EROI ROMANI DELLA RIVOLTA GIUDAICA

IL CENTURIONE (by Tomas Duchek)

Nel II e I secolo a.c., soprattutto gli ultimi anni della Repubblica romana, vi furono continue campagne militari. Prima le guerre di conquista, come quelle di Pompeo in Oriente e di Giulio Cesare in Gallia; poi le guerre civili di cui furono protagonisti gli stessi Cesare e Pompeo. Le fonti letterarie abbondano di azioni militari in cui i centurioni si mostrarono valorosi e e perfino temerari. 

Qualsiasi legionario volenteroso e capace poteva diventare centurione, era una carriera aperta a tutti, anche ai plebei e molti erano disposti a rischiare molto per ottenere la qualifica di Primus Pilus, nonostante i centurioni morissero in battaglia più spesso di tanti altri.

I centurioni erano i sottufficiali di più alto rango dell’esercito di fanteria legionaria. Erano militari di carriera, cioè iniziavano come soldati semplici e salivano di grado per anzianità ma soprattutto per merito, scalando la struttura della legione.

«I romani riguardo alla loro organizzazione militare, essi hanno questo grande impero come premio del loro valore, non come dono della fortuna. Non è infatti la guerra che li inizia alle armi e neppure solo nel momento dei bisogno che essi la conducono, al contrario vivono quasi fossero nati con le armi in mano, poiché non interrompono mai l’addestramento, né stanno ad attendere di essere attaccati. 

Le loro manovre si svolgono con un impegno pari ad un vero combattimento, tanto che ogni giorno tutti i soldati si esercitano con il massimo dell’ardore, come se fossero in guerra costantemente. Per questi motivi essi affrontano le battaglie con la massima calma; nessun panico li fa uscire dai ranghi, nessuna paura li vince, nessuna fatica li affligge, portandoli così, sempre, ad una vittoria sicura contro i nemici. Non si sbaglierebbe chi chiamasse le loro manovre, battaglie senza spargimento di sangue e le loro battaglie esercitazioni sanguinarie

(Giuseppe Flavio, La Guerra Giudaica, III)

GERUSALEMME


LA RIVOLTA EBRAICA

Sotto il procuratore Gessio Floro, la cui amministrazione non fu forse delle migliori, scoppiò la rivolta, nel 66 d.c., sia perchè Caligola cercò di installare i suoi ritratti nel tempio di Gerusalemme, sia per l'’obbligo dei tributi, per i sacrifici all’imperatore, per il presidio romano, per l’investitura del sommo sacerdote, per l’amministrazione della giustizia che in ultima istanza era affidata al governatore romano, ma fu soprattutto a causa degli zeloti.

Nel maggio del 66 Gessio Floro confiscò parte del tesoro del tempio come contributo alla tassazione romana, provocando la ribellione di tutta la Giudea, nonostante i tentativi di riconciliazione di alcuni giudei come quello dello stesso re Agrippa II.

«Quando divampò questo immane conflitto i romani attraversavano un periodo di difficoltà, mentre il partito rivoluzionario dei giudei era allora al culmine delle forze e dei mezzi e approfittò di quel momento di confusione per insorgere, sì che per la gravità degli sconvolgimenti la situazione in Oriente destò negli uni speranza di acquisti, negli altri timore di perdite.» 

(Giuseppe Flavio, La Guerra Giudaica, I, 4, 2)

Nel 67, Vespasiano assediò la quasi inespugnabile fortezza di Iotapata, dove si era rinchiuso Giuseppe, divenuto poi Flavio. I romani costruirono un terrapieno e massacrarono con ben 160 macchine d’assedio i difensori della fortezza:

«…tra gli uomini che si trovavano sulle mura attorno a Giuseppe un colpo staccò la testa facendola cadere lontano tre stadi. All’alba di quel giorno una donna incinta, appena uscita di casa, fu colpita al ventre e il suo piccolo venne scaraventato a distanza di mezzo stadio, tanto era la potenza della balista. Tutto il settore delle mura, dinanzi al quale si combatteva, era intriso di sangue, e lo si poteva scavalcare attraverso una scalata sui cadaveri

(Giuseppe Flavio, La Guerra Giudaica, III)

Dopo diversi anni di duri conflitti i romani riuscirono a cingere d’assedio Gerusalemme. Le operazioni erano guidate da Tito, mentre il padre Vespasiano si era recato ad Alessandria per seguire la guerra civile (si era negli anni dei 4 imperatori e gli eserciti orientali e danubiani marciavano verso l’Italia). 

L'assedio sembrava un'operazione molto difficile, sia per la strenua resistenza dei difensori, sia per la natura di Gerusalemme, cinta da più anelli di mura. Giuseppe Flavio racconta di un ausiliario che si offrì per primo di scalare la torre Antonia durante l’assedio di Gerusalemme:



SABINO IL SIRIANO

«Tutti restavano paralizzati dalla gravità del pericolo; soltanto un uomo delle coorti ausiliarie, un certo Sabino nativo della Siria, si dimostrò un soldato di straordinario valore per forza e coraggio. Fu lui il primo a levarsi dicendo: “Io ti offro volentieri la mia vita, o Cesare (Tito); sarò il primo a dar la scalata al muro" sollevò con la sinistra lo scudo sopra la testa e, sguainata con la destra la spada, si avventò verso le mura: era esattamente l’ora sesta di quel giorno. 

Non lo seguirono che solo undici uomini, emuli del suo coraggio, ma egli precedeva tutti di molto. I difensori dall’alto del muro li bersagliarono con giavellotti e tirarono un’infinità di frecce e fecero rotolare giù degli enormi macigni; ma Sabino, affrontando i proiettili e ricoperto di dardi, non frenò il suo slancio prima di essere arrivato in cima e di aver sbaragliato i nemici. Infatti, i giudei, sbigottiti dalla sua forza e dal suo coraggio, e anche perché credettero che a dar la scalata fossero stati di più, si diedero alla fuga [Sabino] mise un piede in fallo e, urtando contro una roccia, vi cadde sopra con un gran colpo. 

I giudei si voltarono indietro e, avendo visto che era solo e per di più caduto, si diedero a colpirlo da tutte le parti. Quello, levatosi su un ginocchio e riparandosi con lo scudo, dapprincipio si difese e ferì molti di quelli che gli si avvicinavano; ma ben presto per le molte ferite non poté più muovere la destra e alla fine, prima di spirare, fu sepolto sotto un nugolo di dardi Degli altri undici, tre che erano già arrivati in cima furono colpiti e uccisi a colpi di pietra, mentre gli altri otto vennero tirati giù feriti e ricondotti nell’accampamento. Quest’azione si svolse il terzo giorno del mese di Panemo (giugno).»

(Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, VI)

Infine Tito, seguendo le indicazioni di un disertore, riuscì a guidare una incursione notturna che permise alle legioni di penetrare in città non visti. I romani, esasperati dai duri scontri, si daranno a un massacro, mentre Giuseppe, nascosto in una grotta, si salverà dal suicidio collettivo con l’inganno, dandosi poi a Vespasiano cui avrebbe predetto l’impero, ricevendo poi da lui la cittadinanza e il nome di Flavio. Grazie alla sua salvezza conosciamo molti degli eventi bellici della guerra.



IL CENTURIONE

In tutto l’impero dovevano esserci costantemente all’incirca 1.800 centurioni. Uomini simili al Giuliano di cui andiamo a scrivere: energici, valorosi e spietati, capaci di incutere rispetto e ammirazione ai loro sottoposti e terrore nel nemico.  Una legione era formata da 10 coorti, numerate dalla I alla X, e ogni coorte si suddivideva in sei centurie di 80 soldati ciascuna. La promozione del centurione culminava con l’accesso al comando di una centuria della I coorte, la più importante di tutte. 

A capo di tutti i centurioni di una legione c’era il cosiddetto primus pilus, ovvero la “prima lancia”. Era il primo centurione della I coorte, e i suoi compagni formavano il rango dei primi "ordines", ossia quello dei centurioni di maggior grado e riconoscimento nella legione. Quando si ritirava, il primus pilus riceveva una ricompensa e il titolo di primipilare (cioè di ex primus pilus). I primipilari erano tenuti in particolare considerazione e potevano ottenere cariche come, per esempio, quella di prefetto dell’accampamento o di tribuno delle coorti di stanza a Roma. 

In epoca imperiale si poteva anche diventare centurioni dopo essere stati pretoriani, ossia membri della guardia personale dei sovrani, o grazie a una nomina diretta da parte dell’imperatore stesso, come accadeva nel caso di alcuni membri dell’ordine equestre. Alla fine di ogni battaglia facilmente rimanevano sul campo i centurioni, praticamente tutti eroi, coraggiosi e spesso temerari.

LA PRESA DI GERUSALEMME


IL CENTURIONE GIULIANO

I romani riuscirono a prendere la fortezza dell’Antonia, dove prima della guerra risiedeva la guarnigione romana, ma non riuscivano ad avanzare ulteriormente nel piazzale sottostante, che portava al tempio. Fu allora che intervenne il centurione Giuliano che:

« Grande esperto nell’uso delle armi, con una prestanza fisica ed una forza d’animo superiore a tutti quelli che io conobbi nel corso di questa guerra, egli, vedendo che i Romani stavano ormai cedendo e opponevano una resistenza sempre più debole, trovandosi sull’Antonia al seguito di Tito, saltò giù e da solo respinse i Giudei che stavano avendo la meglio fino all’angolo del piazzale interno. Davanti a lui tutti scappavano, poiché appariva come un uomo di forza e coraggio superiori. 

Mentre i nemici fuggivano in ogni direzione, uccideva tutti quelli che raggiungeva, sotto lo sguardo ammirato di Tito Cesare e il terrore dei Giudei. Egli come gli altri soldati aveva i sandali con sotto numerosi chiodi e, mentre correva, scivolò sul pavimento e cadde con un gran rumore dell’armatura, tanto che gli avversari ormai in fuga, si voltarono indietro a guardare. Si alzò dall’Antonia un urlo dei Romani, in ansia per la sua sorte, mentre i Giudei lo circondarono e lo colpirono da ogni parte con lance e spade. 

Egli riuscì a ripararsi da molti colpi con lo scudo e più volte cercò di rimettersi in piedi, ma non vi riuscì poiché gli assalitori erano troppo numerosi, e pur rimanendo disteso riuscì a ferirne molti con la sua spada. Ci volle non poco tempo per ucciderlo, poiché aveva tutti i punti vitali difesi da elmo, corazza e teneva il collo incassato fra le spalle. Alla fine con tutte le membra amputate, e senza che nessuno provasse ad aiutarlo, morì. »

(Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, VI)

La sua morte non fu però vana. I romani riuscirono ad arrivare al tempio, ultimo baluardo di resistenza. Il 7 settembre del 70 d.C. cadeva il palazzo di Erode a Gerusalemme: Tito completava la conquista della città. Presa dopo un lungo assedio, con gli assediati che furono costretti anche ad atti di cannibalismo per sopravvivere, vide anche la distruzione del Tempio, incendiato accidentalmente durante gli scontri, e da cui i romani cercarono di recuperare tutti i tesori possibili prima che crollasse. 

Al termine dell’assedio di Gerusalemme Tito assegnò i premi ai soldati:
«Dette ordine a chi era preposto a farlo, di leggere i nomi di tutti quelli che avevano compiuto particolari gesti di valore durante la guerra. E quando questi si facevano avanti, egli, chiamandoli per nome, li elogiava, si congratulava con loro delle imprese compiute quasi fossero le proprie, li incoronava con corone d’oro, distribuiva poi collane d’oro e piccole lance d’oro e vessilli d’argento. 

A ciascuno poi concesse di essere promosso al grado superiore. Distribuì anche dal bottino una grande quantità di argento, oro, vesti e altri oggetti. Quando tutti furono ricompensati Tito scese tra grandi acclamazioni e si recò a compiere i classici e rituali sacrifici per la vittoria. Presso gli altari vi era un gran numero di buoi ed egli, dopo averli sacrificati, li distribuì all’esercito affinché banchettasse. Passò poi con i suoi generali a festeggiare per tre giorni.»

(Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, VII)

Flavio Giuseppe aggiunge che il futuro imperatore rimase profondamente commosso quando dalla torre vide morire colui che un attimo prima era al suo fianco. Il centurione Giuliano, come Sabino il Siriano,  entrò nei Campi Elisi degli eroi, cadendo con orgoglio e onore non solo davanti ai suoi compagni, ma anche di fronte ai nemici.


BIBLIO

- Giuseppe Flavio - La Guerra Giudaica - III IV -
- Giulio Firpo - Le rivolte giudaiche - Bari - Laterza - 1999 -
- Giovanni Brizzi - 70 d.c. La conquista di Gerusalemme - Roma-Bari - Laterza - 2015 -
- Martin Goodman - Roma e Gerusalemme. Lo scontro delle civiltà antiche - Roma-Bari - Editori Laterza - 2009

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