IL NEONATO ROMANO





IL PARTO

Narra Ovidio che a Roma moriva di parto circa il dieci per cento delle donne e spesso erano causa di morte le pratiche contraccettive e abortive per mezzo di erbe, come la ruta, l'elleboro, l'artemisia, fatte in segreto perchè una legge delle XII tavole decretava che la decisione dell'aborto spettava al futuro padre. Insomma chi doveva partorire aveva poco da gioire e molto da preoccuparsi. 

Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, narra di antiche credenze secondo cui  nessuno dovesse stare vicino a una donna incinta con le gambe accavallate o con le mani intrecciate, come aveva fatto la perfida Giunone Lucina provocando terribili e lunghe sofferenze ad Alcmena e impedendole per sette giorni e sette notti di dare alla luce Ercole. 

C'era poi l'usanza della cintura, con cui il marito romano al momento del parto avvolgeva la moglie e che slegava dopo l'evento pronunciando la formula "Chi ti ha legato ti scioglie". non è chiaro il significato di questa cintura perchè come è specificato nella frase sembra più un impedimento che una protezione.

POPPATOI ROMANI


I POPPATOI

Si chiama guttus, cioè un vaso che fa uscire il liquido goccia a goccia. E' il poppatoio degli antichi romani, talvolta realizzato a forma di animale per risultare ancora più accattivante per il bambino, e poteva avere anche la funzione di un sonaglino. Spesso infatti all’interno conteneva dei piccoli pallini di argilla che risuonavano quando il latte era finito e il vaso veniva scosso. Ma la pulizia del biberon non doveva affatto essere facile, anche se nel medioevo si usava dissetare i bambini piccoli da recipienti ricavati da corna di animali, anche questi non facilissimi da igienizzare.

Tuttavia nel XIX secolo era molto in voga l'uso di una speciale bottiglia dotata di una lunga cannula di gomma per facilitare l'allattamento. Tale proto-biberon però era molto difficile da pulire e sterilizzare  e infatti non era raro che qualche bambino perisse per infezioni dovute alla famigerata bottiglia.

IL NEONATO FASCIATO


LE FASCE

E qui viene il peggio, perchè il neonato degli antichi romani aveva poco da gioire, in quanto veniva fasciato come una mummia, un correttivo che, secondo il pensare dell'epoca, avrebbe aiutato il bambino a crescere senza diventare storpio e a camminare correttamente, ma che rispondeva anche all’esigenza materna di badare anche ad altri bambini, di badare al marito, e fare una serie di lavori domestici, per cui occorreva che il piccolo restasse fermo.

La fasciatura degli antichi romani era tremenda in quanto il bambino veniva avvolto come una mummia, ma tale resterà più o meno fino al XX secolo. Al piccolo venivano fasciate le braccia appiccicandogliele al corpo, e le gambe venivano strette tra loro, rallentando la circolazione del sangue e provocando escoriazioni cutanee e piaghe, perchè il corpo rimaneva a contatto, per molte ore, con l’urina e con le feci. All'epoca si credeva che le ossa tenere, se non sostenute, si sarebbero deformate.

La fasciatura stretta durava dai sette ai nove mesi, poi si liberavano le braccia, ma anzitutto il braccio destro affinchè il bimbo non venisse su mancino che era ritenuta un'anomalia. Le fasce venivano tolte definitivamente a due anni e cioè quando i bambini iniziavano a camminare. Camminare non era facile perchè i bambini avevano i muscoli atrofizzati, quindi dovevano esercitarsi a lungo.
LA BULLA

Le fasce dei figli dei ricchi romani erano talvolta di colore rosso porpora forse per motivi apotropaici; ma il porpora era anche simbolo di inviolabilità. A tale proposito lo storico greco Plutarco sostiene che la bulla che veniva messa ai piccoli era un amuleto che aveva una sua valenza morale perchè suggeriva la purezza dei ragazzi liberi che non doveva essere offesa. 

In realtà la bulla fu voluta dalle sabine rapite dai romani insieme ad altre regole stabilite dalle mogli, insieme alla toga praetexta, che rendevano i bimbi inviolabili, pena la morte, nel caso di abusi sessuali. 

Il medico greco-romano Sorano di Efeso (II sec. d.c.) prescriveva nel suo trattato "Sulle fasciature",  che la fasciatura fosse di lana; che il neonato dovesse essere prima unto bene di olio, poi dovevano essere stretti nelle fasce prima le braccia separatamente, poi il busto, e infine le gambe, prima separate e poi unite. 

Il tutto doveva poi venire coperto da un fasciatore dai piedi al collo, che doveva essere ancora fermato da una lunga benda girata intorno a spirale (come avessero paura che il piccolo scappasse!). Ma in estate doveva essere un tormento!


LA PURIFICAZIONE

Nove giorni dopo la nascita per il maschio e otto per la femmina (primordia), si procedeva, anche per le persone che avevano assistito al parto, alla purificazione attuata con l'acqua (dies lustricus corrispondente al rito greco dell'Amphidromia). Tuttavia Sorano, nel trattato Ghynaikeia (Ginecologia), giustamente critica la pratica di immergere il neonato, anzichè nell'acqua, nel vino che con i suoi effluvi poteva stordirlo.

In tale occasione il neonato era ammesso solennemente nella comunità e riceveva il nome (triplice se maschio, unico se femmina); per lui si invocavano i Fata preposti al destino. Fino a quel momento la puerpera e il piccolo venivano protetti da tre uomini che, impersonando le divinità Intercidona, Pilumnus e Deverra, tenevano lontano dalla soglia Silvano, rozza divinità dei boschi: la prima colpiva la soglia con una scure, il secondo con un pestello, la terza la spazzava. 

Lo strano rito aveva evidenti fini apotropaici ed era messo da Varrone Reatino in connessione con l'arcaico mondo agricolo: "Gli alberi si potano col ferro, il farro si tritura col pestello, poi si ammucchia con la scopa".


L'ANGELO CUSTODE

Ogni neonato veniva affiancato, appena venuto alla luce, da un genio, una sorta di Angelo Custode pagano, che lo vegliava e lo accompagnava dall'inizio alla fine dei suoi giorni, venerato, come autore della vita, con ogni sorta di offerte; a proposito di ciò, Virgilio nell'Eneide specifica che questa presenza è duplice: cum nascimur duos genios sortimur, unus est qui hortatur ad bona, alter qui depravat ad mala (dal momento della nascita ci vengono assegnati dalla sorte due geni, uno che ci esorta al bene, l'altro che ci spinge al male). 

I DONI

Era uso che si recassero al piccino doni in tale quantità da far sostenere al sarcastico Giovenale che "una moglie sterile è molto apprezzata da amici e parenti". Erano graziosi oggettini da attaccare al collo o giocattoli costituiti da:

- bamboline,
- amuleti vari,
- un pendente col numero 13,
- o con l'immagine di una divinità protettrice,
- sonaglini di terracotta in forma di animaletti con all'interno un sassolino (crepundia).
- ma pure sonaglini d'argento,
- o ciondoli d'ambra, come principio di vita e fecondità, collegata con la figura della Dea Mater e usata contro gli incubi notturni per i quali si usava cospargere le tempie dei neonati con olio, oppio, aceto e seme di papavero strofinando con un pezzo di ambra, 
tutti oggetti che servivano anche ad allontanare gli spiriti e, talvolta, da riconoscimento per i bimbi esposti.

L'appartenenza alla classe sociale dei liberi era sottolineata dalla bulla, amuleto di forma sferica, in oro per i ricchi, in cuoio per i poveri, che, nel rito di passaggio per il compimento della maggiore età celebrato durante le feste dei Liberalia, veniva dai ragazzi abbandonato, insieme alla toga pretesta, e dedicato alle divinità curotrofe (nutrici di bambini). 

Queste pesanti fasciature peseranno sui bambini anche nei secoli a venire, occorre giungere fino alla metà del '900 per togliere le fasce al neonato, duemila anni di sequestro di persona per non parlare dei precedenti. Del resto c'era di peggio.



NELL'ANTICA GRECIA

La Grecia aveva passato molte consuetudini ai romani, e non sempre buone. I medici dell'antica Grecia consigliavano alle madri di nutrire i loro piccoli con alimenti sostanziosi per farli crescere forti. Oltre ai grandi classici come latte e miele però, i Greci trovavano particolarmente indicato che i bambini bevessero generose sorsate di vino misto ad acqua o idromele!

Ma questo è il meno: Platone approvò l’infanticidio in caso di gravi malformazioni e non ammise che ”i figli di nessuno” potessero entrare a far parte della sua Repubblica ideale.

Aristotele aggiunge: ”Per ciò che riguarda l’abbandono o l’allevamento dei neonati, deve esserci una legge che non permetta di allevare i figli deformi; ma circa il numero dei bambini, se gli usi e i costumi impediscono il loro abbandono, dev’esserci un limite alla loro procreazione”. 

A Roma non andava diversamente. Seneca sosteneva che l’infanticidio dovesse riguardare soltanto i bambini malati e dichiarava: ”Uccidiamo i cani idrofobi con un colpo alla testa, abbattiamo il bue furioso e selvaggio, accoltelliamo la pecora malata per evitare che infetti il gregge, distruggiamo la progenie snaturata, affoghiamo anche i bambini che al momento della nascita siano deboli o anormali!”.



A ROMA

A Roma il destino del bambino dipendeva dalla “patria potestas” esercitata dal padre (pater familias), poichè alla “levatio” ostetrica faceva seguito la “elevatio” del padre che lo sollevava all’altezza degli occhi per il riconoscimento formale. Dopo la "elevatio" il padre gli faceva il bagno lui stesso, lo avvolgeva nelle fasce e lo deponeva nella culla. Il nome veniva deciso dal padre stesso in decima giornata festeggiando l’evento.

Se il bambino veniva rifiutato allora avveniva la “expositio” del neonato fuori dalla porta di casa. La Legge delle XII tavole promulgata da Romolo, sanciva che un padre potesse vendere i figli fino ad un numero massimo di tre, pena la perdita della patria potestà (patria potestas).

Il padre del bambino era l’unico ad avere personalità giuridica in ambito familiare ed esercitava il suo potere di vita e di morte (ius vitae necisque) sulla moglie e sui figli. Tuttavia Romolo aveva vietato ai padri di uccidere i figli di età inferiore ai tre anni, forse con la speranza che i padri vi si affezionassero, ma i padri poco avevano a che fare coi figli, a parte coi maschi in età di palestra.



I LUOGHI DELL'ABBANDONO

I luoghi dell’abbandono in Roma erano le rive del Tevere oppure il Foro Olimpico dove sorgeva la “Colonna lattaria”, attorno alla quale si aggiravano donne disposte ad offrire latte ai bambini esposti, o donne sterili in cerca di bimbi da allevare come propri, nutricatores che raccoglievano i piccoli derelitti e li allevavano per farne schiavi da vendere, gladiatori, eunuchi, prostitute. 

Ma vi si depositavano anche i figli delle matrone rifiutati dal padre che la madre, complice un'ancella o una schiava faceva adottare dai parenti di questa per poterlo poi riscattare e far crescere almeno da liberto.



OPTIMUS PRINCEPS

Traiano (53-117 d.c.), l'ottimo principe, promulgò una legge "Tutela Italiae" che proibiva di trattare come schiavi i bambini trovati o comperati se erano nati liberi, ma se erano nati schiavi restavano nella loro condizione di schiavi. Era una legge discriminante, ma dobbiamo tenere conto che la schiavitù si protrasse nel nostro Mondo Occidentale evoluto fino al XIX secolo. 

Lo stesso Traiano aprì a Velleja. Lugagnano Val d'Arda in provincia di Piacenza, un grande ricovero degli esposti e degli orfani abbandonati, istituì collegi per ragazze e ragazzi poveri e per gli orfani dei suoi legionari. 

Sempre a Velleja venne ritrovata la Tabula Alimentaria Traianea dove sono elencati i sussidi per gli agricoltori: di 16 sesterzi mensili per i ragazzi legittimi, 12 sesterzi per le ragazze legittime e per un solo ragazzo illegittimo e 10 sesterzi per una sola ragazza illegittima.

I bambini avevano un valore commerciale se allevati come schiavi o per altre mansioni più o meno redditizie e spesso disumane, per questo essi erano anche oggetto di rapimenti, specie nelle classi meno abbienti, anche se la legge romana puniva con la morte i rapitori di bambini.


COSTANTINO

Fu Costantino (260-337 d.c.) a promulgare una legge che condannava con la morte i filiicidi, annullando l’antica legge dello "ius vitae necisque" che era stata per secoli diritto inviolabile del paterfamilias; strano, perchè lui stesso aveva fatto uccidere suo figlio accusato (ingiustamente) di tentata violenza da parte della matrigna.

Tuttavia la legge romana non proibiva l’abbandono dei bambini neppure sotto Costantino, e il contemporaneo S. Ambrogio considerava la povertà sia temporanea che permanente come una giustificazione per l’abbandono dei figli.

Però nel Concilio di Nicea del 325, Costantino decretò che lo stato dovesse mantenere i bambini abbandonati, creando le premesse per la costituzione degli orfanotrofi. Nel V secolo Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, accoglieva nel suo palazzo di Ravenna i bambini abbandonati nelle strade e sui sagrati delle chiese.

NEL MEDIOEVO LA SITUAZIONE NON MIGLIORO'


GIUSTINIANO

Nel 529 Giustiniano fece raccogliere e integrare le leggi romane in un unico corpus che prese il nome di "Corpus Iuri Civilis" in cui, ricalcando una disposizione di Valentiniano, Valente e Graziano del 374, sono approvate leggi in difesa dell’infanzia abbandonata, equiparando, tra l’altro, l’abbandono all’infanticidio.

Nel "Corpus Iuris Civilis" è prevista anche la tutela da parte di un “tutor” per i ragazzi fino a 14 anni e le fanciulle fino a 12 (impuberes). Col raggiungimento della pubertà la legge li considerava capaci di assumersi la responsabilità dei loro atti, anche se si rendeva necessaria la presenza di un “curator” che li assisteva negli affari pubblici fino all’età di 25 anni.

BIBLIO

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- Agostino, De civitate Dei VII
- Boswell, John: L’abbandono dei bambini in Europa occidentale, RCS - Milano, 1991.
Latronico Nicola: Storia della Pediatria. Ed. Minerva medica, Torino, 1977.
Lloyd de Mouse: L’evoluzione dell’infanzia - 1983, Emme ed. Milano.
Pazzini, Adalberto: Storia dell’Arte sanitaria dalle origini ad oggi. Ed. Minerva medica, Roma, 1974.
Sterpellone Luciano: La Medicina greca. Novartis Edizioni, 1998. 
- Eva Cantarella - La vita delle donne in Storia di Roma - Torino - 1989 -


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