GUERRE ROMANO-PARTICHE (241 a.c. - 628 d.c.)


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I GUERRIERI PARTI

Le guerre romano-partiche furono combattute tra l'Impero romano e i Parti per la durata di circa tre secoli, con battaglie avvenute principalmente lungo il fiume Eufrate, dalle sue sorgenti fino alla Mesopotamia ed al deserto intorno alla città di Palmira.

Il primo Impero persiano fu detto Achemenide (della dinastia degli Achemenidi) comprendente l'attuale Persia e molti altri domini, fondata da Ciro il Grande nel 550 a.c.. Entrò in una grave crisi nel IV secolo, crollando nel 332 a.c. in seguito alla battaglia di Gaugamela e alla vittoria dei Macedoni guidati da Alessandro Magno. 

IMPERO SELEUCIDA NEL 200 A.C. (INGRANDIBILE)
La parte occidentale passò ad Alessandro, che aveva sconfitto Besso, mentre quella orientale (4,5 milioni di km²) fu divisa in varie signorie. Il secondo impero persiano fu invece detto Sasanide (della dinastia dei Sasanidi)

Come narra Polibio, all'epoca contemporaneo, la guerra tra la Repubblica romana ed Antioco III (241 a.c. - 187 a.c.) segnò l'inizio di una serie di battaglie, in cui Roma sottomise le grandi potenze mediterranee dai Seleucidi, poi dei Parti e poi del Regno del Ponto, governato dal re Mitridate VI, sconfitto infine da Gneo Pompeo Magno. 

I Romani spostarono i confini di Roma ancora più a oriente, creando le province della Bitinia e Ponto, della Cilicia e della Siria, per rivolgersi poi ai Parti.

I primi nemici dei Parti furono i Seleucidi a ovest e gli Sciti a est, ma espandendosi a ovest, venne a scontrarsi con il Regno d'Armenia, e poi con Roma. Roma e la Partia si contesero per secoli il controllo sul regno cliente di Armenia.

I conflitti tra le due potenze, combattuti in Armenia, Siria e in Mesopotamia, non ebbero esito stabile e nessun contendente riuscì ad appropriarsi dei territori in modo definitivo.

LE GUERRIERE PERSIANE

I COSTUMI DEI PARTI

I costumi dei Parti erano profondamente diversi da quelli romani, anche se le antiche donne persiane erano guerriere che combattevano in battaglia, chiamate "Amazzoni" da Alessandro Magno. Artemisia fu grande stratega navale caria e acquistò fama combattendo come generale persiano contro i greci.
Candace, regina della Nubia, fu grande condottiera anche se Strabone la diceva brutta e cieca da un occhio.

Le donne insomma erano libere e rispettate e c'era sotto Ciro libertà di religione, poi i tempi cambiarono, le donne vennero sottomesse e avvilite e gli uomini divennero sottomessi ai re e alla religione in modo quasi schiavistico. Tra Romani e Parti c'era grande differenza, le donne romane potevano divorziare (almeno da Augusto in poi), le donne dei Parti no. Un romano poteva avere una sola donna per volta, i Parti ne potevano avere quante ne potevano mantenere.

Un romano non si inginocchiava nè si prostrava in terra, nè per gli Dei nè per l'Imperatore, i Parti si inginocchiavano e si prostravano, agli dei e all'Imperatore. I Romani erano garantiti nei loro diritti dalle loro leggi, i monarchi Partici godevano di un potere assoluto su tutti i sudditi.

I Romani adoravano gli Dei in modo molto relativizzato e razionale, chi frequentava troppo i templi veniva giudicato fanatico e quindi con poco equilibrio psichico. L'adorazione dei Parti non conosceva limiti nè al fanatismo, nè al sacrificio.



I COSTUMI MILITARI

I Parti utilizzavano in combattimento unità di cavalleria pesante corazzata, i catafratti, appoggiata da arcieri a cavallo. Ai Romani, che si affidavano alla fanteria pesante, ciò causò molti problemi. Per contro la mancanza di fanteria non consentiva ai Parti di assediare le città, ben difese dai Romani. 

Le ultime guerre furono le romano-sasanidi, che andarono dal 363 al 628 con battaglie più o meno violente e di alterna fortuna tra l'Impero romano e i Sasanidi. Per circa due secoli e mezzo, dal 363, subito dopo la campagna sasanide di Giuliano, i due imperi si batterono per i predominio del Medio Oriente. Le ostilità cessarono solo quando gli Arabi inglobarono l'antico regno sasanide e si sostituirono allo stesso nel combattere l'Impero bizantino.

ANTIOCO III


ANTIOCO III (191-190 a.c.)

- 191 a.c. - Battaglia di Corico - Tra Gaio Livio Salinatore e Antioco III
- 191 a.c. - Battaglia delle Termopili - I Romani sotto Marco Acilio Glabrio sconfiggono Antioco III il Grande e lo costringono a fuggire in Grecia.
- 190 a.c. - Battaglia dell'Eurimedonte - Forze romane sotto Lucio Emilio Regillo sconfiggono una flotta seleucide comandata da Annibale, che combatte la sua ultima battaglia
- 190 a.c. - Battaglia di Myonessus - Un'altra flotta seleucide è sconfitta dai Romani
- 190 a.c. (dicembre) - Battaglia di Magnesia - (presso Smirne) I Romani sotto Lucio Cornelio Scipione e suo fratello Scipione Africano maggiore sconfiggono Antioco III il Grande nella decisiva vittoria della guerra.



LUCIO CORNELIO SILLA (96 a.c.)

Un anno dopo che Mitridate II aveva conquistato l'Armenia, Lucio Cornelio Silla, proconsole della provincia romana di Cilicia, si incontrò con il diplomatico partico Orobazo nel 96 a.c. e insieme firmarono un trattato che stabiliva che il fiume Eufrate sarebbe stato il confine tra la Partia e Roma.

«Dopo l'anno di pretura, [Silla] fu inviato in Cappadocia. Motivo ufficiale della sua missione era il porre di nuovo sul trono Ariobarzane I. In verità egli aveva il compito di contenere e controllare l'espansione di Mitridate, che stava acquisendo nuovi domini e potenza non inferiori a quanti ne aveva ereditati
(Plutarco, Vita di Silla, 5.)

«Lucio Cornelio Silla soggiornava lungo l'Eufrate, quando venne a trovarlo un certo Orobazo, un parto, quale ambasciatore del re degli Arsacidi. In passato non c'erano mai stati rapporti di sorta tra i due popoli. Tra le grandi fortune toccate a Silla, va ricordata anche questa. Egli fu infatti il primo romano che i Parti incontrarono, chiedendo alleanza ed amicizia. In questa occasione si racconta che Silla fece disporre tre sgabelli, uno per Ariobarzane I, uno per Orobazo ed uno per sé, e li ricevette mettendosi al centro tra i due. Di questa situazione alcuni lodano Silla, perché ebbe un contegno fiero di fronte a due barbari, altri lo accusano di impudenza e vanità oltre misura. Il re dei Parti, da parte sua, mise poi a morte Orobazo
(Plutarco, Vita di Silla, 5.)

Nonostante il trattato, nel 93 a.c. la Partia combatté una guerra in Siria contro il capo Laodice e quando uno degli ultimi monarchi seleucidi, Demetrio III Euchero, tentò di assediare Beroea (Aleppo), la Partia inviò aiuti a Beroea e Demetrio fu sconfitto.

RICOSTRUZIONE DI PERSEPOLI


MITRIDATE II (trattato di pace nel 92 a.c.)

Nel regno di Mitridate II, l'Impero partico fu diviso tra Gotarze I che governò la Babilonia, e Orode I (r. c. 90–80 a.c.) che governò la Partia. Poi Tigrane II di Armenia vinse e annetté il territorio partico alla Mesopotamia occidentale. Questi territori ritornarono in mano partica solo nel corso del regno di Sanatruce, il re dei Parti della dinastia arsacide.(r. 78–71 a.c.).

Nella III guerra mitridatica, Mitridate VI del Ponto (r. 119–63 a.c.), alleato del re d'Armenia Tigrane II, chiese ai Parti aiuti contro Roma, ma Sanatruce li rifiutò. 

Tigrane minore, figlio di Tigrane II, dopo un tentativo fallito di usurpazione del trono paterno, fuggì presso il comandante romano Pompeo, promettendogli che gli avrebbe fatto da guida attraverso l'Armenia; tuttavia, quando Tigrane II si sottomise a Roma come re cliente, Tigrane minore fu condotto a Roma come ostaggio.



LUCIO LICINIO LUCULLO

«Abbandonò i pubblici affari, anche perché si accorse che essi erano ormai al di là del proprio controllo e si sentiva a disagio, o forse perché, come alcuni dicono, aveva saziato la sua sete di gloria e aveva avvertito che la sfortunata questione dei suoi molteplici sforzi e delle sue fatiche lo autorizzava a trascorrere una vita di agio e lusso... Nella vita di Lucullo, come in una commedia antica, un uomo può leggere nella prima parte di incarichi politici e di comandi militari e, nella seconda, di simposii e banchetti e di tutti i tipi di frivolezze»


(Plutarco - Vita di Lucullo)

- 69 a.c.Battaglia di Tigranocerta - 
Lucio Licinio Lucullo sconfigge l'esercito di Tigrane II d'Armenia, genero di Mitridate e suo alleato, presso il quale Mitridate VI del Ponto s'era rifugiato dopo il disastro di Cabira. Quando il comandante romano Lucullo marciò contro la capitale dell'Armenia Tigranocerta nel 69 a.c., Mitridate VI e Tigrane II chiesero l'aiuto di Fraate III (r. c. 71–58 a.c.). che rifiutò e riconfermò con Lucullo l'Eufrate come confine tra la Partia e Roma.

- 68 a.c. - Battaglia di Artaxata - 
Lucullo sconfigge ancora Tigrane, assedia Artaxata ma non entra in città a causa degli ammutinamenti tra le sue truppe.

- 68 a.c.Assedio di Nisibis - 
Da parte delle truppe di Lucullo contro i Parti, ai danni del regno d'Armenia, dove Lucullo espugnò ed occupò la città.

- 68 a.c.Battaglia di Comana Pontica -
combattuta tra il legatus di Lucio Licinio Lucullo, Gaio Valerio Triario, della Repubblica romana contro le forze del regno del Ponto, comandate da Mitridate VI nel 68 a.c., dove il comandante romano vinse sul re pontico.

- 67 a.c.Battaglia di Zela - 
La battaglia fu combattuta tra il legatus di Lucio Licinio Lucullo, Gaio Valerio Triario, della Repubblica romana contro le forze del regno del Ponto, comandate da Mitridate VI, ma stavolta il re pontico vinse sul comandante romano, nella stessa località dove Cesare vent'anni più tardi otterrà una delle sue più memorabili vittorie.

PARTI

GNEO POMPEO MAGNO

- 66 a.c.Battaglia di Nicopoli al Lico - 
Questo scontro vide le forze romane di Pompeo trionfare su quelle di Mitridate, re del Ponto. Nella versione di Cassio Dione Cocceiano, confermata da Tito Livio e Plutarco, si narra che lo scontro avvenne di notte presso l'Eufrate:
«Pompeo gli tenne dietro, desiderando di venire a battaglia. Ma non poté fare ciò prima che il nemico raggiungesse i confini della regione. Infatti di giorno non riusciva ad attaccarlo, poiché non uscivano dall'accampamento, di notte non osava, poiché non conosceva i luoghi. Quando si accorse che Mitriadate stava per sfuggirgli, si vide obbligato ad attaccarlo di notte
(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XXXVI, 48.3.)

Poi Pompeo raggiunse una valle stretta tra le colline, fece accampare i suoi soldati sulle vette ed attese il nemico che giunse marciando tranquillo senza esploratori o vedette. Pompeo piombò su di loro nel buio. I Pontici non avevano nessuna fiaccola e in cielo non vi era nessuna luna che potesse illuminare il campo di battaglia.
«Ecco come si svolse la battaglia. Inizialmente tutti i trombettieri intonarono ad un segnale convenuto, nello stesso momento, il segnale dell'attacco. Subito i legionari e tutti coloro che li seguivano alzarono il grido di guerra. Gli uni battevano le lance contro gli scudi e gli altri colpivano con i sassi gli oggetti in bronzo
(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XXXVI, 49.1.)

« E i Romani che attaccavano con la luna alle loro spalle, essendo la luce vicina all'orizzonte, l'ombra che proiettavano con i loro corpi risultava molto lunga, cadendo sul nemico stesso, che non riusciva a calcolare la distanza esatta tra loro ed i Romani, al contrario supponendo che fossero già a distanza ravvicinata, cominciarono a lanciare i loro giavellotti senza riuscire a colpire nessuno. I Romani, vedendo ciò, lanciarono la loro carica sul nemico con forti grida, e quando il nemico non fu più in grado di mantenere la posizione, cominciarono a fuggire con grande panico, tanto che molti di questi, più di diecimila, furono uccisi, ed il loro campo fu catturato. E così Mitridate riuscì a fuggire, rompendo lo schieramento romano con 800 cavalieri, che però furono subito dispersi, e lo stesso [re] rimase con [soli] tre compagni. »
(Plutarco, Vita di Pompeo, 32.6-7.)

Pompeo si offrì di fare da pacere tra Fraate e Tigrane II, inviando loro tre arbitri, poiché riteneva si trattasse di una mera questione di confini tra i due regni.  accettarono e si riconciliarono, poiché entrambi sapevano che una sconfitta, o l'annientamento di uno dei due, avrebbe solo favorito i Romani. La loro sopravvivenza dipendeva da un'alleanza che avrebbe potuto fermare l'avanzata romana in Oriente. Alla fine fu trovato un accordo tra la Repubblica ed il regno dei Parti, secondo il quale, il fiume Eufrate avrebbe costituito, d'ora in poi, il confine tra i due stati.

- 65 a.c. - Mentre Pompeo era intento a stipulare nuovi trattati di amicizia con le popolazioni caucasiche, vennero da lui gli ambasciatori del re dei Parti per rinnovare il trattato esistente, dato che i luogotenenti del generale romano avevano sottomesso l'Armenia e il Ponto, e Gabinio si era spinto oltre l'Eufrate fino al Tigri, generando apprensione nel sovrano partico Fraate III, al quale Pompeo richiese la Conduene, la regione che Fraate e Tigrane si stavano litigando. Non ricevendo risposta da Fraate, inviò il suo legato Lucio Afranio a prenderne possesso (respingendo le forze partiche fino ad Arbela), per poi concederlo a Tigrane.



AULO GABINIO

Nel 56 a.c. Aulo Gabinio, governatore della Siria, fu fermato dal Senato che non voleva iniziare questa epica battaglia poco prima che invadesse la Mesopotamia dei Parti. Gabinio era stato "invitato" ad intervenire nella disputa tra gli eredi al trono del sovrano dei Parti, Fraate III, morto nel 57 a.c. Egli avrebbe dovuto sostenere Mitridate III di Partia, contro il fratello Orode II, se non fosse stato fermato poco prima di attraversare l'Eufrate. 

Nel 55 a.c. però Orode II, che non voleva affatto evitare questa impegnativa battaglia, raccolse un esercito imponente e lo inviò, sotto il comando dell'erede al trono, Pacoro I, fin sotto le mura di Antiochia. Avevano ancora in mente la disfatta di Crasso e speravano di riappropriarsi dei territori romani.
 
Le forze romane superstiti dopo la disfatta di Crasso, erano passate intanto l comando dell'ottimo Gaio Cassio Longino che vi aveva aggiunto due nuove legioni.  respinse l'invasione del 51 a.c. sconfiggendo più volte i Parti, indeboliti dalla morte del Surena, fatto uccidere per gelosia da Orode. Cassio Longino mantenne il comando fino all'arrivo del proconsole Marco Calpurnio Bibulo.



MARCO LICINIO CRASSO

- 53 a.c. - Battaglia di Carre (Carrhae) - 

Il triumviro e proconsole della Siria, Marco Licinio Crasso, desideroso di gloria e di successi militari, decise di intervenire contro i Parti in aiuto di Mitridate re del Ponto, spingendosi, sulle orme di Alessandro Magno, fino in India, ma egli non aveva le capacità militari di Pompeo o di Cesare, non si era sufficientemente documentato sulle caratteristiche geofisiche del territorio nemico né sulle formidabili tattiche usate dalla temibile cavalleria dei Parti.
 
Orode II allora inviò contro Crasso il suo miglior generale, Surena, mentre egli stesso con un altro esercito invase l'Armenia, affinchè l'alleato di Roma Artavasde II di Armenia (r. 53–34 a.c.) non intervenisse a favore dei Romani. Alla fine Orode ruppe l'alleanza tra Roma e Artavasde alleandosi con quest'ultimo facendo sposare l'erede al trono partico Pacoro I con la sorella di Artavasde.

Intanto Surena si scontrò con Crasso nella battaglia di Carre (Harran, Turchia sudorientale), del 9 giugno del 53 a.c., con 1000 catafratti, armati con lance, e 9000 arcieri a cavallo che in tutto erano quattro volte inferiori rispetto all'esercito di Crasso, che comprendeva sette legioni romane (30/32.000 legionari), numerosi ausiliari, molti dei quali erano cavalieri Galli, e numerose coorti di fanteria leggera.
 
Attraverso circa 1000 cammelli, gli arcieri a cavallo partici venivano costantemente riforniti di frecce impiegando la tattica del "tiro alla partica", che consisteva nel fingere la ritirata, per poi voltarsi indietro e scoccare frecce contro gli avversari. Questa tattica, combinata con l'uso di pesanti archi sul campo pianeggiante, procurò danni immensi alla fanteria di Crasso che ebbe circa 20 000 romani caduti sul campo di battaglia, circa 10 000 catturati, e altri 10 000 circa in fuga verso occidente. 

Crasso fuggì nelle campagne armene ma Surena col suo esercito avvicinò Crasso, offrendogli un colloquio, che Crasso accettò. Tuttavia, uno dei legati di Crasso, sospettando un tranello, tentò di fermarlo mentre cavalcava verso l'accampamento di Surena, e nella lotta che ne seguì Crasso restò ucciso.

Dopo una marcia di 700 km, Surena entrò vincitore a Seleucia portando insieme al suo esercito, i romani prigionieri e un immenso bottino ma, temendo ambisase al trono arsacide, Orode lo fece giustiziare poco tempo dopo.

La sconfitta di Crasso a Carre fu una delle peggiori sconfitte subite da Roma nel corso della storia. La vittoria della Partia rassicurarono i Parti che vollero conquistare i territori romani in Asia. 
Così l'erede al trono Pacoro I e il suo comandante Osace saccheggiarono la Siria fino ad Antiochia nel 51 a.c., ma vennero respinti da Gaio Cassio Longino, che in un'imboscata uccise Osace. 

GIULIO CESARE


GIULIO CESARE

- 47 a.c. (maggio) - Battaglia di Zela - Cesare sconfigge il re Farnace II del Ponto. Questa è la battaglia del famoso Veni, vidi, vici. (venni, vidi, vinsi). Cesare fu uno dei pochissimi che riuscì a sconfiggere pesantemente i Parti, grazie al suo grandissimo genio militare.

Gaio Giulio Cesare stava programmando, poco prima della sua morte, due campagne militari che forase avrebbero cambiato il mondo che conosciamo: in Dacia contro le popolazioni getiche di Burebista ed in Partia. Due popoli che rappresentavano un nemico potenziale per Roma. Ecco come descrivono il suo progetto di conquista alcune antiche fonti:

« ...a Cesare fecero concepire progetti di imprese ancora maggiori, suscitando in lui un desiderio di gloria, come se quella di cui godeva si fosse già esaurita... Preparava una spedizione militare contro i Parti, e sottomessi costoro pensava di attraversare l'Ircania costeggiando il mar Caspio ed il Caucaso, di aggirare il Ponto, invadere la Scizia, percorrere le regioni vicine alla Germania e la Germania stessa, e sarebbe rientrato in Italia passando per la Gallia, chiudendo così in un cerchio i suoi domini, di cui l'Oceano avrebbe costituito tutto intorno il suo confine »
(Plutarco, Vite parallele - Cesare, 58)

« Cesare concepì l'idea di una lunga campagna contro i Geti ed i Parti. I Geti sono una nazione che ama la guerra ed una nazione vicina, che doveva essere attaccata per prima, I Parti dovevano essere puniti per la perfidia usata contro Crasso. »
(Appiano di Alessandria, Guerra civile, 2.110.)

Già a partire dall'autunno del 45 a.c. ebbero inizio intensi preparativi per la guerra, stabilendo inoltre i mandati politici delle magistrature più importanti per il periodo della sua assenza. Ad Apollonia andavano concentrandosi ben 16 legioni e 10.000 cavalieri e la campagna militare doveva iniziare in primavera del 44 a.c., tre giorni dopo le famose idi di marzo. 

Ma questo progetto gigantesco poté essere ripreso pochi anni più tardi, senza successo, da Marco Antonio, e solo in parte completato da Traiano, a cui si dovrà la conquista della Dacia e le campagne contro i Parti in Mesopotamia. Infatti nel 44 a.c. Gaio Giulio Cesare venne assassinato privando Roma del migliore generale di tutti i tempi. 



POMPEO MAGNO

Successivamente, quando a Roma scoppiò la Guerra civile fra Giulio Cesare e Pompeo, gli Arsacidi si schierarono contro Cesare e di conseguenza inviarono soldati per sostenere le truppe dei cesaricidi nella Battaglia di Filippi del 42 a.c.. 

Il re dei Parti Fraate (37 al 2 a.c.) chiese a Pompeo di consegnargli Tigrane minore, ma Pompeo rifiutò e allora  invase la Turchia sudorientale, ma venne respinto dall'esercito del console romano Lucio Afranio. Morto Fraate III, assassinato dai suoi figli Orode II e Mitridate III, in Partia scoppiò la guerra per la successione e Orode costrinse Mitridate a fuggire in Siria romana. 

Aulo Gabinio, proconsole della provincia romana di Siria, volle sostenere Mitridate nella guerra civile, ma desistette per soccorrere Tolomeo XII Aulete (r. 80–58; 55–51 a.c.) in una rivolta in Egitto. Comunque Mitridate conquistò Babilonia, ma il generale di Orode Surena riconquistò la Seleucia e fece giustiziare Mitridate.



QUINTO LABIENO

Quinto Labieno, fedele a Cassio e Bruto, figlio di Tito Labieno un tempo fedele a Cesare poi a Pompeo, si schierò con la Partia contro il Secondo triumvirato nel 40 a.c. e l'anno dopo invase la Siria insieme a Pacoro I. 

Il triumviro Marco Antonio non poté combattere contro i Parti a causa della sua partenza per la Italia, dove radunò il suo esercito per scontrarsi con il rivale Ottaviano, per poi negoziare con lui a Brindisi. Dopo che la Siria fu occupata dall'esercito di Pacoro, Labieno si separò dal grosso dell'esercito partico per invadere l'Anatolia mentre Pacoro e il suo comandante Barzafarne invasero la Siria romana.

Intanto in Giudea, le forze ebraiche pro-romane condotte da Ircano II, Fasaele, ed Erode furono sconfitte dai Parti e dal loro alleato ebraico Antigono II Mattatia (r. 40–37 a.c.) che venne incoronato re di Giudea mentre Erode fuggiva nella fortezza di Masada.



PUBLIO VENTIDIO BASSO

Nonostante gli insuccessi, i Romani ebbero la meglio potendo contare, come sempre, su generali capaci di grandi strategie belliche. Fu la volta infatti di Publio Ventidio Basso, un alto ufficiale di Marco Antonio che combattè e cacciò i Parti dalla Siria, poi sconfisse e fece giustiziare Labieno nella Battaglia delle Porte Cilicie (in Turchia) nel 39 a.c..

Più tardi Ventidio sconfisse un esercito partico condotto dal generale Farnapate nella battaglia del Monte Amano in Siria per cui Pacoro I dovette ritirarsi dalla Siria. Ma non contento Pacoro tornò in Siria nella primavera del 38 a.c., e di nuovo si scontrò con Ventidio, nella Battaglia del Monte Gindaro, a nordest di Antiochia, dove egli stesso venne ucciso in battaglia, e il suo esercito dovette ritirarsi oltre l'Eufrate. Alla successione di Pacoro la scelta di Orode II cadde su Fraate IV (r. c. 38–2 a.c.) che nominò suo nuovo erede.

EPOCA TARDO IMPERIALE

MARCO ANTONIO

- Morto Cesare riprovò a sconfiggere i Parti uno dei più fidati generali di Cesare, Marco Antonio, alcuni anni dopo, ma senza successo, pur avendo messo in campo un esercito di oltre 100.000 armati tra le truppe alleate e numerose legioni tra cui la III Gallica, IV Scythica, V Alaudae, VI Ferrata, X Equestris, XII Fulminata, XVII Classica, XVIII Lybica, XXII Deiotariana.

Nel 38 a.c., giunse in oriente e cominciò a programmare una campagna di proporzioni colossali che prese le mosse da Zeugma, in Siria, nel 36 a.c. L'esito finale fu però un totale insuccesso. Dei 100.000 armati che presero parte alla spedizione (di cui ben 60.000 legionari) tornarono in Siria solo 30.000 legionari e 5/6000 cavalieri iberi/celti.

Una volta sul trono Fraate IV fece uccidere o esiliare i suoi fratelli affinchè non minacciassero il trono, ma uno di loro di essi, Monaeses, fuggì presso Antonio e lo convinse a invadere la Partia. Antonio però volle prima ricondurre la Giudea sotto l'influenza romana, detronizzando il re di Giudea Antigono, alleato dei Parti, e insediando al suo posto Erode come re cliente di Roma (37 a.c.).

Nel 38 a.c. Antonio marciò fino ad Erzurum, nell'Anatolia orientale e Artavasde II re di Armenia cambiò di nuovo alleanza inviandogli dei rinforzi. Poi Antonio invase la Media Atropatene (oggi Azerbaigian, regione posta tra l'Asia occidentale e l'Europa orientale), governata dall'alleato della Partia Artavasde I di Media Atropatene, onde espugnarne la capitale Praaspa. 

La retroguardia di Antonio fu però attaccata dall'esercito di Fraate IV, e anche se dei rinforzi permisero alla retroguardia di salvarsi, l'attacco costò ai Romani 10 000 soldati uccisi e furono distrutte tutte le armi d'assedio che dovevano servire per l'assedio di Praaspa, per giunta Artavasde e la sua cavalleria armena abbandonarono Antonio. Infine, pur inseguito dai Parti, ciò che restava dell'esercito di Antonio riuscì a raggiungere la Siria. 

Ma Antonio non perdonava per cui in seguito attirò Artavasde II in un tranello con la promessa di un'alleanza matrimoniale, lo imprigionò e lo portò a Roma dove venne giustiziato nel 34 a.c.. L'anno dopo Antonio si ritirò dall'Armenia, sia per gli attacchi dei Parti, sia perché Ottaviano stava attaccando le sue forze occidentali. Così l'alleato dei Parti Artaxias II salì di nuovo al trono di Armenia.



OTTAVIANO AUGUSTO

Sconfitto Antonio nella Battaglia di Azio nel 31 a.c., Ottaviano nel 27 a.c. ottenne dal senato il titolo di Augusto e di Imperatore. Tiridate fuggì presso i Romani, portando con sé uno dei figli di Fraate. 
Nell' 1 a.c. però Artavaside III, re d'Armenia filo-romano, fu eliminato dai Parti e dal pretendente al trono Tigrane IV. Augusto, inviò il giovane nipote Gaio Cesare, conferendogli poteri proconsolari superiori a quella di tutti i governatori provinciali d'Oriente.

LA REGINA MUSA
Alla fine venne concluso un patto tra il principe romano Gaio Cesare, ed il gran re dei Parti, in territorio neutrale su di un'isola dell'Eufrate, riconoscendo ancora una volta questo fiume come confine naturale fra i due imperi. Tale incontro sanciva il reciproco riconoscimento tra Roma e la Partia, di Stati indipendenti con uguali diritti di sovranità.

Nel frattempo Tigrane IV era stato ucciso nel corso di una guerra e Gaio, in nome di Augusto, diede la corona ad Ariobarzane, già re della Media dal 20 a.c. Il partito antiromano, rifiutandosi di riconoscere Ariobarzane quale nuovo re d'Armenia, provocò disordini ovunque, costringendo Gaio Cesare ad intervenire direttamente con l'esercito.

Nel 21 a.c., Augusto ordinò al figliastro Tiberio di condurre un esercito legionario in Oriente, per porre sul trono armeno Tigrane II, e recuperare le insegne imperiali.

Lo stesso Augusto si recò in Oriente. Il suo arrivo e l'esercito di Tiberio fecero tremare il re dei Parti che temendo l'invasione, decise di cedere e restituire le insegne delle legioni di Marco Licinio Crasso perdute a Carre nel 53 a.c., e i prigionieri romani superstiti. Fu un successo diplomatico paragonabile alle migliori vittorie ottenute sul campo di battaglia. In cambio i Romani restituirono il figlio rapito e donarono una schiava italica.

Augusto fece celebrare la restituzione delle insegne come una vittoria politica sulla Partia, e la schiava italica sposò Fraate IV divenne la Regina Musa, la preferita tra le cinque regine del re. Per assicurare la successione di suo figlio Fraatace, ancora in tenera età, Musa convinse Fraate IV a consegnare gli suoi altri figli ad Augusto come ostaggi.

Quando Fraatace salì al trono come Fraate V (r. c. 2 a.c. – 4 d.c.), Musa sposò suo figlio e regnò con lui ma i nobili parti, disapprovando il matrimonio incestuoso e pure il sangue non-Arsacide del re, li costrinse all'esilio in territorio romano.

A Fraate successe Orode III per soli due anni, e poi Vonone I, vissuto come ostaggio a Roma dove aveva appreso lo stile di vita romano, cosa che non piacque alla nobiltà partica che appoggiò l'usurpazione di Artabano II (r. c. 10–38 d.c.), che costrinse Vonone all'esilio nella Siria romana.

Anni dopo, al termine della guerra civile, Ottaviano, dopo aver sconfitto Antonio, pose stabilmente lungo le frontiere dell'Impero romano, 28 legioni romane più le truppe ausiliarie. 

- Nell'anno 9 riguardo sul limes Orientis (dall'Eufrate al Mar Rosso, Egitto compreso) stazionavano 6 legioni:
- Legio VI Ferrata - Ancyra (Ankara) - Galazia -
- Legio IV Scythica - Zeugma (Belkis) - Siria -
- Legio III Gallica - Antiochia (Antakia) - Siria
- Legio XII Fulminata - Raphaneae (Chama) - Siria
- Legio XXII Deiotariana - Nicopolis (Alessandria d'Egitto) - Egitto
- Legio III Cyrenaica - Coptos e Thebae (Qift e Al Uqsur) - Egitto



TIBERIO (r. 14–37 d.c.)

L'Imperatore Tiberio non fu estraneo al colpo di Stato di Farasmane I di Iberia per porre suo fratello Mitridate sul trono di Armenia assassinando l'alleato dei Parti, il re armeno Arsace. Artabano II fuggì in Scizia e i Romani posero sul trono Tiridate III, tenuto in ostaggio presso di loro, affinché governasse la Partia come alleato di Roma. 

Essendo morti i re della Cappadocia, di Commagene, e di Cilicia, stati vassalli di Roma, Tiberio nel 18 inviò il figlio adottivo, Germanico, insignito dell'imperium proconsolaris maius su tutte le province orientali. 

Giunto in Oriente, Germanico, con il consenso dei Parti, incoronò Artaxata sovrano d'Armenia e riconobbe come re il giovane Zenone, che prese il nome di Artaxias. Stabilì, inoltre, che Commagene avesse un pretore romano, pur mantenendo la formale autonomia, che la Cappadocia divenisse provincia a sé stante, e che la Cilicia facesse parte della provincia di Siria.

Germanico aveva brillantemente risolto tutti i problemi che avrebbero potuto generare conflitti, si che ricevette, un'ambasceria dal re dei Parti Artabano, intenzionato a rinnovare l'amicizia dei due imperi: in segno di omaggio alla potenza romana Artabano decise di recarsi in visita da Germanico in riva al fiume Eufrate, e chiese che in cambio Vonone fosse scacciato dalla Siria, dov'era rimasto dal momento del suo arresto, poiché fomentava discordie.

Germanico accettò di rinnovare l'amicizia con i Parti, e acconsentì all'allontanamento dalla Siria dell'x-re dell'Armenia Vonone, confinandolo nella città di Pompeiopoli in Cilicia, dove morì poco dopo, ucciso da alcuni cavalieri romani in fuga. Nel 19 anche Germanico morì, ma il suo operato garantì la pace fino al 34.

Nel 34 infatti re Artabano II di Partia, convinto che Tiberio, ormai vecchio, non avrebbe opposto resistenza da Capri, pose il figlio Arsace sul trono di Armenia. Tiberio, allora, decise di inviare Tiridate, discendente arsacide tenuto in ostaggio a Roma, a contendere il trono partico ad Artabano, e sostenne l'insediamento di Mitridate, sul trono di Armenia. Mitridate riuscì ad impossessarsi del trono di Armenia ma i servi di Arsace, corrotti, uccisero il loro padrone. 

Artabano, temendo un nuovo intervento da parte dei Romani, non solo abbandonò le pretese sul regno di Armenia ma dovette lasciare il trono e a ritirarsi, mentre il controllo del regno passava all'arsacide Tiridate. Dopo un anno però Artabano, radunato un grosso esercito, marciò contro di lui che fu costretto a ritirarsi, e Tiberio dovette accettare che lo stato dei Parti fosse governato da un sovrano ostile ai Romani.

CAVALLERIA CATAFRATTA SASANIDE


CLAUDIO (r. 41–54 d.c.)

Artabano, appoggiato dalla fazione antiromana dei Parti, detronizzò Tiridate che fuggì, e l'Imperatore Caligola inviò ambasciatori presso Artabano per un nuovo trattato di pace in cui Roma lo riconobbe re dei Parti, ma gli fece consegnare ai Romani uno dei suoi figli come ostaggio. 

Deceduto Artabano nel 38 d.c., scoppiò la guerra civile tra il successore Vardane I e suo fratello Gotarze II. Ucciso Vardane regnò Gotarze ma parte della nobiltà partica a lui ostile, nel 49 d.c. si appellò all'Imperatore Claudio perchè liberasse il principe ostaggio Meherdates onde sfidare Gotarze. 

Meherdates non solo non riuscì a impadronirsi del trono di Partia, ma subì la mutilazione delle orecchie, in modo da impedirgli di ereditare il trono. La mutilazione del naso o delle orecchie era usuale in oriente in quanto il re non poteva avere anomalie fisiche.



NERONE (r. 54 - 68)

L'Armenia. Finora era uno dei regni clienti di Roma, ma nel 51 Radamisto (r. 51–55), figlio del re di Iberia (la parte orientale e meridionale dell'odierna Georgia) Farasmane I, invase, su ordini del padre, l'Armenia e depose il re cliente romano Mitridate.

Ma il re dei Parti Vologase I (r. c. 51–77) invase l'Armenia per incoronarvi re suo fratello, Tiridate della Dinastia arsacide di Armenia. Anche dopo la caduta dell'Impero dei Parti, il regno di Armenia continuò ad essere retto da Arsacidi.

Nel 55 Vologase I dovette ritirare le sue forze dall'Armenia per reprimere la rivolta di suo figlio Vardane II, e Roma inviò il generale Gneo Domizio Corbulone per riportare l'Armenia sotto il controllo di Roma. Il brillante generale romano riuscì ad insediare sul trono armeno Tigrane VI di Armenia come re cliente dei Romani. ma il suo successore, il generale Lucio Cesennio Peto, perse l'Armenia fuggendo in Cappadocia.

Roma dovette riconoscere come re d'Armenia Tiridate I che dovette recarsi in Italia nel 63 per essere incoronato re d'Armenia dall'Imperatore romano Nerone (r. 54–68) in persona divenendo cliente di Roma.



DOMIZIANO (r. 81 - 96)

Sotto Domiziano le legioni stanziate furono:

- Legio XVI Flavia Firma - Satala (Sadagh) - Cappadocia
- Legio XII Fulminata - Melitene - Cappadocia
- Legio VI Ferrata - Samosata (Samsat) - Siria
- Legio IV Scythica - Zeugma (Belkis) - Siria
- Legio III Gallica - Raphanaea - Siria
- Legio X Fretensis - Aelia Capitolina - Gerusalemme - Giudea -
- Legio XXII Deiotariana e Legio III Cyrenaica - Nicopolis (Alessandria d'Egitto) - Egitto
- vexill. Legio XXII Deiotariana e Legio III Cyrenaica - Coptos e Thebae (Qift e Al Uqsur) - Egitto



TRAIANO (r. 98–117)

- 113 d.c. - Traiano decise di procedere all'invasione del regno dei Parti. Il motivo era la necessità di ripristinare sul trono d'Armenia un re che non fosse un fantoccio nelle mani del re parto. In realtà Traiano progettava questa campagna da diversi anni, sulle orme del grande Alessandro e della progettata, ma mai realizzata, spedizione di Cesare di 150 anni prima.
«Poi decise di compiere una campagna contro Armeni e Parti, con il pretesto che il re armeno aveva ottenuto il suo diadema, non dalle sue mani, ma dal re dei Parti, anche se la sua vera ragione era il desiderio di ottenere nuovi successi e fama.»
(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXVIII, 17.)

- 114 d.c. - Dopo un lungo periodo di pace Osroe I (r. c. 109–128) depose il re armeno Tiridate e lo sostituì con Axidares, figlio di Pacoro II, senza consultare Roma. L'Imperatore romano Traiano fece uccidere il candidato partico al trono, Parthamasiris, nel 114, rendendo l'Armenia una provincia romana. Espugnò inoltre Nisibi per assicurarsi il controllo delle vie maggiori mesopotamiche.

- 115 d.c. - Traiano invase la Mesopotamia trovando una minima resistenza in quanto Osroe era impegnato in una guerra civile in oriente contro Vologase III. Poi scendendo lungo l'Eufrate, espugnò Dura-Europos, la capitale Ctesifonte e Seleucia, sottomettendo finanche il Characene, dove assistette alla partenza delle navi verso l'India dal Golfo Persico.

- 117 - 118 d.c. - Mentre Traiano si stava ritirando verso nord, i Babilonesi si rivoltarono contro le guarnigioni romane, per cui Traiano, incoronò a Ctesifonte Partamaspate nuovo re di Partia e vassallo dei Romani. Traiano si ritirò dalla Mesopotamia nel 117, intendendo rinnovare l'attacco alla Partia nel 118 e "rendere realtà la sottomissione dei Parti", ma l'imperatore morì subito dopo.



ADRIANO (r. 117–138)

Adriano riportò sull'Eufrate la frontiera romano-partica, rinunciando alla conquista della Mesopotamia dato le scarse risorse militari di Roma. Nel frattempo, in Partia, una rivolta costrinse Partamaspate alla fuga in territorio romano, dove i Romani lo nominarono re di Osroene. 

Osroe I riprese dunque il possesso dei territori usurpati da Partamaspate ma perì nel 129 durante il suo conflitto con Vologase III, che regnava sulla parte orientale dell'Impero partico; a Osroe I succedette nella parte occidentale dell'Impero Mitridate IV, il quale continuò la lotta contro Vologase III.



MARCO AURELIO (r. 161–180)

Fu Vologase IV (r. c. 147–191), a riunire l'Impero Partico, invadendo nel 61 l'Armenia e la Siria e riconquistando Edessa. L'Imperatore Marco Aurelio affidò al coimperatore Lucio Vero (r. 161–169) la difesa della Siria; dopo degli insuccessi iniziali i Romani riconquistarono i territori. Marco Stazio Prisco invase l'Armenia nel 163, riuscendo a ricollocando sul trono d'Armenia un re cliente di Roma, l'anno dopo Avidio Cassio conquistò Dura-Europos.

Nel 165 i Romani avanzarono verso il Golfo Persico distrussero Seleucia e Ctesifonte, ma contrassero una malattia letale (forse vaiolo) che non solo li costrinse al ritiro ma in breve si propagò in tutto il mondo romano. I Romani conservarono comunque il possesso della città di Dura-Europos.

Sotto Marco Aurelio:
- Legio XV Apollinaris - Satala (Sadagh) - Cappadocia
- Legio XII Fulminata - Melitene - Cappadocia
- Legio IV Scythica - Zeugma (Belkis) - Syria
- Legio XVI Flavia Firma - Sura - Syria
- Legio III Gallica - Raphaneae - Syria
- Legio X Fretensis - Aelia Capitolina - Gerusalemme - Syria Palaestina
- Legio VI Ferrata - Caparcotna - Kfar Otnay - Syria Palaestina
- Legio III Cyrenaica - Bostra - Bosra - Arabia Petraea
- Legio II Traiana Fortis - Nicopolis - Alessandria d'Egitto - Egitto


PRIGIONIERI PARTI SULL'ARCO DI SETTIMIO SEVERO


SETTIMIO SEVERO (r. 193 - 211)

Dopo un trentennio di pace, l'Imperatore romano Settimio Severo  riprese le ostilità contro la Partia, all'epoca governata da Vologase V (r. c. 191–208), riuscendo a riconquistare la Mesopotamia settentrionale facendone una nuova provincia romana per cui ottenne il titolo di Parthicus maximus, con un Trionfo e un arco trionfale nel foro romano. Settimio Severo intraprese poi una nuova guerra contro i Parti in due campagne. 

La prima nel 195 con cui ricostituì la provincia di Mesopotamia ponendovi a presidio due delle tre nuove legioni: la legio I e la III Parthica. La seconda nel 197-198 dove saccheggiò nuovamente la capitale dei Parti, Ctesifonte meritando l'appellativo di Adiabenicus e Parthicus maximus, oltre a un nuovo arco di Trionfo.

Dopo aver assunto il titolo di Parthicus Maximus, Severo si ritirò verso la fine del 198, tentando invano, nel corso della ritirata, di impadronirsi di Hatra, città che aveva già resistito a Traiano. Intorno al 212, dopo l'ascesa al trono di Vologase VI (r. c. 208–222), suo fratello Artabano IV (d. 224) si rivoltò contro di lui impadronendosi di gran parte dell'Impero.
Sotto Settimio Severo 11 su un totale di 33 legioni vennero impiegate per l'oriente



CARACALLA (r. 211–217)

Nel 215, l'Imperatore Caracalla intraprese una nuova politica espansionistica a danni dei Parti: depose i re di Osroene e Armenia per renderle di nuovo province romane, per poi dichiarare guerra alla Partia e conquistare Arbil ad est del fiume Tigri. L'anno dopo invase la Media, devastando l'Adiabene fino ad Arbela ingannando il sovrano dei Parti, Artabano IV.

Caracalla fu assassinato l'anno successivo lungo la strada per Carre dai suoi soldati, e, in seguito a ciò, i Parti sferrarono una vittoriosa controffensiva sconfiggendo i Romani nei pressi di Nisibi. 

AI TEMPI DI GIULIANO IMPERATORE


MACRINO (r. 217–218)

Morto Caracalla, il prefetto del pretorio, Macrino, si fece proclamare imperatore e fece ritorno ad Antiochia, dove incontrò il figlio Diadumeniano, che proclamò Cesare. Le battaglie continuarono in Mesopotamia, poiché Artabano IV riuscì a battere un esercito romano presso Nisibi.

Dopo questa sconfitta, il nuovo imperatore Macrino fu costretto a firmare una costosa pace con i Parti con la quale i Romani accettarono di pagare più di duecento milioni di denarii più ulteriori doni. Ma l'Impero dei Parti, indebolito da una crisi interna e dalle guerre con Roma, era prossimo alla caduta e alla sostituzione con l'Impero sasanide.

Le ripetute disfatte subite dai Parti per opera degli imperatori romani del II secolo, generarono discredito sulla dinastia arsacide, per cui nel 224 un nobile persiano, di nome Ardashir I, capo locale iranico di Persis (la regione della Perside, diventato in epoca islamica Fārs, in Iran) operò una rivolta e da Istakhr cominciò a sottomettere i territori circostanti a scapito del dominio arsacide. Poi Ardashir I scese sul campo con Artabano IV e nel 224 lo sconfisse in battaglia forse presso Esfahan, e da l' fondò l'Impero sasanide. Ardhashir I sconfisse i Parti "in tre battaglie". La nuova dinastia dei Sasanidi, che si dice discendesse dagli Achemenidi, era impegnata in una politica di espansione imperialistica avversaria dei Romani.

«Ardashir I fu il primo re persiano che ebbe il coraggio di lanciare un attacco contro il regno dei Parti e il primo a riuscire a riconquistare l'impero per i Persiani.»
(Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio , VI, 2.6.)

I Sasanidi tentarono di restaurare gli antichi confini dell'Impero achemenide conquistando per un breve periodo la Siria, parte dell'Anatolia, e l'Egitto a danni dell'Impero romano d'Oriente durante il regno di Cosroe II (r. 590 - 628). Persero poi questi territori nel 628 in seguito alla vittoriosa controffensiva di Eraclio. 

I Sasanidi, che si consideravano discendenti dei Persiani, rivendicavano il possesso di tutto l'impero che era stato degli Achemenidi, ivi compresi i territori, ora romani, dell'Asia Minore e del Vicino Oriente fino al mare Egeo.

Nel 633 l'Impero sasanide, stremato dalle continue guerre contro i Romani, fu invaso dagli Arabi musulmani. In pochi anni la maggior parte del territorio sasanide venne annesso al Califfato islamico e nel 651, con la morte dell'ultimo sovrano sasanide, si concluse la conquista islamica della Persia.


BIBLIO

- Appiano di Alessandria - Guerre mitridatiche - Guerra civile I -
- Cassio Dione Cocceiano - Storia romana - LXVIII -
- Erodiano - Storia dell'Impero romano - Libro VI -
- Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I-X.
- Livio - Periochae - ab Urbe condita libri -
- Vegezio. Epitoma rei militaris - Libro III -
- Maria Gabriella Angeli Bertinelli, Roma e l'Oriente: strategia, economia, società e cultura nelle relazioni politiche fra Roma, la Giudea e l'Iran, L'Erma di Bretschneider, Roma, 1979
- Malcolm A. R. Colledge - L'impero dei Parti - Newton Compton - Roma - 1979 -
- Emilio Gabba, Sulle influenze reciproche degli ordinamenti dei Parti e dei Romani - Atti del Convegno sul tema: la Persia e il mondo greco-romano - Accademia Nazionale dei Lincei - 1965 -
- Emilio Gabba - I Parti in AA.VV - Storia di Roma - Einaudi - Torino - 1990 -
- Rose Mary Sheldon - Le guerre di Roma contro i Parti, Gorizia, LEG edizioni, 2019 -
- Yarshater, Ehsan - The Cambridge History of Iran - The Seleucid, Parthian and Sassanian periods - Cambridge University Press - 1983 -
- C. S. Lightfoot - Trajan's Parthian War and the Fourth-Century Perspective - The Journal of Roman Studies - 1990 -


SATRICUM (Città scomparse)


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SATRICO, IL TEMPIO DELLA MATER MATUTA

Satrico (in latino Satricum) era un'antica città del Lazio, situata grosso modo nel territorio nord-ovest della città di Latina, nella zona di Le Ferriere, una delle 18 città latine fondate da Silvio, figlio di Enea. La città si venne quindi a trovare al margine meridionale del Latium Vetus, in un luogo frequentato per un suo prestigioso santuario, al crocevia della vie di comunicazione tra i territori degli Etruschi e le città greche della Campania, e le vie tra Preneste ed Anzio. 

Sembra inoltre che la città fosse posizionata abbastanza vicino al mare e prima dell’inizio delle paludi pontine, comunque visse quattro periodi tanto diversi quanto importanti:

- il più antico, databile tra il X e il IX secolo a.c., è quello in cui il sito venne occupato da una popolazione di origine latina, che si mescolò poi a varie popolazioni autoctone. Il luogo dove sorgeva il santuario di Satricum, dedicato dai latini e dai romani a Mater Matuta, presenta una continuità di frequentazione per scopi religiosi che si estende dall'VIII secolo a.c. almeno fino al I secolo a.c., periodo al quale è stata datata una dedica riferita al tempio fatta dai duumviri di Anzio; successivamente il tempio fu abbandonato.
- poi tra il VII e VI secolo a.c., subì l'influenza etrusca, e magari anche il dominio, trasformandone l'abitato e i costumi, insomma quando il villaggio si trasforma in un nucleo cittadino; 
- dal V al IV secolo a.c. Satrico divenne un importante centro volsco. Una necropoli volsca è stata ritrovata nel 1981 a sud ovest dell'acropoli,; questa presentava oltre 200 tombe a fossa riferibile al periodo tra il V e il IV secolo a.c., accompagnata da una gran quantità di reperti di produzione greca, etrusca e italica. Le fosse erano tombe ad inumazione, accompagnate da corredo funebre, principalmente vasellame.
- in un periodo successivo, fu tra quelle città che presero parte insieme con la Lega latina alla battaglia del Lago Regillo e furono vinte da Roma, che ne dominò la città e il territorio circostante per poi scomparire. 


SATRICO NEMICA DI ROMA

- Satrico era posta in un territorio che per oltre un secolo fu teatro delle lotte tra i Romani, i Latini e i Volsci e la ritroviamo nel 499 o 496 a.c. in un elenco di città che si erano ribellate a Roma, nel suo ruolo anti-romano che la caratterizzerà sino al suo declino nel 346 a.c.

- Nel 498 a.c., durante il secondo consolato di Tito Larcio, dopo che Roma ebbe sconfitto Fidenae, 29 città alleate contro Roma, tra le quali Satrico, con la speranza di ristabilire il regno di Tarquinio il Superbo, si incontrarono per decidere sul conflitto antiromano.- Nel 495 a.c. il console Servilio tolse al dominio dei Volsci la città di Pomezia, vicina a Satrico. Roma repubblicana si stava pericolosamente espandendo. 

- Ma nel 489 la distruzione venne in realtà dai Volsci condotti da Gneo Marcio Coriolano che, dopo aver preso Longula, presero anche Satrico, saccheggiando la città e distruggendo pure il tempio sull'Acropoli.

- Le fonti letterarie non ricordano Satrico sino al 393 a.c. allorché essa, assieme a Velletri, si ribellò a Roma mentre i Romani combattevano gli Equi. 

ANTEFISSA DI MENADE E SATIRO
- Nel 386 a.c. Marco Furio Camillo, eletto tribuno consolare, guidò i soldati contro Anzio che aveva ripreso le armi contro Roma, sostenuta anche da giovani fuoriusciti Latini ed Ernici. I Romani si scontrarono con l'esercito di Volsci, Latini ed Ernici, numericamente superiore a loro, nelle campagne intorno a Satrico; è a questa campagna che si riferisce l'episiodio leggendario di Furio Camillo, che lancia il vessillo romano oltre le schiere nemiche, per spronare i Romani al combattimento:

«Dopo aver quindi suonato la carica, scese da cavallo e prendendo per mano l'alfiere più vicino lo trascinò con sé verso il nemico gridando: «Avanti l'insegna, o soldato!». Quando gli uomini videro Camillo in persona, ormai inabile alle fatiche per l'età avanzata, procedere verso il nemico levarono l'urlo di guerra e si buttarono all'assalto tutti insieme, ciascuno gridando per proprio conto «Seguite il generale!». Si racconta anche che Camillo ordinò di lanciare un'insegna tra le linee nemiche, e che gli antesignani furono incitati a riprenderla
(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", VI, 8.)

Nello scontro campale i Romani ebbero la meglio, e i Volsci a malapena riuscirono a rifugiarsi entro le mura di Satrico, grazie anche a un violento temporale che impantanò le strade rallentando i cavalli.

- Nel 385 a.c., per volere del Senato, venne fondata a Satrico una colonia romana con l’insediamento di duemila cittadini romani cui vennero assegnati due iugeri e mezzo di terra. ma nel 382 a.c. Ma l'anno dopo, nel 384 a.c., la colonia fu riconquistata dai Volsci e dai Prenestini. Roma richiamò ancora una volta Furio Camillo, che riportò una sofferta vittoria sui Volsci.

Nel 377 a.c. Roma dovette far fronte alla solita minaccia dei Volsci, cui questa volta si erano uniti i Latini. Organizzata la leva, l'esercito fu diviso in tre parti: una a difesa della città, una a difesa della campagna romana, e il grosso fu inviato a combattere i nemici, agli ordini di Lucio Emilio e Publio Valerio. Lo scontro campale si svolse nei pressi di Satrico e fu favorevole ai Romani, nonostante la forte resistenza dei Latini, che dai Romani avevano adottato le tecniche di battaglia.
(Livio, VI, 32).

Mentre i Volsci si ritirarono ad Anzio, dove trattarono la resa, consegnando la città e le sue campagne ai Romani, i Latini, che non volevano arrendersi ai romani considerarono la resa degli alleati un tradimento, per cui diedero fuoco a Satrico che fu distrutta; salvarono solo il tempio di Mater Matuta perchè sarebbe stata una offesa alla Dea che gliela avrebbe fatta pagare.

- Nel 349 a.c. Satrico fu nuovamente ricostruita dai Volsci di Anzio, che in tre anni la completarono e vi fondarono una colonia. Ma Roma, temendo la nuova potenza volsca, mosse guerra contro la città, sconfiggendo ancora una volta i Volsci; Satrico fu data nuovamente alla fiamme, e ancora una volta solo il tempio di Mater Matuta fu risparmiato.

Plinio il Vecchio, vissuto nel I secolo, la ricorderà tra le città latine scomparse.


LA LOCALIZZAZIONE

Lo studioso e archeologo Antonio Nibby localizzò nel 1825 il sito di Satricum nel Casale di Conca, all'interno dell'omonima e vasta tenuta, che almeno dal 1713 era di proprietà del Sant'Offizio di Roma. Nel resoconto delle sue esplorazioni sul campo effettuate all'inizio del XIX secolo, Nibby annota che in prossimità del Casale c'erano delle ferriere, stabilimenti siderurgici in cui si produce ghisa, ferro e acciaio, mosse dal fiume Astura, da cui il nome dell'odierna località delle Le Ferriere.

Nel 1873, in seguito alla legge che prevedeva la vendita delle proprietà ecclesiastiche, la tenuta di Casale fu venduta al Conte Achille Gori Mazzoleni e nel 1918 al Duca Leone Caetani e pochi anni dopo, da questi, alla famiglia Dominici.

Il sito, localizzato da Antonio Nibby, venne scoperto dai primi rilievi condotti da H. Graillot nel 1885, a circa 9 chilometri dal mare, lungo il corso del fiume Astura, sulla sua riva destra fra il territorio di Latina e Nettuno. La prima relazione scritta sul sito fu quella del 1896 ad opera degli archeologi F. Barnabei e A. Cozza.



GLI SCAVI

I RESTI DEL TEMPIO

L'identificazione nell'800 dei resti archeologici a Borgo Le Ferriere (Latina) con l'antica Satricum, riguardarono soprattutto il Santuario della Mater Matuta. Le prime indagini sono del 1885, ma per i primi scavi sistematici occorre aspettare il 1896; molti reperti di questa campagna furono acquistati nel 1903 dal Museo nazionale etrusco di Villa Giulia. 

Altri sondaggi furono realizzati nel 1910, 1934 e 1958 ma gli scavi veri e propri non ripresero prima del 1974, con il determinante contributo dell'Istituto Olandese, che è ancora in corso. Nel 1977 e nel 1978, il complesso templare della Mater Matuta, situato nella parte meridionale dell'acropoli, interessando anche gran parte dei terreni sottostanti e adiacenti, è stato riscavato e pubblicato. 

Oltre l'acropoli si è intrapreso lo scavo di una necropoli volsca del V secolo nella parte SO, e di una villa romana nella parte N della città; inoltre, la scoperta di alcuni lunghi muri paralleli a S della villa romana di inizio V secolo ha aggiunto nuovi elementi alle conoscenze della struttura urbana.
Nell'estate del 2019 è stata data notizia del ritrovamento dei resti di una villa romana e di tre scheletri umani.

RICOSTRUZIONE DEL TEMPIO DELLA MATER MATUTA


LA MATER MATUTA

Da "De rerum natura" di Lucrezio: 

Parimenti a un’ora fissa Matuta diffonde la rosea aurora per le plaghe dell’etere e propaga la luce, o perché lo stesso sole, che ritorna di sotto la terra, occupa prima il cielo coi raggi tentando di accenderlo, o perché fuochi si raccolgono e molti semi di calore sono soliti confluire a un’ora fissa e fanno che ogni giorno nasca la luce di un nuovo sole; così è fama che dalle alte cime dell’Ida fuochi sparsi si vedano al sorgere della luce, poi s’uniscano come in un globo e formino il disco di sole.

Secondo gli archeologi il vero nome della Dea era Mater mentre il suo predicato era quello di Matutina, divenuto poi nel tempo Matuta: presiedeva agli inizi all’aurora e quindi proteggeva le gestanti, i neonati e in genere era benaugurante per l’intrapresa di qualunque positiva attività. 

Secondo altri studiosi la Mater Matuta era la parte visibile della natura che nella sua essenza invisibile era detta solo Mater, e quest'ultima ipotesi ci trova piuttosto d'accordo anche perchè nello stesso modo si usavano i termini di Natura Naturans e Natura Naturata.

ANTEFISSA DEL TEMPIO

- Dall’esame dei muretti si è dedotto prima una capanna con una sola cella, che va dal 750 a.c. al 650 a.c.,
- poi da una costruzione di un sacello che va dal 650 a.c. al 550 a.c., con due stanze di cui una era la cella di uso cultuale e dalla stipe votiva, rinvenuta all’interno del recinto del santuario.
- poi il Primo Tempio, che è la terza forma assunta dal tempio di Satrico dopo la capanna e il sacello, che va dal 500 a.c. al 480 a.c., distrutto da avvenimento ignoto, con orientamento sud-ovest e le caratteristiche dei santuari etrusco-italici del Lazio. Le sue dimensioni (17 x 27 metri) sono maggiori del sacello: la pianta è divisa in due ambienti, quello più vasto, la cella, destinata a contenere la statua della divinità, l’altro di minori dimensioni, il pronao. Il tutto è circondato da un colonnato su tre lati. Il tetto è a doppio spiovente in travi di legno ricoperti da tegole alternate a coppi. Sull’ultimo coppo della parte inferiore del tetto c'erano le antefisse, di varie forme, decorate con pitture e rilievi. Negli scavi del 1896-1898 si sono rinvenute 90 antefisse integre eseguite da maestranze di grande capacità creativa e decorativa. 
- Il Secondo Tempio ha avuto vita più lunga rispetto ai precedenti e anche se nell’anno 207 a.c., come narra Livio, venne colpito da un fulmine, ma soltanto nel I secolo a.c. sarà definitivamente abbandonato come attestato dalle offerte votive ritrovate. Più grande del tempio precedente, di 21 x 34 metri, era orientato verso sud-ovest, con un podio più elevato e colonnata sui quattro i lati, quindi di impronta greca e non più etrusca. Inoltre se le antefisse che nel primo tempio erano piuttosto identiche, nel secondo tempio erano maschere mitologiche con teste di guerriero, con arpie, sileni, menadi e altre figure mitologiche, talvolta a figura intera con forma tridimensionale; il tetto era ornato da una Gigantomachia, e da raffigurazioni di Giunone e Dionisio, e di Zeus ed Era. 
Qui nel 1983 è stata ritrovata una accetta miniaturistica con inciso un breve testo in lingua volsca, ancora incerto nella traduzione, datata alla prima metà del V secolo, ora esposta al Museo archeologico di Cassino. Il reperto è importante perché dimostra l'esistenza di una lingua volsca distinta da quella latina.
Stipe repubblicana
Scoperta recentemente durante gli scavi condotti dall'Università Olandese in prossimità del tempio di Mater Matuta, conteneva oltre 2.000 reperti.



LA DESCRIZIONE

L'abitato era naturalmente concentrato sull'acropoli, ampia circa 4 ettari e protetta da ripide scarpate, e pure sul pianoro che si estendeva a ovest di quest'ultima, di circa 40 ettari di superficie. Il pianoro era naturalmente protetto su tre lati, mentre sul quarto lato, a occidente, venne realizzato un terrapieno (aggere) in epoca arcaica che poi venne esteso anche sul versante settentrionale e meridionale della città. 

LAPIS SATRICANUS
L'insediamento abitato vi rimase almeno fino al III secolo a.c., dopo di che venne a decadere, divenendo un podere agricolo. 

Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce: 

- un santuario attribuito alla Mater Matuta grazie al ritrovamento di una stele di epoca tardo repubblicana, resti di ville (tra queste la cosiddetta Casa A simile ai palazzi etruschi di Acquarossa), 
- case e capanne, 
- una necropoli laziale a nord ovest, con la tomba più antica databile alla fine del periodo laziale II A, 
- e una necropoli volsca a sud ovest dell'acropoli, con oltre 200 tombe a fossa del periodo V e IV secolo a.c. con grande quantità di reperti di produzione greca, etrusca e italica; 
- tre depositi votivi di notevole importanza storica, 
- reperti con iscrizioni in etrusco e in latino arcaico, tra cui la nota epigrafe, il cosiddetto Lapis Satricanus, databile tra il 525 e il 500 a.c., un'iscrizione incisa su una pietra giallastra rinvenuta a Satricum (Borgo Le Ferriere) nel Latium vetus (latino arcaico), datata fine VI - inizi V secolo a.c.. Si tratta della base di un donario, reimpiegato nelle fondamenta del tempio della Mater Matuta, dove venne trovato nel 1977.


BIBLIO

- Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane V, 61,3.
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - II VI -
- Plinio il Vecchio - Naturalis historia - III -
- Antonio Nibby - Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de' Dintorni di Roma -
Forni - 1857 -
- A. Cassatella, S. Ceccarelli, R. Lulli - Satricum, Archeologia e Topografia - Sopraintendenza Beni Archeoligici del Lazio -
- F. Barnabei, A. Cozza - Di un antico tempio scoperto presso Le Ferriere nella tenuta di Conca dove si pone la sede della città di Satricum - Estratto dalle Notizie degli scavi di gennaio 1896 - Tipografia della R. Accademia dei Lincei - 1896 -
- P. Chiarucci, T. Gizzi - Area sacra di Satricum - scavo e restituzione, catalogo della mostra al Museo Civico di Albano Laziale - Paleani editore - 1985 -
- D.J. Waarsenburg - Satricum - cronaca di uno scavo - Fratelli Palombi Editore - 1998 -


CULTO DI MINERVA MEMOR E MEDICA


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MINERVA GIUSTINIANI


MINERVA SANTISSIMA E AUGUSTA

In area emiliana sono noti diversi bronzetti che riproducono l’iconografia guerriera della Dea, che nelle epigrafi latine emiliane - in particolare nelle famose iscrizioni rinvenute nel ricco santuario terapeutico-oracolare di Minerva Medica/Memor di eredità celtica, veniva invocata dai devoti come Dea Sanctissima ed Augusta, attributi generici e devozionali, e ricordata come Minerva Memor e Medica. 

Il culto di Minerva, in area padana, è specificatamente legato alle acque e alla salute che da esse deriva; è solitamente attestato in prossimità di risorgive d’acqua o di fenomeni geologici con proprietà curative, quali le “salse” (piccoli vulcani di fango) o le fonti di petrolio, già venerate dalle popolazioni autoctone. 

Nel modenese l’importanza del culto di Minerva è ricordato da Cassio Dione, nella sua Historia (XLVI, 33, 3-4). Alla partenza di Vibio Pansa per la famosa guerra di Modena nel 43 a.c., si verificano alcuni prodigi premonitori dell’importanza dell’evento storico tra cui la statua di Athena, venerata presso Mutina, che versa lacrime e sangue.

Nel territorio modenese spicca per importanza una piccola arula votiva datata al II sec. d.c., rinvenuta nel comune di Maranello, in prossimità della sponda destra del torrente Fossa, vicino al campo delle “salse” di Nirano. Il testo, graffito sciattamente su uno zoccoletto in pietra tenera vicentina, riporta il nome di un personaggio di origine servile, 

Hermadion, che dona come ex voto questa arula alla Dea Minerva
(-sig / n?]um [-] / Minerv[ae] / Hermadion / ex voto).


IL SANTUARIO DI MONTEGIBBON

Le indagini archeologiche di Montegibbio di Sassuolo, in provincia di Modena, hanno rilevato una frequentazione in epoca pre-protostorica (Neolitico-Età del Rame) e  hanno riscontrato un santuario in epoca romana, sicuramente posto su un luogo sacro più antico. Il sito archeologico è molto vicino alla salsa storica di Montegibbio, il maggiore vulcano di fango d’Italia, quiescente da quasi due secoli.

Le strutture di età repubblicana e di prima età imperiale rivelano infatti un santuario dedicato a Minerva, Menerva per gli Etruschi e Athena per i greci, ma trattandosi di una divinità antichissima sembra si tratti del primo aspetto della Dea, la Minerva Medica, inizialmente legata alle acque salutari e alle acque fangose, "salse", dei vulcani della zona.  

Il culto, riportato anche su una coppa con incisa dedica alla Dea, si colloca nel III-II sec. a.c. fino agli inizi del II sec. d.c. Nel III sec. d.c., invece, il sito viene dissacrato evidentemente a causa del nuovo culto cristiano che abbatte tutti i vecchi templi non sopportando la libertà di culto e diventa un insediamento rustico con impianti produttivi. 

SITO DI MONTEGIBBIO

Nel sito di Montegibbio, su due pianori posti lungo il versante occidentale del bacino del Rio del Petrolio, alla quota di 350 m s.l.m., sono stati individuati sette insediamenti successivi, di cui almeno tre provocati da tre catastrofi naturali che possono aver causato l’abbandono momentaneo dell’insediamento.

Nel primo pianoro sono stati riscontrati quattro vani con pavimenti in opus signinum, della fine I sec. a.c. e abbandonati agli inizi del II sec. d.c. forse per catastrofico evento naturale. Nel secondo pianoro, più in basso del primo, sono emersi muri in blocchi lapidei bugnati in arenaria attorno a un grande vano del II-I sec. a.c.) probabilmente con dentro la polla fangosa di una "salsa" (fanghi curativi). 

A partire dalla fine del I sec. a.c. una scala in laterizio scendeva alla polla con a fianco un vano pavimentato in opus signinum. Nel IV secolo d.c. in corrispondenza della polla viene costruito un pozzo con camicia in ciottoli abbandonato poi nel VI sec. d.c., forse per ulteriore catastrofe, con tutta probabilità di tipo sismico con fuoriuscite fangose da piccole bocche di vulcano. 

MINERVA GIUSTINIANI

PLINIO IL VECCHIO - 199 Naturalis Historia

“Nel territorio di Modena, tempo fa, come documentato negli antichi testi della dottrina etrusca, avvenne un enorme sconvolgimento di terre durante il consolato di Lucio Marcio Sesto Giulio. Infatti due monti cozzarono tra loro avvicinandosi e allontanandosi con un enorme crepito, in seguito al loro scontro salivano in cielo fiamme e fumo. Tale spettacolo fu visto da una moltitudine di cavalieri romani e viandanti che procedevano lungo la via Emilia. Durante tale evento catastrofico furono distrutte le case di quelle terre e morirono molti animali che si trovavano lì vicino. Avvenne nell’anno che ha preceduto la Guerra Sociale, che da quanto so io, fu più funesta della Guerra Civile per la terra italiana” (91 a.c.).

L'evento portentoso a cui allude Plinio il Vecchio nel corso nel I sec. d.c., è un fenomeno sismico associato a un’eruzione di fango avvenuta presso Montegibbio. La documentazione storica attesta tale attività della salsa di Montegibbio, nei vari tempi, e pure nel 1835 quando tale attività venne narrata dallo studioso Giovanni De’Brignoli di Brunnhoff.

MINERVA ETRUSCA

SOLINO V, 22-25 Collectanea rerum memorabilium

Solino invece riporta che il fenomeno geologico delle salse non fosse solo connesso alla sanatio (cioè alla cura) ma anche a una pratica oracolare, per cui l’uscita improvvisa di acqua, fango e fuoco rappresentava un contatto tra il mondo umano e quello sotterraneo.

Ciò legava al carattere ctonio della Minerva Medica, signora delle cure e del mondo dei morti a mezzo dei quali si effettuavano le predizioni oracolari. Naturalmente sia la cura che gli oracoli erano affidati a sacerdotesse, evidentemente secondo l'antichissima tradizione matriarcale

Nelle epigrafi latine di età romana rinvenute in Aemilia, Minerva, oltre ad essere invocata dai devoti come Dea Sanctissima ed Augusta, è ricordata come Minerva Memor e Medica

Memor perché è colei che mantiene la memoria, infatti è anche Dea della mente e della intelligenza, per cui fa apprendere gli insegnamenti e fortifica la memoria. Minerva memor veniva invocata dai condottieri romani perchè aiutasse loro a sviluppare tattiche di guerra volte a sopraffare il nemico.

Medica perché curava i fedeli grazie alle acque, ai fanghi e alle erbe. Un tempo le cure erano infatti affidate alle donne. Le acque sulfuree erano per giunta molto disinfettanti specie per le malattie degli apparati genitali e le malattie della pelle.

ANTICA INCISIONE IN ZONA NIRANO

IL SANTUARIO

Il santuario si sviluppa in una zona di crinale quasi pianeggiante, a 350 m s.l.m., in località Poggio di Montegibbio, lungo via della Rovina. Del santuario di età repubblicana (II sec. a.c.) restano murature in grandi blocchi lapidei squadrati e bugnati che formavano un recinto rettangolare, di m 5x7.

Dopo la distruzione del santuario intorno alla metà del I sec. a.c., sorge un altro edificio con una serie di stanze pavimentate in opus signinum (mosaico con base in cocciopesto) che si sviluppano intorno a un cortile centrale. La “salsa di Minerva”, precedentemente delimitata da un recinto, si raggiunge ora tramite una scala, posta a valle del santuario.

Anche se i dissesti geologi non consentono di ricostruire nella sua interezza la pianta del santuario, si conserva però una stanza di 6x5 m con soglia d’ingresso in pietra arenaria e pavimentazione in opus signinum, con una cornice esterna a meandro di svastiche alternato a due quadrati concentrici che delimitano la parte centrale formata da file ortogonali di rosette.

Le pareti del santuario erano rivestite da affreschi policromi, in gran parte crollati, riferibili allo zoccolo delle murature, dipinte da fasce e linee. La parte centrale della parete era invece costituita da pannelli monocromi riquadrati da linee sottili o semplici cornici. Le maestranze addette avevano notevole abilità che, per creare i colori, si avvalevano di minerali di pregio e tecniche sofisticate.

Al santuario era affiancata una fornace, dove si cuocevano laterizi da costruzione, vasellame e statuette fittili come offerte votive. Agli inizi del II sec. d.c. un'altra catastrofe naturale distrugge la struttura sacra. Dopo un periodo di abbandono, viene costruita una casa colonica, dotata di un pozzo che insiste dove era precedentemente venerata la “salsa di Minerva”.

SCALA IN LATERIZIO PER LA POLLA SACRA

I REPERTI

Il vasellame rinvenuto, di uso comune, era adibito a libagioni e banchetti e risalgono all’età del Rame (IV-III millennio a.c.):
- punta di freccia foliata in selce,
- ascia in pietra verde senza tracce di usura. 

In epoca celtica (III sec. a.c.):
- ciotole/coperchio in ceramica grezza non tornita.

In età romana (II sec. a.c. - inizio del II sec. d.c.):
- offerte votive alla Dea,
- oggetti delle pratiche rituali del santuario.

In età repubblicana (II-I sec. a.c.):
- coppe e piatti in ceramica a vernice nera.
In età alto imperiale (I sec. a.c. inizi II sec. d.c.):
- bicchieri, coppe, ollette, orcioli sia in ceramica a pareti sottili che in ceramica grezza, utilizzati per libagioni o banchetti rituali,
- brocche e bacili in ceramica per abluzioni rituali.
- le lucerne sono usate sia per illuminare che come doni rituali alla divinità,
- stiletti in osso e bronzo, pinzette da toletta, spilloni in osso, aghi in osso e in bronzo, pesi da telaio ed elementi di una piccola bilancia in bronzo, riferiti alle attribuzioni di Minerva, che è Medica e protegge le arti, tra cui la tessitura e la cucitura di pelli e tessuti. 

- Alla Dea vengono anche dedicati anelli con o senza gemme incastonate, vaghi di collana in pasta vitrea, pendenti e fibule, dedicati anch’essi alla Dea. 

- Tra le monete si segnalano due assi repubblicani recanti Giano bifronte e la prora di nave da guerra (II secolo a.c.) e, per l’epoca giulio-claudia, una moneta di Tiberio e due di Claudio, tra cui un sesterzio dell’epoca di Nerone.




LE SALSE

Le Salse, note a Celti ed Etruschi, citate da Plinio e da Solino, con i Romani divennero luogo di sanatio connessi a trattamenti terapeutici. In area padana, i Romani associano a Minerva le prerogative di divinità celtiche femminili, soprattutto per le acque salutari e il loro potere terapeutico.

Figlia di Meti e di Giove, per i romani Minerva rappresentava la virginea Dea della saggezza, della strategia e dell'ingegno, della lealtà in lotta e delle giuste guerre. Era la protettrice degli artigiani e delle arti utili (architettura, ingegneria, scienza, matematica, geometria e tessitura) nonché l'inventrice del carro, del telaio, dell'aratro, e pure delle navi.

A Montegibbio il nome della Dea appare sul vasellame deposto dai fedeli, o integralmente o più spesso con la M iniziale o la doppia MM di Minerva Medica o Memor. Il santuario è anche dotato di una propria fornace per la cottura di laterizi, vasellame e statuette fittili.

In seguito a una nuova distruzione dell’area sacra, anche questa dovuta a un cataclisma naturale agli inizi del II sec. d.c., il sito viene abbandonato. A partire dal III sec. d.c. viene costruita una casa colonica, il cui pozzo attinge acqua nello stesso punto in cui prima si venerava la “salsa di Minerva”.

La Dea è rappresentata avvolta da una lunga veste, con il petto coperto dall’egida e dal gorgoneion, un elmo sul capo, una lancia in una mano e uno scudo nell’altra.

CIOTOLA CERAMICA INCISA 
EGO MINERVAE SUM, “Sono dedicata a Minerva”


NEL PIACENTINO LA ROCCA DI CAVERZAGO
ETTORE DE RUGGERO

Caverzago è un insediamento di origini antichissime, probabilmente galliche, e già in epoca romana risulta noto come Cabardiacum. Citata nella Tabula Alimentaria di Velleia, l’antica Cabardiacum ospitava un importante santuario dedicato ad una divinità locale che i Romani identificarono con Minerva Medica, in seguito definita Minerva Cabardiacensis. 

ARCHEOLOGO LIBERA UNA PARETE AFFRESCATA 
A MONTEGIBBIO (foto di Francesca Guandalini)
Si trattava di una Dea dai poteri taumaturgici, in grado di guarire gli infermi, come attestano numerose incisioni, statue ed ex voto rinvenuti nelle vicinanze presso il greto della Trebbia, e conservate in parte nella chiesa della vicina Travo, in parte nei musei di Piacenza e Parma. 

Non si sa con certezza dove sorgesse in tempio, che fu assiduamente frequentato tra il I e il III secolo d.c.. E’ probabile che la divinità che i Romani assimilarono a Minerva fosse in origine legata a una fonte termale (la zona ne è ricca) considerata curativa, di cui in seguito, una volta prosciugata, si sia persa la memoria.

C. XI1301 : Minervae Cabardiacensi Maria C, Marx Umbonis f[ilia) v(otum) siolvit) l^ibens) mierito): 1806: Minervae medicae Cabardiac{ensi) Valeria Sammonia Vercellens(is) v. s. L m. H predicato è locale, e, senza dubbio, in connessione col Dome di Cabardiacas, che nella tavola alimentaria di Veleia (C. XI 1147, 2 lin. 47.65) è portato da due fundi posti nel pagus Ambitrebius, confinante col territorio di Placentia e di Veleia. Molto probabilmente uno di essi corrisponde all'odierno castello di Caverzago, a sinistra della Trebbia e poco discosto da Trevi. 

E' però dubbio se appunto qui ovvero nel territorio di Trevi sorgesse quel santuario di Minerva, dal quale provengono, insieme con queste due, parecchie altre iscrizioni (C. XI 1292-1310), in cui alla stessa divinità è d'ordinario dato l'epiteto di memor (cf. Bormann, C. XI p. 254. Preller, rOm. Mythol. 1» p. 295. Fried- lAnder, Bittengesch. 3 p. 478).

Caverzago è un insediamento di origini antichissime. Il toponimo è di probabili origini galliche, e già in epoca romana risulta noto come Cabardiacum. Citata nella Tabula Alimentaria di Velleia, l’antica Cabardiacum ospitava un importante santuario dedicato ad una divinità locale che i Romani identificarono con Minerva Medica, in seguito definita Minerva Cabardiacensis. 

Si trattava di una Dea dai poteri taumaturgici, in grado di guarire gli infermi, come attestano numerose incisioni, statue ed ex voto rinvenuti nelle vicinanze presso il greto della Trebbia, e conservate in parte nella chiesa della vicina Travo, in parte nei musei di Piacenza e Parma. Non è attualmente possibile stabilire con certezza dove sorgesse in tempio, che sempre a giudicare dai reperti rinvenuti sembra sia stato assiduamente frequentato tra il I e il III Secolo d.c.. 

E’ probabile che la divinità che i Romani assimilarono a Minerva fosse in origine legata a una fonte termale (la zona ne è ricca) considerata curativa, di cui in seguito, una volta prosciugata, si sia persa la memoria. Nel XVIII secolo nella vicina località Tosi venne aperto un chiosco da bibite che vendeva l’acqua di una vicina fonte, ritenuta particolarmente salubre. 

La rupe a picco sulla Trebbia ospita la chiesa di Santo Stefano Protomartire e la torre d’avvistamento edificata dagli Anguissola, Signori della vicina Travo dal 1337, che però oggi è ridotta ad un rudere.

(Dizionario Epigrafico di Antichità Romane - Ettore De Ruggiero - 1886)

Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE


BIBLIO

- Fara, Patricia -. "Minerva/Athene". Endeavour - 2010 -
- Luisa Chiumenti - Restauri a Roma: il tempio di Minerva Medica in Via Giolitti -  Emotions Magazine - 2015 -
- Emanuele Gatti -  Horti Liciniani: tempio di Minerva Medica - Eva Margareta Steinby - Lexicon Topographicum urbis Romae III - Roma - Quasar - 1996 -
- M. Barbera, M- Magnani Cianetti - Minerva Medica. Ricerche, scavi e restauri - Soprint. arch. di Roma - Roma - Mondadori Electa - 2019 -


 

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