ACQUA IOVIA OVVERO TOCIA |
Si possono vedere i resti del cunicolo all'incrocio con Via Labicana e Via S.Croce, dove attualmente sono posate le fistule dell'Aqua Felice; il cunicolo prosegue poi fino a Piazza San Giovanni, sotto l'Osteria del Cocchio, seguendo gli archi neroniani.
La quantità di acqua fornita aumentò sotto Diocleziano, chiamandosi aqua Iovia (Iobia, Iopia), "Ibi (presso la porta Appia) forma Iopia quae venit de Marsia, et currit usque ad ripam". Il condotto venne restaurato da Papa Adriano I (772 - 795), Papa Sergio II (844 -847) e Papa Nicolò I (858 - 867) con il nome di Locia, corrotto in Tocia.
Lanciani specifica che all'angolo tra via Labicana e via di S.ta Croce in Gerusalemme, sull'angolo di villa Wolkonski e a pochi metri dagli archi neroniani, venne rinvenuto un cunicolo sotterraneo che seguiva gli archi neroniani per finire sotto l"Osteria del Cocchio" in Piazza San Giovanni.
Papa Nicolò I nel 858, come narra il Libro Pontificale, fece infatti riattivare un antico acquedotto che faceva capo a Spes Veteres (tra porta Maggiore e Santa Croce in Gerusalemme) per condurre l'acqua al Laterano; secondo Lanciani l'unico acquedotto romano che arrivava in quella zona e che fosse ripristinabile senza spese eccessive era quello dell'acqua Appia, che era a La Rustica e quindi a pochi Km di distanza.
I rozzi scavi eseguiti nel cunicolo dovevano essere molto anteriori a Sisto V (1521 - 1590), che avrebbe fatto realizzare il condotto in superficie, risparmiando tempo e spese, mentre in epoca medioevale era importante che l'acqua arrivasse in maniera sotterranea al Ptochium Lateranense, l'ospizio per i poveri, (corrotto in "Tocio" dal popolo) in modo da evitare possibili danneggiamenti.
Il Corvisieri, come riportato da Lanciani nei Comentarii (1880), nel giornale il Buonarroti 1870, ritiene che l'acqua Tocia sia stata realizzata realizzata da papa Nicolò I nell' 858, e che funzionò sino all'inizio del XII secolo..
DELL'ACQUA TOCIA
"I pontefici del medioevo, desiderando di provveder d'acqua il gruppo degli edifici lateranensi, rivolsero le loro cure al più vetusto degli aquedotti romani, non solo perchè le sue sorgenti erano le più vicine alla città ed al Laterano, ma perchè in quei tempi faziosi, turbolenti, col nemico sovente alle porte, era tornata ad imporsi, come si era imposta ai republicani del quinto secolo, la necessità di « ex industria infra terram aquas mergere ne facile ab hostibus interciperermur cum frequentia adhuc contra Italicos bella gererentur ».
Ha trattato di questa novella perduzione dell' Appia il Corvisieri nel giornale il Buonarroti del 1870. Dalla sua monografia traggo queste brevi notizie. L'autore dei risarcimenti alla vecchia forma fu Nicolò I, circa l'anno 858.
« (Nicolaus I) formam aquae quae vocatur Tocia, at vero iam per evoluta annorum spatia nimis
confractam existentem, per quam decurrebat aqua per centenarium in urbem Romam, a fundamentis ad fabricandum atque restaurandum eamdem properavit ».
nel quale passo la voce « centenarium » usata nel medio evo anche per altri acquedotti p. e. per il traiano-vaticano, esprime secondo il Corvisieri un « gran canale di piombo cui si commettevano i minori condotti destinati alle parziali distribuzioni ».
Quale era quest'acqua Tocia? Il libro pontificale è esplicito nell'affermare che codesta acqua e la sua forma erano antiche, ed indirettamente, che spettava a quel gruppo il quale facea capo alla Speranza vecchia (Spes Vetere). Ora una cosa è certa in questa questione, che cioè Nicolò I non risarcì né poteva risarcire le forme dell'Aniene Vetere e Nuovo, della Claudia, e della Marcia, della Giulia, della Tepula o dell'Alessandrina, perchè le loro sorgenti stavano a troppo grande distanza e le loro sostruzioni ed arenazioni veramente « nimis confractae ».
"I pontefici del medioevo, desiderando di provveder d'acqua il gruppo degli edifici lateranensi, rivolsero le loro cure al più vetusto degli aquedotti romani, non solo perchè le sue sorgenti erano le più vicine alla città ed al Laterano, ma perchè in quei tempi faziosi, turbolenti, col nemico sovente alle porte, era tornata ad imporsi, come si era imposta ai republicani del quinto secolo, la necessità di « ex industria infra terram aquas mergere ne facile ab hostibus interciperermur cum frequentia adhuc contra Italicos bella gererentur ».
Ha trattato di questa novella perduzione dell' Appia il Corvisieri nel giornale il Buonarroti del 1870. Dalla sua monografia traggo queste brevi notizie. L'autore dei risarcimenti alla vecchia forma fu Nicolò I, circa l'anno 858.
« (Nicolaus I) formam aquae quae vocatur Tocia, at vero iam per evoluta annorum spatia nimis
confractam existentem, per quam decurrebat aqua per centenarium in urbem Romam, a fundamentis ad fabricandum atque restaurandum eamdem properavit ».
nel quale passo la voce « centenarium » usata nel medio evo anche per altri acquedotti p. e. per il traiano-vaticano, esprime secondo il Corvisieri un « gran canale di piombo cui si commettevano i minori condotti destinati alle parziali distribuzioni ».
Quale era quest'acqua Tocia? Il libro pontificale è esplicito nell'affermare che codesta acqua e la sua forma erano antiche, ed indirettamente, che spettava a quel gruppo il quale facea capo alla Speranza vecchia (Spes Vetere). Ora una cosa è certa in questa questione, che cioè Nicolò I non risarcì né poteva risarcire le forme dell'Aniene Vetere e Nuovo, della Claudia, e della Marcia, della Giulia, della Tepula o dell'Alessandrina, perchè le loro sorgenti stavano a troppo grande distanza e le loro sostruzioni ed arenazioni veramente « nimis confractae ».
Per ricondurre l'Appia, bastava riallacciare le vene al casale della Rustica a pochi passi, per cosi dire, dal Laterano, e spurgare il cunicolo, tutto sotterraneo. E che la Tocia-lateranense fosse sotterranea lo dimostra il verso « secretoque novat formam Urbem fonte rigantem » di Plodardo da Beims ».
Rimane a dichiarare in qual modo Nicolò I conducesse l'acqua dalla Speranza vecchia allo « Ptochium » lateranense, nome che fra le labbra del popolo fu mutato in «Tocium», come pure alla basilica nicolaitana « quam.... Nicolaus a fundamentis.... cum tribus aquae ductibus fabrefactis extruxerat, ut omnes lateranenses basilicas sui pulchritudine superaret ».
Andando per la via di s. Croce in Gerusalemme, presso il crocicchio con la via Labicana, a destra, sull'angolo di villa Wolkonski e quasi a piombo sotto gli archi neroniani, si vede l'apertura regolarmente murata di un cunicolo, nel quale sono ora distese le fistole dell'acqua Felice, che alimentano l'ospedale di Sancta Sanctorum.
La incredibile negligenza di chi scavò questa lunghissima galleria attraverso i rottami della città antica, piegando ora a destra ora a sinistra, troncando colonne e marmi di pregio, forando pareti dipinte etc. mi induce a credere che si tratti di lavoro di molto anteriore a Sisto V: tanto più che non so comprendere perchè quel pontefice, cosi precipitoso nelle sue opere, avesse voluto perdere sì lungo tempo nello scavare una galleria inutile, quando gli tornava facilissimo distendere i suoi condotti a fior di terra.
OSTERIA DEL COCCHIO ALL'ESQUILINO |
Andando per la via di s. Croce in Gerusalemme, presso il crocicchio con la via Labicana, a destra, sull'angolo di villa Wolkonski e quasi a piombo sotto gli archi neroniani, si vede l'apertura regolarmente murata di un cunicolo, nel quale sono ora distese le fistole dell'acqua Felice, che alimentano l'ospedale di Sancta Sanctorum.
La incredibile negligenza di chi scavò questa lunghissima galleria attraverso i rottami della città antica, piegando ora a destra ora a sinistra, troncando colonne e marmi di pregio, forando pareti dipinte etc. mi induce a credere che si tratti di lavoro di molto anteriore a Sisto V: tanto più che non so comprendere perchè quel pontefice, cosi precipitoso nelle sue opere, avesse voluto perdere sì lungo tempo nello scavare una galleria inutile, quando gli tornava facilissimo distendere i suoi condotti a fior di terra.
Il cunicolo, il quale ha termine sotto la « osteria del Cocchio » in piazza di s. Giovanni, seguendo in tutto il corso la linea degli archi celimontani, mi sembra piuttosto essere lavoro di Nicolò I, reso necessario dalla umiltà dell'acqua da lui ricondotta. L'ultima dispersione dell'Appia Tocia è attribuita dal Corvisieri ai primi anni del duodecimo secolo."
(Rodolfo Lanciani)
BIBLIO
- Lanciani R. - Acque e Acquedotti di Roma Antica - 1881 -
- Corvisieri - "Il Buonarroti" - Serie II, vol. V - 1870 -
BIBLIO
- Lanciani R. - Acque e Acquedotti di Roma Antica - 1881 -
- Corvisieri - "Il Buonarroti" - Serie II, vol. V - 1870 -
- T. Ashby - The aqueducts of ancient Rome - 1931 -
- Susanna Le Pera - I giganti dell'acqua. Acquedotti romani del Lazio nelle fotografie di Thomas Ashby (1892-1925) - a cura di Rita Turchetti - Roma - Palombi - 2007 -
- Romolo Augusto Staccioli - Acquedotti, fontane e terme di Roma antica: i grandi monumenti che celebrano il "trionfo dell'acqua" nella città più potente dell'antichità - Roma - Newton & Compton Ed. - 2005 -
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