ma si fida di Scipione Emiliano, perchè conosce il valore suo e della sua famiglia e viene nominato console pur senza aver raggiunto l'età prescritta. Ha come collega Gaio Livio Druso.
Siamo nel 147 a.c., Roma non si fida più dei suoi consoli ma si fida di Scipione Emiliano, perchè conosce il valore suo e della sua famiglia e viene nominato console pur senza aver raggiunto l'età prescritta. Ha come collega Gaio Livio Druso.
Appena giunto sotto le mura di Cartagine Scipione deve correre a salvare Lucio Mancino che, isolato da un contrattacco rischia pure di morire di fame. Poi procede con l'attacco alla città, e di notte assale Asdrubale, che difendeva il porto con 7.000 uomini, costringendolo a riparare a Birsa.
Ora Scipione doveva bloccare le vettovaglie che giungevano a Cartagine. Fa costruire una diga di tre metri, e blocca il porto attraverso cui si riforniscono i Cartaginesi. Questi scavarono un tunnel-canale per rifornire la città e riescono addirittura a costruire cinquanta navi. Ma Scipione è rapidissimo, distrugge la flotta, chiude il tunnel-canale e lo fa presidiare.
Ora Scipione doveva bloccare le vettovaglie che giungevano a Cartagine. Fa costruire una diga di tre metri, e blocca il porto attraverso cui si riforniscono i Cartaginesi. Questi scavarono un tunnel-canale per rifornire la città e riescono addirittura a costruire cinquanta navi. Ma Scipione è rapidissimo, distrugge la flotta, chiude il tunnel-canale e lo fa presidiare.
Intanto la città di Nefari, presidiata da un grosso nucleo cartaginese, viene attaccata dalle truppe romane del legato Lelio e dal figlio di Massinissa, Golussa, che Scipione aveva convinto ad allearsi a Roma. Si parlò di 70.000 morti e 4.000 sfuggiti, forse un'esagerazione ma comunque caduta Nefari le altre città si arrendono. Ora toccava a Cartagine.
LA FINE DI CARTAGINE
L'agonia della città durò tutto l'inverno, senza viveri, con la pestilenza, vi furono casi di cannibalismo e di morte per gli stenti. Scipione conosceva benissimo le condizioni degli assediati e non forzò l'attacco.
Nel 146 a.c. infine dà l'ordine di salire sulle mura. Lelio e le sue truppe scelte conquistano il porto militare e il foro.I sopravvissuti si battono per le strade della città, di casa in casa, per circa quindici giorni. Gli ultimi soldati assieme a un migliaio di disertori romani, si rinchiusero nel tempio di Eshmun sull'acropoli, resistendo per altri otto giorni. Il tempio verrà poi dato alle fiamme dagli stessi Cartaginesi.
Per risparmiare le sue truppe Scipione emanò un bando che prometteva salva la vita a chi si arrendeva e usciva disarmato dalla cittadella; uscirono in 50.000 fra cui Asdrubale. La moglie di Asdrubale, fra sanguinose ingiurie e maledizioni al marito, gridò una preghiera a Scipione di punire il codardo indegno di Cartagine, poi salì al tempio incendiato, sgozzò i figli e si lanciò fra le fiamme.
IL TORO DI AGRIGENTO
La sua creazione viene attribuita a Perillo di Atene, un fonditore di ottone, che propose a Falaride, tiranno di Agrigento, un nuovo sistema per giustiziare i criminali. Il toro vuoto aveva una porta sul fianco per introdurvi le vittime. Si accendeva un fuoco sotto al toro e si faceva così cuocere la vittima.
E' Paolo Orosio, discepolo di Agostino di Ippona, che lo racconta e ne realizza la riproduzione. il toro era costruito in modo tale che il suo fumo si levasse in profumate nuvole di incenso e la testa era dotata di un complesso sistema di tubi e fermi, che convertivano le urla dei prigionieri in suoni simili a quelli emessi da un toro infuriato.
Si narra anche che una volta riaperto lo strumento di morte, le ossa riarse delle vittime brillassero come gioielli e venissero trasformate in braccialetti. Naturalmente Orosio da buon cristiano si inventa di tutto per mettere in cattiva luce i pagani, anzi narra che diversi cristiani furono martirizzati in tal modo, ma non risulta da nessuna parte. Naturalmente il toro era solo uno stupendo modello di fonditura che doveva ornare il mercato cartaginese così come un altro toro ornava quello romano.
Dopo aver recuperato alcune opere d'arte che i Cartaginesi avevano preso in Sicilia, fra cui il Toro di Agrigento e la Diana di Segesta, Scipione abbandonò la città al saccheggio dei suoi soldati.
La sua creazione viene attribuita a Perillo di Atene, un fonditore di ottone, che propose a Falaride, tiranno di Agrigento, un nuovo sistema per giustiziare i criminali. Il toro vuoto aveva una porta sul fianco per introdurvi le vittime. Si accendeva un fuoco sotto al toro e si faceva così cuocere la vittima.
E' Paolo Orosio, discepolo di Agostino di Ippona, che lo racconta e ne realizza la riproduzione. il toro era costruito in modo tale che il suo fumo si levasse in profumate nuvole di incenso e la testa era dotata di un complesso sistema di tubi e fermi, che convertivano le urla dei prigionieri in suoni simili a quelli emessi da un toro infuriato.
Si narra anche che una volta riaperto lo strumento di morte, le ossa riarse delle vittime brillassero come gioielli e venissero trasformate in braccialetti. Naturalmente Orosio da buon cristiano si inventa di tutto per mettere in cattiva luce i pagani, anzi narra che diversi cristiani furono martirizzati in tal modo, ma non risulta da nessuna parte. Naturalmente il toro era solo uno stupendo modello di fonditura che doveva ornare il mercato cartaginese così come un altro toro ornava quello romano.
LA DIANA DI SEGESTA
Una statua stupenda, anch'essa di bronzo, con una fiaccola sulla mano destra e un arco sulla mano sinistra, si dice fosse bellissima.
CARTAGINE MUORE
Cartagine, la bella e potente regina del Mediterraneo che aveva fatto tremare Roma, fu data alla fiamme, rasa al suolo, e il suo porto venne distrutto. Lo storico greco Polibio narra che Scipione pianse vedendo quella rovina.
Leggenda vuole che sulle rovine della città fu passato l'aratro, ed i solchi furono cosparsi di sale in modo tale che nulla potesse più crescere sul suo suolo; però nessuna fonte dell'antichità cita questo rituale menzionato solo nel XIX secolo.
SCIPIONE |
SCIPIONE PIANGE
Appiano: «Scipione mirando Cartagine distrutta dalle fondamenta e tratta all’estrema rovina, si
dice che abbia pianto manifestamente per i suoi nemici. Dopo aver a
lungo meditato, raccolto in se stesso, pensando come le città, le nazioni e gli stati siano
tutti soggetti a mutazione di fortuna al pari degli uomini, e che tal cosa era toccata ad
Ilio, città una volta felice, agli Assiri, ai Medi, ai Persiani e ai Macedoni, avrebbe recitato
o di proposito o gli sarebbero sfuggiti di bocca codesti versi: "Giorno verrà che il sacro
Ilio rovini, Priamo e la gente del guerriero Priamo". Polibio avrebbe allora chiesto il significato delle sue parole, e si dice che Scipione non si guardasse dal nominare
apertamente la patria sua, per la quale, considerata la natura delle cose, egli temeva».
I CARTAGINESI
I circa 50.000 superstiti, in massima parte donne e bambini, furono venduti nei mercati degli schiavi; la città fu rasa al suolo, i territori divennero ager publicus e dati in affitto a coloni romani, italici e anche libici. La vicina Utica, rivale di Cartagine e alleata di Roma, divenne la nuova capitale della regione.
LA NUMIDIA
Onde evitare strane bramosie da parte della Numidia, tra essa e gli ex possedimenti di Cartagine fu scavato un fossato (poi Fossa Regia) che segnò il confine fra la Numidia (ancora indipendente) e la nuova Provincia romana d'Africa.
La Terza Guerra Punica era terminata e Cartagine era scomparsa.
Vedi anche:
- I GUERRA PUNICA
- II GUERRA PUNICA
BIBLIO
- A.E. AstinAnalisi - Scipio Aemilianus - Oxford - 1967 -
- Elena Caliri - Il pianto di Scipione Emiliano - Ricerche di Storia Antica - 2013 -
Vedi anche:
- I GUERRA PUNICA
- II GUERRA PUNICA
BIBLIO
- A.E. AstinAnalisi - Scipio Aemilianus - Oxford - 1967 -
- Elena Caliri - Il pianto di Scipione Emiliano - Ricerche di Storia Antica - 2013 -
- Polibio - Storie -
- Sesto Aurelio Vittore - De viris illustribus Urbis Romae -
- Cicero - De republica -
- Velleio Patercolo - Historiae romanae ad M. Vinicium libri duo -
- Sesto Aurelio Vittore - De viris illustribus Urbis Romae -
- Cicero - De republica -
- Velleio Patercolo - Historiae romanae ad M. Vinicium libri duo -
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