CLODIO TRASEA PETO

STATUA DI TRASEA PETO

Nome: Publius Clodius Thrasea Paetus;
Nascita: Patavium, I secolo
Morte: Roma, 66
Moglie: Cecina Arria
Professione: Filosofo, scrittore ed oratore

Clodio Trasea è stato un oratore, filosofo e scrittore romano di classe senatoria, ma anche un eroe per la dignità e il coraggio mostrati contro la tirannide di Nerone.



LE ORIGINI

Publio Clodio Trasea Peto nacque da una famiglia ricca e nobile proveniente da Padova; non è nota né la data né il luogo di nascita, se fosse nato a Roma o a Padova, con cui tuttavia mantenne stretti legami come dimostra la partecipazione ai festeggiamenti in onore del fondatore, Antenore.

Ignoriamo parecchio della sua giovinezza e degli inizi della carriera politica, sappiamo solo che nel 42 contrasse matrimonio con Cecinia Arria, figlia di Cecina Peto, console suffetto nel 37. Nel medesimo anno il suocero fu implicato nella rivolta di Lucio Arrunzio Camillo Scriboniano che mirava ad eliminare Claudio e a restaurare la repubblica e pertanto fu costretto al suicidio. 

Ma lo precedette, sebbene Trasea avesse cercato di impedirlo, la moglie Arria maggiore, che coraggiosamente da se stessa si pugnalò e per invitare il marito a fare lo stesso disse la frase rimasta celebre come esempio di amore e coraggio muliebre: "Non dolet, Paete!" (Peto, non fa male!)

Probabilmente, dopo la morte del suocero, Cecina Peto, Trasea aggiunse il suo nome al proprio, prassi inconsueta per un genero che può essere letta o come un segno di grande stima nei confronti del suocero, o come segno di opposizione al principato.



CURSUS HONORUM

A seguito della morte di Claudio e l'ascesa di Nerone, Clodio ottenne, tramite l'influenza del precettore del nuovo principe, il filosofo stoico Seneca (4 a.c.- 65 d.c.), con cui aveva solida amicizia, ottenne la nomina di console suffetto nel bimestre novembre-dicembre dell'anno 56. 

Acquisì inoltre l'importante amicizia del genero Elvidio Prisco, fervente repubblicano e oppositore in seguito di Vespasiano che lo mandò morte. Trasea dopo il consolato ottenne il prestigioso incarico di "quindecimvir sacris faciundis", carica a vita che si occupava di funzioni religiose.

Aulo Persio flacco, che scrisse di aver viaggiato con lui, sostiene fosse stato nominato governatore provinciale, cosa che si dice derivata dalla sua alacre attività svolta presso le corti di giustizia, o forse per l'amicizia che aveva con Seneca.

NERONE

CONTRO NERONE

Clodio sostenne in senato nel 57 la causa di concussione avanzata dai Cilici contro il loro ex governatore, Cossuziano Capitone, molto vicino a Nerone, che fu condannato probabilmente proprio per l'influenza e la capacità oratoria di Trasea. Indirettamente fu uno sgarbo a Nerone.

L'anno seguente si oppose ad una mozione con cui i siracusani chiedevano di superare il numero legale di gladiatori per i loro giochi, criticando il fatto che il senato dovesse pronunciarsi su temi così poco importanti e non su quelli che contavano. Anche questo indirettamente fu uno sgarbo a Nerone, insinuando che avesse esautorato il senato.

Quando, poi, Nerone inviò al senato una lettera in cui giustificava l'appena compiuto omicidio della madre, Giulia Agrippina, Trasea fu il solo ad uscire dall'aula affermando di non poter dire ciò che avrebbe voluto, mentre molti senatori mostrarono la loro approvazione all'Imperatore.

Nel 62, il pretore Antistio Sosiano, che aveva scritto poesie diffamatorie su Nerone, fu accusato da Cossuziano Capitone, recentemente riabilitato in Senato su impulso del suocero di questi, Tigellino, del reato di "maiestatis" (lesa maestà). 

Trasea dissentì dalla proposta di imporre la pena di morte e invece sostenne la più lieve sanzione dell'esilio. La proposta fu approvata con larga maggioranza nonostante il parere contrario di Nerone consultato prima della votazione ed il principe fu costretto ad aderirvi per mostrarsi clemente.

Nello stesso anno, al processo contro il proconsole di Creta Claudio Timarco, accusato dai provinciali di continui abusi, per averli obbligati a frequenti voti di ringraziamento, Trasea giudicò il comportamento del proconsole e fece approvare a maggioranza un senatoconsulto che però dovette aspettare il placet di Nerone.

Nel 63 Trasea fu dispensato dal principe dal portargli i ringraziamenti, insieme alla delegazione del senato, per la nascita di sua figlia. Ciò gli fece capire di essere caduto in disgrazia, anche perché Tigellino, tra i più influenti cortigiani di Nerone, era ostile a Trasea per ave r fatto condannare suo suocero Cossuziano Capitone. 

Tuttavia si sa che Nerone disse a Seneca di essersi riconciliato con Clodio e che Seneca si fosse congratulato perché aveva recuperato un'amicizia piuttosto che averlo costretto a chiedere clemenza.



RITIRO DALLA VITA PUBBLICA

Sembra che a questo punto Trasea si sia ritirato dalla vita politica, Tacito lo fa dire a Capitone, in occasione del processo, tenutosi nel 66, che Trasea aveva da oltre tre anni disertato tutte le sedute del senato ma, occorre la fonte è poco affidabile. Potrebbe però essere vera per evitare quello che era capitato a Seneca o come tacita protesta contro il principe.

Trasea continuò a curare gli interessi dei suoi clienti e probabilmente compose anche la sua "Vita di Catone" (opera perduta), del quale condivideva la filosofia stoica e che lodò come sostenitore della libertà senatoriale contro Cesare. 

TRASEA PETO ASCOLTA LA SUA CONDANNA

IL PROCESSO

Nell'anno 66 Nerone, dopo aver represso la Congiura dei Pisoni, decise di sbarazzarsi di chiunque gli apparisse ostile e tra questi Trasea Peto e Barea Sorano. Spinto da Cossuziano Capitone, Nerone agì durante la visita del re Tiridate I di Armenia a Roma, perchè il polo non badasse alle vicende dei due illustri cittadini. 

L'accusa contro Trasea Peto fu assunta da Cossuziano Capitone e Marcello Eprio, mentre Ostorio Sabino accusò Barea Sorano, intanto Nerone escluse Trasea dal ricevimento in onore di Tiridate ma questi, per nulla intimorito, chiese la notifica dei capi d'accusa e il tempo per istruire la difesa.

Nerone, preso da timore, accolse subito le richieste di Trasea, e comandò di convocare il senato. L'imputato, consultati gli amici, decise di non partecipare al processo per evitare che Nerone infierisse sulla moglie, Arria e sulla figlia. Poi proibì al giovane tribuno Aruleno Rustico di porre il veto al decreto del senato perchè avrebbe messo in pericolo la vita del tribuno senza salvare la sua.

Il giorno del processo, il tempio di Venere Genitrice, luogo di raduno del Senato, fu circondato da due coorti della Guardia Pretoriana e appena Iniziata la seduta, il questore lesse una lettera del principe che, senza far nomi, accusava alcuni senatori di trascurare da tempo i loro doveri e di essere, pertanto, cattivo esempio anche per i cavalieri. Gli accusatori accolsero tali affermazioni come una minaccia e subito si scagliarono Cossuziano e Marcello Eprio contro Trasea e Barea Sorano, definendoli "faziosi ribelli".

A questo punto i Senatori, terrorizzati dalla minacciosa guardia pretoriana, votarono la condanna a morte nella forma del liberum mortis arbitrium ovvero l'ordine di suicidarsi. Trasea Barea Sorano e sua vennero condannati al suicidio, il genero Elvidio Prisco fu esiliato insieme agli amici Paconio Agrippino e Curzio Montanoa.



LA MORTE

Al tramonto, Trasea che ascoltava con i suoi ospiti il filosofo cinico Demetrio sulla natura dell'anima e la separazione dello spirito dal corpo, ricevette da uno dei suoi intimi, Domizio Ceciliano, la notizia della condanna. 
Esortò gli amici a non disperarsi e a ritirarsi in gran fretta per evitare di compromettere le loro sorti con la sua, poi persuase la moglie Cecinia Arria che, memore della madre, si preparava a seguire nella morte il marito, a restare in vita e a non privare la figlia, Fannia, dell'unico sostegno.

Mentre Trasea si avviava sereno al portico, avendo saputo che il genero, Elvidio Prisco, era stato solo esiliato, giunse il questore a comunicargli la condanna. Si ritirò, quindi, accompagnato da Demetrio e dal genero, nelle proprie camere, porse ad uno schiavo le vene di entrambe le braccia e, come il sangue scorse, lo sparse a terra libando a Giove Liberatore sempre alla presenza del questore. Infine, dopo molte sofferenze, morì.


BIBLIO

- Tacito  - Annales  -
- Cassio Dione Cocceiano - Historia Romana - libri LXVI-LXVII -
- Plinio il Giovane - Epistulae -
- J. Geiger - Munatius Rufus and Thrasea Paetus on Cato the Younger - Athenaeum - 1979 -
- P.A. Brunt - Stoicism and the Principate, PBSR - 1975 -
- V. Rudich - Political Dissidence under Nero - Londra - 1993 -
- O. Devillers - Le rôle des passages relatifs à Thrasea Paetus dans les Annales de Tacite - Neronia - Bruxelles - Collection Latomus - 2002 -
- T. E. Strunk - Saving the life of a foolish poet: Tacitus on Marcus Lepidus, Thrasea Paetus, and political action under the principate - Syllecta Classica - 2010 -

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