BATTAGLIA DI FIDENE |
Vedi anche: > SECONDA GUERRA FIDENATE
Vedi anche: > TERZA GUERRA FIDENATE
PRIMA GUERRA TRA ROMA E FIDENE
Fidene (Fidenae) era un'antica città del Latium Vetus collocata da Plinio il Vecchio tra i “ populi albenses ”, popoli confederati appartenenti all’area albana, che usavano riunirsi per i loro riti pagani sul Monte Albano, attuale Monte Cavo vicino Tivoli, dove sorgeva il Tempio di Giove Laziale, poi trasferito da Romolo in Campidoglio.Roma e Fidene si fecero guerra per ben 400 anni, vale a dire sotto Romolo, sotto Numa Pompilio, Tullio Ostilio e sotto i Tarquini. Sia Livio che Dionisio riportano una guerra contro Tullo Ostilio mossa da Alba, conclusasi con la sconfitta di Veienti e Fidenati nella piana presso Fidene.
Invece Dionisio, durante i regni di Anco Marcio, Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo, riporta battaglie in cui Fidenae è coinvolta nelle lotte tra Etruschi, Latini e Romani. Narra inoltre che durante la Repubblica le cose non cambiarono e numerose furono le ribellioni dei fieri fidenati contro Roma, talvolta alleati con i Sabini, oppure con i Latini o con gli Etruschi di Veio.
I Romani erano un popolo di pastori, ma anche di ribelli, di briganti, di esiliati e di fuggiaschi che accolsero a braccia aperte da ogni dove, potenziando il loro esercito, tanto da essere secondo Livio "così potenti da poter rivaleggiare militarmente con qualunque popolo dei dintorni".
Poichè caddero molte delle vicine città di Roma, come quelle dei Ceninensi, degli Antemnati, dei Crustumini e dei Sabini, i Fidenati, ritenendo Roma ormai troppo vicina e pericolosa decisero di attaccarla, prima che fosse lei ad attaccarli.
All'epoca o si attaccava o si era attaccati, era l'usanza tribale, dove la tribù più forte si espandeva a danno delle altre. I Romani però erano lungimiranti e intuirono che non si potevano avere troppi nemici, perchè prima o poi li avrebbero sopraffatti.
Pertanto accolsero a Roma più gente possibile, e per accoglierli dovettero considerarli alla pari, solo così avrebbero accettato di combattere al loro fianco, e combattere era inevitabile per sopravvivere.
" Gli abitanti di Fidene, ritenendo troppo vicina a loro una potenza in continua crescita, senza aspettare che diventasse forte come c'era da prevedere, si affrettano a scatenare il conflitto. Armano squadroni di giovani e li spediscono a devastare le campagne tra Roma e Fidene; di lì piegano verso sinistra (a destra niente da fare, c'è il Tevere che blocca la strada) e compiono atti di vandalismo terrorizzando i contadini; l'improvviso trambusto creatosi nelle campagne arrivò fino in città e fu come una prima avvisaglia della guerra. Romolo, visto che non c'era un minuto da perdere con una guerra così vicina, esce immediatamente alla testa dell'esercito e si accampa a un miglio da Fidene.
Dopo avervi lasciato una modesta guarnigione, si mette in moto col grosso delle truppe. Una parte di queste ordina che si piazzino, pronta a lanciare un'imboscata, in una zona tutto intorno riparata da fitti cespugli; poi, con il blocco più consistente dell'esercito e con tutta la cavalleria, si mette in marcia e, proprio come si era prefissato, riesce ad attirare fuori il nemico adottando un tipo di tattica spericolata e minacciosa, con i cavalieri che scorrazzano fin quasi sotto le porte."
In effetti, per la simulazione della fuga, questo assalto a cavallo fornisce un pretesto più verosimile. Così, quando non solo la cavalleria sembrava incerta tra il combattere e il fuggire, ma anche la fanteria si ritirava, all'improvviso si spalancarono le porte e le linee romane furono travolte dallo straripare dei nemici che, nella foga di darsi all'inseguimento, furono trascinati nel punto dell'imboscata.
Lì i Romani saltarono fuori a sorpresa e attaccarono sul fianco la schiera dei nemici che vennero invasi da stupore e paura, mentre dall'accampamento si videro avanzare gli stendardi del presidio lasciato di guarnigione.
Vedi anche: SECONDA GUERRA FIDENATE >
- Fasti trionfali - anno 752/751 a.c. il trionfo di Romolo sul popolo dei Ceninensi (Caeniensi).
- Fasti trionfali - anno 752/751 a.c. il trionfo di Romolo sugli abitanti di Antemnae (Antemnates).
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane - VII-VIII -
- Eutropio - Breviarium ab Urbe condita - I -
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - I -
- Plutarco - Vita di Romolo - XXIII -
- Andrea Carandini - Roma. Il primo giorno - Roma-Bari - 2007 -
La battaglia di Fidene si svolse negli anni di regno del primo re di Roma, Romolo, quando Tito Tazio era già morto e il trono era interamente nelle mani del I re di Roma, tra l'esercito romano guidato appunto dal suo re ed i Fidenati, e naturalmente fu vinta dai Romani.
Plutarco racconta due versioni di questa guerra:
Plutarco racconta due versioni di questa guerra:
I VERSIONE
Roma riuscì a catturare Fidene, facendola assalire a sorpresa da un gruppo di cavalieri, a cui aveva dato ordine di tagliare i cardini delle porte di accesso della città, seguiti poi dall'esercito di Romolo (771 - 716). Su questa versione abbiamo seri dubbi, tagliare dei cardini massicci come quelli di una porta di accesso alla città è un'operazione che comporta sopportare per lungo tempo i colpi che vengono aa sopra le mura, come frecce, pietre, acqua bollente e non si capisce l'uso dei cavalli perchè non è un'operazione "tocca e fuggi".
II VERSIONE
La seconda versione narra invece che furono i Fidenati a scatenare il conflitto contro i Romani, armando squadroni di cavalieri e spedendoli a devastare le campagne tra Fidene e Roma saccheggiando e uccidendo. Questa versione sembra invece molto credibile. Allora Romolo, postosi a capo dell'esercito, si diresse verso nord seguendo il Tevere fino ad un miglio dalla città nemica.
Lasciò una piccola guarnigione di cavalieri sotto le mura di Fidene, per attirare i Fidenati fuori delle loro mura, mentre Romolo mosse con il grosso dell'esercito verso un bosco vicino. Secondo il piano la cavalleria al momento opportuno doveva ripiegare attirando il nemico nella trappola tesa dai romani.
Una volta aperte le porte della città, i Fidenati si lanciarono sulle prime linee nemiche che si diedero alla fuga fino a raggiungere la boscaglia, dove era nascosto il grosso dell'esercito romano. Qui vennero decimati e risospinti fino alla città che ormai senza difese venne occupata.
FIDENATI |
Lasciò una piccola guarnigione di cavalieri sotto le mura di Fidene, per attirare i Fidenati fuori delle loro mura, mentre Romolo mosse con il grosso dell'esercito verso un bosco vicino. Secondo il piano la cavalleria al momento opportuno doveva ripiegare attirando il nemico nella trappola tesa dai romani.
Una volta aperte le porte della città, i Fidenati si lanciarono sulle prime linee nemiche che si diedero alla fuga fino a raggiungere la boscaglia, dove era nascosto il grosso dell'esercito romano. Qui vennero decimati e risospinti fino alla città che ormai senza difese venne occupata.
III VERSIONE
Ma Tito Livio (ab Urbe Condita) dà ancora una versione:
Ma Tito Livio (ab Urbe Condita) dà ancora una versione:
" Gli abitanti di Fidene, ritenendo troppo vicina a loro una potenza in continua crescita, senza aspettare che diventasse forte come c'era da prevedere, si affrettano a scatenare il conflitto. Armano squadroni di giovani e li spediscono a devastare le campagne tra Roma e Fidene; di lì piegano verso sinistra (a destra niente da fare, c'è il Tevere che blocca la strada) e compiono atti di vandalismo terrorizzando i contadini; l'improvviso trambusto creatosi nelle campagne arrivò fino in città e fu come una prima avvisaglia della guerra. Romolo, visto che non c'era un minuto da perdere con una guerra così vicina, esce immediatamente alla testa dell'esercito e si accampa a un miglio da Fidene.
Dopo avervi lasciato una modesta guarnigione, si mette in moto col grosso delle truppe. Una parte di queste ordina che si piazzino, pronta a lanciare un'imboscata, in una zona tutto intorno riparata da fitti cespugli; poi, con il blocco più consistente dell'esercito e con tutta la cavalleria, si mette in marcia e, proprio come si era prefissato, riesce ad attirare fuori il nemico adottando un tipo di tattica spericolata e minacciosa, con i cavalieri che scorrazzano fin quasi sotto le porte."
In effetti, per la simulazione della fuga, questo assalto a cavallo fornisce un pretesto più verosimile. Così, quando non solo la cavalleria sembrava incerta tra il combattere e il fuggire, ma anche la fanteria si ritirava, all'improvviso si spalancarono le porte e le linee romane furono travolte dallo straripare dei nemici che, nella foga di darsi all'inseguimento, furono trascinati nel punto dell'imboscata.
Lì i Romani saltarono fuori a sorpresa e attaccarono sul fianco la schiera dei nemici che vennero invasi da stupore e paura, mentre dall'accampamento si videro avanzare gli stendardi del presidio lasciato di guarnigione.
Così i Fidenati, in preda al panico, si dettero alla fuga quasi prima che Romolo e i suoi riuscissero a girare i loro cavalli; e visto che si trattava di una fuga vera, riguadagnarono la città in modo più disordinato dei falsi fuggitivi romani. I Fidenati, incalzati dai Romani, entrarono a Fidenae, ma prima che le porte della città venissero richiuse, irruppero all'interno anche i Romani, fondendosi tra assaliti e assalitori.
Secondo le fonti la lotta tra Fidene e Roma si intrecciò più volte con quella dei Romani contro la città etrusca di Veio, perchè, come afferma Livio, i Fidenati "quoque Etrusci fuerunt", si sentivano un po' Etruschi. La città risulta comunque già conquistata e colonizzata da Roma sotto Romolo a seguito della Battaglia di Fidene del 748-746.
RICOSTRUZIONE DELLA CAPANNA FIDENATE |
PLUTARCO
A questo proposito Plutarco racconta che i Veienti divisero il loro esercito in due schiere, una assalì l'esercito romano lasciato a guardia di Fidene e nell'altra si battè contro Romolo. A Fidene i Veienti vinsero uccidendo 2.000 Romani, ma nel secondo scontro persero la vita ben 8.000 Veienti e vinse Romolo. Lo scontro decisivo fu ancora a Fidene, dove Romolo dimostrò tutta la sua bravura di condottiero e vinse la battaglia.
"La guerra scatenata dai Fidenati fu come una febbre contagiosa che colpì gli animi dei Veienti (i quali, oltretutto, vantavano anche legami etnici, visto che condividevano coi Fidenati l'origine etrusca). E in più c'era il pericolo dei confini, nel caso in cui la potenza romana si fosse rivolta ostilmente contro tutte le popolazioni limitrofe. Così si riversarono in territorio romano senza però seguire i piani di una regolare campagna militare ma piuttosto per saccheggiare i dintorni alla rinfusa. Non si accamparono né attesero l'arrivo dell'esercito nemico, ma tornarono a Veio portandosi via ciò che avevano razziato nelle campagne.
I Romani, da parte loro, non avendo trovato il nemico nei campi, attraversarono il Tevere pronti e determinati a sferrare un attacco decisivo. Quando i Veienti vennero a sapere che i nemici si erano accampati e stavano per marciare contro la loro città, andarono loro incontro per decidere la battaglia in campo aperto piuttosto che dover combattere ostacolati dalle case e dalle mura.
A questo proposito Plutarco racconta che i Veienti divisero il loro esercito in due schiere, una assalì l'esercito romano lasciato a guardia di Fidene e nell'altra si battè contro Romolo. A Fidene i Veienti vinsero uccidendo 2.000 Romani, ma nel secondo scontro persero la vita ben 8.000 Veienti e vinse Romolo. Lo scontro decisivo fu ancora a Fidene, dove Romolo dimostrò tutta la sua bravura di condottiero e vinse la battaglia.
"La guerra scatenata dai Fidenati fu come una febbre contagiosa che colpì gli animi dei Veienti (i quali, oltretutto, vantavano anche legami etnici, visto che condividevano coi Fidenati l'origine etrusca). E in più c'era il pericolo dei confini, nel caso in cui la potenza romana si fosse rivolta ostilmente contro tutte le popolazioni limitrofe. Così si riversarono in territorio romano senza però seguire i piani di una regolare campagna militare ma piuttosto per saccheggiare i dintorni alla rinfusa. Non si accamparono né attesero l'arrivo dell'esercito nemico, ma tornarono a Veio portandosi via ciò che avevano razziato nelle campagne.
I Romani, da parte loro, non avendo trovato il nemico nei campi, attraversarono il Tevere pronti e determinati a sferrare un attacco decisivo. Quando i Veienti vennero a sapere che i nemici si erano accampati e stavano per marciare contro la loro città, andarono loro incontro per decidere la battaglia in campo aperto piuttosto che dover combattere ostacolati dalle case e dalle mura.
Nello scontro, senza far ricorso a particolari stratagemmi di supporto alle sue truppe, il re romano ebbe la meglio solo grazie alla fermezza dei suoi veterani: sbaragliò i nemici e li inseguì fino alle mura, ma dovette desistere dall'attaccare la città in quanto risultava ben protetta dalle fortificazioni e dalla sua stessa posizione.
Sulla via del ritorno saccheggia le campagne, più per desiderio di vendetta che per fare razzia. E i Veienti, piegati da questo disastroso strascico non meno che dalla sconfitta in battaglia, inviano a Roma dei delegati per chiedere la pace. Ottennero una tregua di cent'anni in cambio della cessione di parte del loro territorio. Grosso modo furono questi i principali avvenimenti politici e militari durante il regno di Romolo.
Nessuno di essi impedisce però di prestar fede alla sua origine divina e alla divinizzazione attribuitagli dopo la morte, né al coraggio dimostrato nel riconquistare il regno degli avi, né alla saggezza cui fece ricorso per fondare Roma e renderla forte grazie alle guerre e alla sua politica interna. Fu proprio in virtù di quanto egli le aveva fornito che Roma di lì in poi conobbe quarant'anni di stabilità nella pace. Tuttavia fu più amato dal popolo che dal senato e idolatrato dai suoi soldati come da nessun altro. Tenne per sé, e non solo in tempo di guerra, una scorta di trecento armati cui diede il nome di Celeri."
Al termine della terza ed ultima battaglia c'erano sul campo di battaglia ben 14.000 i caduti. Romolo dopo la vittoria, inseguì i Veienti fin sotto le mura della città, conquistando loro i territori dei Septem pagi (ad ovest dell'isola Tiberina) e quelli delle Saline, in cambio di una tregua della durata di cento anni. Il territorio fidenate fu in parte alienato in favore di coloni Romani insediati, secondo Dionisio e Plutarco, per volontà dello stesso Romolo.
Sulla via del ritorno saccheggia le campagne, più per desiderio di vendetta che per fare razzia. E i Veienti, piegati da questo disastroso strascico non meno che dalla sconfitta in battaglia, inviano a Roma dei delegati per chiedere la pace. Ottennero una tregua di cent'anni in cambio della cessione di parte del loro territorio. Grosso modo furono questi i principali avvenimenti politici e militari durante il regno di Romolo.
Nessuno di essi impedisce però di prestar fede alla sua origine divina e alla divinizzazione attribuitagli dopo la morte, né al coraggio dimostrato nel riconquistare il regno degli avi, né alla saggezza cui fece ricorso per fondare Roma e renderla forte grazie alle guerre e alla sua politica interna. Fu proprio in virtù di quanto egli le aveva fornito che Roma di lì in poi conobbe quarant'anni di stabilità nella pace. Tuttavia fu più amato dal popolo che dal senato e idolatrato dai suoi soldati come da nessun altro. Tenne per sé, e non solo in tempo di guerra, una scorta di trecento armati cui diede il nome di Celeri."
BIBLIO
- Fasti trionfali - anno 752/751 a.c. il trionfo di Romolo sugli abitanti di Antemnae (Antemnates).
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane - VII-VIII -
- Eutropio - Breviarium ab Urbe condita - I -
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - I -
- Plutarco - Vita di Romolo - XXIII -
- Andrea Carandini - Roma. Il primo giorno - Roma-Bari - 2007 -
- Theodor Mommsen - Storia di Roma antica - Sansoni - Milano - 2001 -
1 comment:
Molto interessante,mai letto nulla di questo periodo storico durante gli anni lontanissimi del mio liceo classico
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