EMPORIUM

L'EMPORIUM

IL PORTO FLUVIALE DI ROMA

Il porto fluviale di Roma sul Tevere, o Portus Tiberinus, era la principale via di rifornimento della Roma imperiale. Vi giungevano i prodotti dell'Umbria e dell'Etruria e quelli via mare che dal porto di Ostia venivano trasbordati dalle grandi navi da carico ai battelli fluviali. Quando poi i battelli dovevano risalire il Tevere dovevano essere trainati da animali che stavano sulle rive con l'aiuto di lunghe funi.

La marina mercantile romana fu responsabile in larga parte della ricchezza dovuta ai commerci tra le nuove e le vecchie terre di conquista, grazie anche all’intraprendenza dei suoi armatori. I Romani fin dall’età regia cercarono di raggiungere molti nuovi territori per lo scambio di merci, visto che giungervi via terra era molto più difficile, per le strade carenti, per gli animali feroci, per il brigantaggio e i cattivi incontri in genere.

Il Portus Tiberinus si trovava nella zona del Foro Boario, oggi piazza della Bocca della Verità, un'area sacra e commerciale posta lungo la riva sinistra del Tevere, tra i colli Campidoglio, Palatino e Aventino, che prese il nome dal mercato del bestiame che vi si teneva. 

EMPORIUM - STAMPA DELL'800

Il porto stava in un'area paludosa poi bonificata dalla costruzione della Cloaca Massima, dove venivano anche ammassate grandi quantità di sale estratto dal mare, provenienti dalla foce del Tevere (le salinae).

Fin dall’inizio del II secolo a.c. le banchine del Portus Tiberinus non furono più sufficienti per l’ormeggio di tutte le navi necessarie all'approvvigionamento dell'Urbe. Si scelse allora l’area pianeggiante più a valle, sempre sulla riva sinistra del Tevere, a sud-ovest dell’Aventino, fuori della cinta muraria repubblicana. 

Così in età imperiale il porto venne smobilitato e man mano interrato, costruendo le banchine e i magazzini dell'Emporium, il gigantesco complesso monumentale del maggior porto fluviale dell’Urbe, lungo le pendici meridionali dell'Aventino.



IL RICCO COMMERCIO

I Romani conoscevano bene i larghi guadagni del commercio marittimo, tanto è vero che, verso l’inizio della II guerra Punica, i senatori si infuriarono con il collega Gaio Flaminio, favorevole alla legge del tribuno della plebe Quinto Claudio, che vietava di armare più di una nave e di superare la stazza di 300 anfore (circa 8 tonnellate), in quanto tanta avidità non si addiceva ai membri del Senato. 

PORTO ED HORREA (INGRANDIBILE)
Gli avventurieri romani dei mari esploravano ogni terra affrontando ogni disagio, perchè il loro lavoro era pagato molto bene dalla classe aristocratica romana. 

Vi sono tracce di navi da carico romane nel nord-Africa prima della I guerra contro Cartagine, sulla costa orientale dell’Adriatico prima delle guerre Illiriche, nei porti della Spagna prima della guerra Annibalica, nel Mediterraneo orientale prima delle guerre ellenistiche, e al di là della Manica prima della conquista della Britannia.

Nel contempo, i marittimi romani commerciarono con le popolazioni del mar Baltico, con l’Irlanda e le Canarie, con le coste americane. nell’Africa orientale fino all’altezza di Zanzibar e oltre, in India, nel golfo del Bengala, fino all’odierna Cina.

IL PORTO FLUVIALE

L'EMPORIUM

Dall'inizio del II secolo a.c. l'impetuoso sviluppo economico e demografico aveva reso insufficiente il porto fluviale del Foro Boario, che non poteva essere ampliato per via della vicinanza ai colli, per cui nel 193 a.c. gli edili Marco Emilio Lepido (console nel 187 a.c.) e Lucio Emilio Paolo (console nel 182 a.c. e nel ‎168 a.c.) costruirono un nuovo porto in una zona libera al confine della città a sud dell'Aventino insieme alla Porticus Emilia, poi ricostruito nel 174 a.c. dai censori Quinto Fulvio Flacco e Aulo Postumio Albino (Livio, 41.27.8).

L’allestimento dell’Emporio iniziò nel 193 a.c. con la sistemazione delle banchine, delle pietre di ormeggio, e la costruzione del Portico Emilio, il più vasto magazzino mai costruito dai Romani: lungo quasi 500 m e largo 60, suddiviso in 7 navate parallele al Tevere e digradanti verso di esso, ed in 50 navate perpendicolari al fiume, larghe 8,30 m e con volte a botte. Ve ne sono alcuni cospicui resti nel V e nel VI isolato sulla destra di Via Giovanni Branca, partendo da Via Marmorata.


Nel 174 a.c. l'Emporium, fino ad allora dotato di una semplice copertura in legno, venne lastricato in pietra e fu suddiviso da barriere con scalinate che scendevano al Tevere. finalmente fornito di un grande magazzino per le derrate alimentari, la “Porticus Aemilia“.

Qui era il punto d'approdo delle merci e delle materie prime (marmi, grano, vino, olio) che, arrivate via mare dal porto di Ostia, risalivano il Tevere su chiatte rimorchiate dai bufali trainanti lungo le rive (alaggio). 

All'epoca di Traiano le strutture furono rifatte in opera mista, mentre la pianura del Testaccio si andò via via riempiendo di magazzini, in particolare quelli annonari, aumentando a dismisura quando si iniziarono le distribuzioni gratuite di grano e altri generi alimentari alla popolazione cittadina, a partire dell'epoca dei Gracchi.


In seguito l’intera area dell’Emporio fu lastricata, recintata e dotata di molti "horrea", i magazzini per il deposito delle merci: gli Horrea Sempronia, Galbana, Lolliana, Seiana ed Aniciana. I Galbana presero il nome da Servio Sulpicio Galba, console nel 108 a.c. ed erano i più importanti, situati dietro il Portico Emilio, di m 180 x 130 ed erano divisi in tre ampi cortili rettangolari porticati, sui quali si aprivano gli ambienti adibiti alla conservazione delle derrate.

Grandi opere marittime ed infrastrutture interessarono tutti i litorali dell’Impero, soprattutto il complesso portuale marittimo di Roma, il Porto Augusto (Portus Augustus Urbis Romae) o semplicemente Porto, progettato da Cesare, iniziato da Claudio, inaugurato da Nerone e completato da Traiano. 

Si trattò del maggior porto artificiale dell’antichità classica e costituì il nodo centrale della fitta rete delle linee di comunicazione marittime dell’Impero. Se ne possono tuttora vedere molti resti nell’area compresa fra l’aeroporto di Fiumicino ed il lago di Traiano.

MONTE DEI COCCI

IL MONTE DEI COCCI

Scavi svolti nel XIX secolo hanno consentito di ritrovare numerosi reperti di questi porti fluviali. In particolare, a sud dell'Emporium venivano accatastati i cocci di terracotta. Nei secoli infatti, i cocci di anfore, che erano i contenitori dell'epoca per il trasporto degli alimenti liquidi, furono accumulati a montagnola, componendo il Monte dei Cocci,

Si trattava soprattutto di anfore olearie provenienti dalla Spagna meridionale e dall'Africa, il cui cumulo crebbe tanto da assumere il nome di mons Testaceus (la collina dei cocci), da cui il nome del rione di Testaccio. L’attuale Monte Testaccio, alto quasi 35 m sulla pianura circostante, con un perimetro di poco meno di un Km ed una superficie di circa 20.000 mq. è formato dai cocci di circa 25 milioni di anfore che appena svuotate venivano spezzate e ammonticchiate seguendo uno schema predefinito.

L'ordine con cui i materiali risultano disposti, la presenza nel terreno di calce sparsa a intervalli regolari per attenuare il cattivo odore derivante dalla decomposizione dei residui alimentari e l'esistenza di un piano inclinato ben calcolato che consentiva ai carri di giungere fino in cima alla catasta, rendono evidente che la discarica fosse tutt'altro che improvvisata bensì venisse affidata in gestione a dei "curatores".

COCCIOPESTO ROMANO


IL COCCIOPESTO

I Romani erano un popolo organizzato e razionale e non avrebbero mai gettato cocci alla rinfusa per ritrovarsi poi un luogo pericoloso e ingestibile, per cui l'accatastamento era molto attento e regolare, naturalmente effettuato e sorvegliato da appositi operai e guardiani del sito guidati da curatores appositamente incaricati, che avevano poi la possibilità di rivendere i cocci a coloro che dovessero realizzare il cocciopesto per l'edilizia.

Infatti i romani utilizzavano il cocciopesto come impermeabilizzante per rivestire il fondo e le pareti di vasche in muratura o di cisterne, come ci informa l'architetto Vitruvio (80 a.c. - dopo il 15 a.c.), oppure come materiale di pavimentazione, in cui la malta andava a sostenere tessere di mosaico disposte in vario modo o a frammenti di marmi bianchi o colorati, e comunque in alternativa alla pozzolana come malta idraulica anche per intonaci.

"Se nell'arena, di fiume o di mare, vi si aggiungerà una terza parte di matton pesto, e passato pel vaglio, diverrà la calce di miglior riuscita e forza,
(Vitruvio, De Architectura)

EMPORIUM

LA DISTRUZIONE DELLE ANFORE

Le anfore provenienti dal porto, una volta svuotate del contenuto venduto sul mercato capitolino, non potevano essere riutilizzate per altri generi alimentari in quanto non smaltate all'interno, insomma non si potevano lavare perchè la terracotta si era impregnata del loro contenuto che col passare del tempo marciva rovinando i nuovi liquidi contenuti.

Inoltre i Romani solevano acquistare le anfore nei paesi stranieri dove sicuramente costavano meno che a Roma per cui il costo non era elevato e quindi la perdita era minima. Naturalmente la cosa non avveniva per derrate più consistenti, come l'uva e il miele, in cui era sufficiente lavare l'interno dell'anfora con acqua fresca. Ma vi si spediva anche e soprattutto cereali, datteri, garum e spezie orientali.

L'idea dei 25 milioni di anfore residue, diciamo residue perchè occorre tener conto di tutte quelle che venivano recuperate (in genere erano quelle dell'olio a soffrire maggiormente  la distruzione) e da toglierci inoltre tutte quelle tolte per il cocciopesto dell'edilizia, fa capire che le anfore qui transitate dovevano essere molte ma molte di più, con un traffico commerciale continuo e instancabile.

D'altronde Roma era abitata da circa 900000 individui al tempo di Augusto (I sec. d.c.), diventati quasi 1 milione e mezzo appena un secolo dopo, sotto Traiano, e per secoli i romani sfruttarono le proprietà isolanti dell'argilla per ricavare, alle pendici del colle artificiale, numerose grotte al cui interno la temperatura si attesta tutto l'anno intorno ai 10 °c. I locali scavati tra i cocci vennero adibiti a cantine, dispense o stalle; a partire dal medioevo essi ospitarono osterie e, dall'epoca moderna e contemporanea, ristoranti e locali notturni.

PORTICUS AEMILIA

GLI SCAVI

I resti dell’Emporium ora visibili emersero per la prima volta nel corso degli scavi avvenuti negli anni 1868-1870, in concomitanza con la costruzione degli argini del fiume; interrati dai detriti trasportati dalla corrente, furono riportati alla luce nel 1952 e, dopo il ripetersi della situazione, nuovamente a partire dal 1974.  

I ritrovamenti testimoniano in età imperiale una funzione di magazzino, almeno per vasta parte della
Porticus, uno degli edifici più vicini a uno dei principali scali della capitale dell'impero. Oltre ai cereali, dovevano arrivare con grande frequenza tutti i beni di consumo: olio, vino, datteri, garum, vini, spezie orientali, legnami, pietre semilavorate. 

Lo dimostra anche la topografia: ancora nel medioevo, accanto alla Porticus Aemilia si
collocava la Ripa Marmorata, oggi via Marmorata, nel punto in cui anticamente si trovavano le
banchine per lo scarico, dalle imbarcazioni che risalivano il Tevere, dei marmi cavati o già sbozzati.

ANFORE SOTTO IL MERCATO DI TESTACCIO

I ritrovamenti hanno evidenziato un edificio con file di ambienti disposti su tre piani ed una banchina lunga circa 500 metri e profonda 90, un esteso molo costituito da una serie di concamerazioni, il cui estradosso era pavimentato da grandi lastre di travertino ed utilizzato come piazzale di scarico e di smistamento. 

Un lungo muro inclinato chiudeva questi ambienti dalla parte del fiume, munito di pietre d’ormeggio forate per il fissaggio delle gomene. Tutto questo complesso risulta addossato ad un più antico muraglione in laterizio che delimitava, verso il fiume, un’altra serie di magazzini coperti a volta, gli Horrea“, aperti verso il quartiere commerciale del TestaccioAi piani superiori c'erano gli ambienti utilizzati come uffici e stanze di stivaggio delle merci. 

L’attività dell’Emporium andò avanti fino all’entrata in funzione dei grandi porti di Claudio e Traiano di Ostia: infatti, anche se inizialmente costituì il terminale urbano delle attività commerciali dei grandi porti marini, successivamente fu ridotto ad un semplice deposito di materiali, specialmente di marmi (tanto da far nascere il nome di “Marmorata” alla ripa ed alla via) 

PORTICUS AEMILIA

Oggi restano alcuni tratti visibili incassati nel muraglione del Lungotevere Testaccio: una banchina lunga circa 500 metri e profonda 90 con gradinate e rampe verso il fiume, con blocchi di travertino sporgenti per fori dove ormeggiare le navi, molto simile a quella del porto romano di Aquileia. 

I più suggestivi resti dell’Emporio attualmente visibili sono quelli delle strutture che appaiono come una lunga successione di arcate su più piani, aperte verso il fiume e addossate al muraglione del lungotevere Testaccio. Una serie di ambienti con funzione di magazzini ed argine, aperti verso l’interno e chiusi verso il fiume da muraglioni inclinati. 

Davanti a questi muraglioni vi erano le banchine poste su più livelli, per tener conto delle piene abbastanza abituali del Tevere, che erano pavimentate con lastre di travertino, e dove venivano sbarcate le merci provenienti da tutto il mondo.


BIBLIO

- Vitruvio - De Architectura -- Filippo Coarelli - Guida archeologica di Roma - Verona - Arnoldo Mondadori Editore - 1984 -
- Lucos Cozza e Pier Luigi Tucci - Navalia, in Archeologia Classica - 2006 -
- Giovanna Maria Forni - Extra Portam Trigeminam - in Atlante Tematico di Topografia Antica - XXII - 2012 -
- Pierre Gros e Mario Torelli - Storia dell'urbanistica - Il mondo romano - Roma-Bari - Laterza - 2007 -
- Giovanni Battista Piranesi - Le antichità Romane - Tav. XLVIII -
- Pier Luigi Tucci - La controversa storia della Porticus Aemilia - in Archeologia Classica - 2012 -

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