L' EVOCATIO ROMANA




DOMANDE E RISPOSTE

Che cos'era l'evocazio romana?
L'evocazio romana. o evocatio, era un rituale romano che mirava ad ottenere il consenso di una divinità protettrice di una città nemica affinchè accettasse di abbandonare il suo tempio e di trasferirsi a Roma.

In che modo si invocava la divinità protettrice?
La divinità protettrice si invocava da fuori le mura della città nemica, dalla parte più vicina, o almeno in direzione, del tempio della divinità da evocare.

In che modo la divinità protettrice poteva essere traslata a Roma?
La divinità protettrice poteva essere traslata a Roma attraverso il rapimento, come nel Palladio, o venire trasferita grazie alla sua risposta positiva al trasferimento.

Da chi e in che momento poteva procedere il rito? 
Il rito poteva procedere ad opera dei sacerdoti o del generale dotato di imperium, nel momento in cui si stava effettuando l'ultima battaglia che si supponeva ormai vincente.


LA FORMA MENTIS ROMANA

Per comprendere il rituale dell'evocatio romana bisogna anzitutto comprendere la mentalità romana nei confronti della religione. I Romani tenevano molto all'aspetto religioso che riguardava qualsiasi aspetto della loro vita, essi avevano divinità preposte a incentivare, migliorare, accentuare qualsiasi aspetto positivo che potesse soddisfarli così come avevano divinità preposte a scoraggiare, opporsi, salvaguardarli, eliminare, qualsiasi  aspetto negativo che potesse fare del male sia al privato che allo stato romano.

Questa accuratezza e anche pignoleria nella presenza delle divinità nei fatti della vita non ebbe però mai aspetti di fanatismo. L'uomo romano, e in particolare il pater familias, doveva essere "pius", cioè molto attento ai doveri verso le divinità, ma mai "fanaticus" perchè contrario al buon vivere da cittadino romano.

Per favorire questo atteggiamento le regole religiose, stabilite dai ponifex e dai vari sacerdoti, andavano a coprire ogni eventualità in modo che il cives romanus dovesse spendere non più di tanto del suo tempo per accontentare le divinità e salvaguardare la Pax Deorum che spettava anzitutto alle cure dello stato.


GLI DEI ROMANI

Gli Dei romani che furono per lo più Dei importati da popoli stranieri, potevano, secondo i Romani, stabilire il predominio e le vittorie sui nemici almeno tanto quanto lo potevano l'abilità militare e il valore dei legionari. Pertanto questi Dei andavano tenuti buoni, anche perchè buoni non erano, però non pretendevano di essere amati e pregati, ma richiedevano sacrifici di animali e rituali vari. 

E non chiedevano nemmeno tanto perchè in genere si accontentavano del fumo che si elevava dalle carni cotte che di solito si mangiavano i sacerdoti o la popolazione in festa. Inoltre tutti i riti necessari erano forniti dai sacerdoti che a sua volta erano pagati dallo stato, per cui gli interventi dei cittadini erano minimi.


PEREGRINA SACRA

L’espressione "peregrina sacra" si riferisce ad una categoria di Dei stranieri, trasferiti per causa bellica tramite un’evocatio, o in clima pacifico, per ragioni di ordine religioso.  Il caso della Mater Magna, pur legato a vicende belliche avvenne senza evocazio, poichè i Libri Sibillini indicarono l’accoglimento della Dea frigia a Roma come rimedio alla situazione critica del 205 a.c. 

La decisione di adottare un culto straniero spettava comunque solo al Senato e se si trattava di evocatio, il senato conferiva il nulla osta al generale "cum imperio" a celebrare il rito, qualora  necessario, insieme ad un sacerdote, che poteva essere un pontifex. I Libri Sibillini, invece, erano consultati solo dopo che i consesso dei pontefici aveva riconosciuto il prodigium in questione. 

L’importazione di culti stranieri, così come l’istituzione di nuovi, era considerata parte del mos maiorum e si poteva realizzare in vari modi, bellico e pacifico, come spiega Festo: « sono chiamati peregrina sacra quelli portati a Roma dopo l’evocazione degli Dei durante gli assedi delle città, o quelli fatti venire a Roma in tempo di pace per determinate ragioni d’ordine religioso, come dalla Frigia quello della Grande Madre, dalla Grecia quello di Cerere, da Epidauro quello di Esculapio: essi vengono praticati nel modo di coloro, dai quali sono stati adottati »

Le evocazioni dovettero essere molte perchè dopo la conquista di Capua, nel 211 a.c.: i Romani ammassarono una tale quantità di statue sacre che i pontefici dovettero stabilire quali fossero venerabili e quali no; seguiva poi la ratifica ufficiale del Senato. Le divinità evocate venivano classificate come peregrina sacra delle città nemiche conquistate. Invece i culti delle città prese senza un’evocatio potevano rimanere sul luogo, o, se portate a Roma, erano talvolta oggetto solo di un culto privato. 

Solo la statua però poteva essere presa, e solo con il consenso della divinità: «La statua, solo la statua, può essere catturata, il dio da parte sua si muove di sua iniziativa, libero, insieme al vincitore, quale suo adiutore divino».  Tertulliano così parla degli Dei captivi intendendo verosimilmente quelli giunti a Roma in seguito a campagne belliche, distinguendoli da quelli “adottati” in tempo di pace.

Le divinità evocate venivano solitamente portate a Roma, dove ricevevano, conformemente al votum solenne presente nel carmen evocationis, un culto pubblico e un tempio, ma al di fuori del pomerium. 


EVOCATIO DEORUM

L'Evocatio avveniva in due manifestazioni principali:

- Con l’ "evocatio deorum", i Romani richiamavano da fuori la divinità protettrice della città nemica assediata, attraverso un "carmen evocationis" pregandola di abbandonare la sua dimora e i suoi protetti e di accettare di trasferirsi a Roma, promettendo, come asserisce Plinio, alle divinità tutelari un culto uguale o più grandioso nella città eterna.  

La celebrazione del rito aveva luogo poco prima che l’esercito sferrasse l’ultimo assalto alle mura della città assediata, quando ormai la vittoria appariva certa. Scopo del rito era ottenere il sostegno della divinità alla causa di Roma , con il permesso di conquistare la città protetta, evitando un sacrilegio che avrebbe provocato l’ostilità del Dio del luogo, senza il cui appoggio non vi sarebbe stata conquistata.  La pax deorum era basilare per i Romani sia in pace che in guerra.

L’evocatio veniva celebrata in due fasi: la prima dinanzi alle mura, forse dalla parte del tempio, in cui si otteneva dalla divinità tutelare il permesso di attaccare la città senza che ciò comportasse il pericolo di azioni sacrileghe, poiché essa aveva acconsentito ad essere portata a Roma; la seconda nel tempio, di fronte alla statua di culto, in cui una persona scelta e ritualmente preparata rinnovava la richiesta e in qualche modo otteneva una nuova risposta funzionale alla rimozione dell’idolo.


IL TRASFERIMENTO DELLA STATUA

C'era però un modo usato in tempi più antichi, e cioè il furto del simulacro. Il "ratto del Palladio", senza il possesso del quale i Greci non avrebbero potuto conquistare Troia venne narrata nell’impresa compiuta da Ulisse e Diomede e si trova nella c. d. Piccola Iliade. Non per nulla i Romani tenevano addirittura nascosto il nome della divinità tutelare segreta di Roma.

Un altro esempio è quello di Cibele, che venne richiesta da Roma come un pegno dell’alleanza del regno pergameno con Roma in funzione anti-macedone. Al rifiuto del re Attalo di consegnare il simulacro aniconico della Dea, essa stessa affermò di voler essere portata a Roma e infatti con l’arrivo della Mater Magna si avvera quanto riportato dai Libri Sibillini: nel 203 a.c. Annibale lascia l’Italia. Dopo essere stata ospitata nel tempio di Victoria, la pietra nera, sacra immagine della Dea, fu accolta nel nuovo tempio edificatole sul Palatino e dedicato nel 191 a.c. 

Invece il Dio Asclepio apparve in sogno ad uno dei Romani inviati a prenderlo, su ordine dei libri Sibillini, affermando che era suo volere seguirli a Roma. Infatti il giorno seguente il serpente del Dio andò verso il porto e salì sulla nave romana, che lo avrebbe portato fino alla sede prescelta dell’isola Tiberina. Il Dio della medicina doveva intervenire nella terribile peste del 292 a.c., diffusasi durante la guerra contro i Sanniti. 

Lo stesso accade per Voltumna-Vortumno che manifestò a voce la volontà di traferirsi a Roma. Ma l'’esempio più famoso di statua parlante fu quello di Giunone Regina, che manifestò la propria volontà con un cenno del capo o a voce. Ma pure Giunone Curite è ben contenta di essere portata a Roma.



EVOCATIO RELATIVA ALL'ESERCITO

- Con l’evocatio relativa all’esercito si prometteva invece che le sarebbero stati consacrati un culto e un tempio il quale avrebbe accolto la statua di culto. Trattavasi qui di un "votum" che si impegnava a edificare un tempio alla divinità in causa.


DEVOTIO HOSTIUM

Il rito della Devotio Hostium (il sarificio del nemico, o sua consacrazione agli Dei Mani) implica che il magistratus cum imperio (dictator o imperator) invoca gli Dei inferi, Dis Pater, Veiovis e i Manes, chiedendo loro di infondere il terrore ai nemici e di distruggere sia questi che le loro proprietà, entrambe consacrate a quegli Dei; si chiede inoltre la salvezza del titolare dell’imperium e dell’esercito da lui comandato. 

Il votum, una volta esaudito, verrà sciolto con il sacrificio di tre pecore nere. Vengono infine presi a testimoni Tellus e Iuppiter. Come nel precedente carmen compaiono delle «formule precauzionali»: sive quo alio nomine fas est nominare, quem (quos) me sentio dicere, quisquis e ubiubi, ma, a differenza di esso, l’individuazione dei destinatari è qui molto precisa

Solo i dictatores e gli imperatores potevano pronunciare la formula della devotio, oppure avrebbe dato tale notizia all’inizio della trattazione: «Lo stesso troviamo a Roma: secondo il passo sopra citato di Plinio, Verrio Flacco attribuiva basandosi sulle sue fonti l’evocazione ai sacerdotes e Macrobio, il quale non dice nulla al riguardo, lo presuppone tacitamente quando evidenzia in proposito che solo i dittatori e gli imperatori possono eseguire la devotio». 


BELLUM IUSTUM E I SACRA

Un discorso di Claudio del 48 d.c., conservato in parte nella Tavola di Lione, specifica che l'evocatio doveva necessariamente riferirsi ad un "bellum iustum" (guerra giusta), preoccupazione dei sacerdoti addetti, soprattutto dei fetiales. Con l’abbandono della sua protezione divina, insieme ai sacra (oggetti sacri) ad essa pertinenti, la città nemica veniva «desacralizzata». 

Pertanto il salvataggio dei sacra equivaleva al salvataggio della città, infatti Roma, «nuova Troia» risorse grazie ai Penati salvati da Enea, o prima della battaglia di Salamina con la messa al sicuro della statua lignea di Atena, o nel sacco dei Galli con il trasferimento dei sacra e delle Vestali a Caere ad opera di Lucio Albinio. 


EVOCATIO - INTERPRETATIO

Il Romano faceva largo uso nei paesi stranieri dell’intepretatio Romana, assimilando i culti stranieri a quelli romani, basandosi su singole somiglianze concettuali o cultuali, per cui gli Dei stranieri avevano come primo nome quello romano seguito da quello di origine, rimanendo col tempo solo quello romano, data la romanizzazione del territorio.

Così il culto del Sol invictus Elagabal venne condannato alla damnatio memoriae solo perché era rimasto straniero, mentre, al contrario, la figura del deus Sol Invictus di Aureliano, sottoposto alla pratica pontificale dell’evocatio, ottiene il culto romano, affidato ad un collegium publicum, composto da pontifices Solis, con una immagine di tipo greco-romana.


LA COLLERA DIVINA

Probabilmente l’evocatio aveva anche il vantaggio di togliere all'esercito il timore della collera divina da parte degli Dei della città avversa. I romani non avevano preclusioni per gli Dei di altri popoli che anzi spesso adoravano assimilandoli ai loro Dei e pensavano di aver meritato anche per questo la sovranità sul mondo. Anzi, a eccezione dei Penati portati da Troia, la totalità degli Dei romani fu presa da altri popoli. 

Naturalmente gli autori cristiani non erano d'accordo e Tertulliano negava che gli Dei importati da altre città potessero essere messi in relazione con la grandezza di Roma, visto che non erano stati capaci di difendere il proprio popolo, asserendo anzi che l’Impero Romano era il risultato non della religiosità, ma della mancanza di scrupoli. 

Cosa non vera poichè i Romani, per quanto dominatori, furono tra i più clementi con i dominati, evitando in genere la distruzione di città e popoli, nonchè la tortura dei vinti che spesso ricorreva nelle tribù barbare o nei regni orientali. Per giunta i pagani accusarono il Dio cristiano o almeno l'eliminazione degli Dei pagani della caduta di Roma.


GIUNONE DIVINITA' TUTELARE

La divinità tutelare della città era detta poliade e costituiva la garanzia di protezione ma anche di indipendenza: era questo vincolo che i Romani spezzavano con l’evocatio. Sia quando veniva trasportata a Roma, sia quando rimaneva nella sua dimora, la divinità andava spesso incontro all’interpretatio, divenendo il loro nome un attributo della Dea, che giungeva a Roma perché protettrice insigne di una potente città vinta, pronta a trasferire a Roma il suo compito protettivo.

Giunone fu la divinità tutelare più gettonata per l'evocatio, eppure era fortemente sottomessa a Giove. La spiegazione è semplice e si rivede anche nelle chiese cristiane: i fedeli si recano più spesso e più volentieri nel santuario della Madonna che non in quelli di Dio o dei Santi. Il fatto è che della figura muliebre, in quanto madre, ci si fidava di più.


GIUNONE CELESTE

Quando Giunone depose finalmente l’ostilità nei confronti della schiatta di Enea, a lungo covata e causa di innumerevoli conflitti e sciagure, la Dea protettrice della città punica, Tanit, all’epoca di Augusto era stata ormai interpretata a Roma come Giunone Celeste, Iuno Caelestis.

Decisivo fu in questo senso il periodo di massimo pericolo della guerra annibalica, assai probabilmente anche all’origine della codificazione del mito di Giunone avversa ad Enea. Qui è testimoniata la celebrazione di un’evocatio, solo ipotizzabile invece negli altri casi. 

La fine del culto di Caelestis a Roma avvenne con il saccheggio del tempio nel IV-V sec. per la costruzione di un altro edificio nel Foro Olitorio. Il tempio di Cartagine fu distrutto nel 421, sotto Flavio Costanzo, alla luce dell’insuccesso dei tentativi di cristianizzarlo. Nel V secolo vi erano ancora alcuni fedeli della Dea, tra cui una setta di Caelicolae (abitanti del cielo). 


GIUNONE CELESTE PERSIANA

Con l’aiuto dei sacerdoti che lo accompagnavano, tra cui degli aruspici, Giuliano, imperatore e pontefice massimo, cercò la capitale persiana del nemico, Ctesifonte. Narra Ammiano Marcellino che nel 363 d.c. prima di giungere in Assiria, Giuliano arringasse i suoi soldati. Enumerò le vittorie romane contro i Persiani e contro altri nemici, tra cui Cartagine, e da questa arringa, secondo Macrobio, Scipione Emiliano evocò Giunone Celeste nel 146 a.c.. 

Solo tredici anni dopo, nel 133, Scipione conquistò Numanzia, capitale dei Celtiberi, evocandone, si dice, la divinità tutelare, "poiché tra le città devotae elencate da Macrobio non riusciremmo a trovare un oppidum Hispanorum maggiormente 'degno' di subire un’evocatio prima della 'devotio hostium' ". 


GIUNIONE LACINIA

Annibale pregò e dedicò una statuetta d’oro di una giovenca a Giunone Lacinia; le preghiere, i sacrifici, ma soprattutto i prodigi sono riferiti spesso a Giunone, in particolare la Regina dell’Aventino. 

TEMPIO DI GIUNONE REGINA

GIUNONE REGINA 

Giunone Regina venne evocata a Veio, per volere di Furio Camillo nel 396 a.c. che assecondando il volere degli Dei, si impadronisce della statua di culto della divinità protettrice del luogo. Egli nomina magister equitum Publio Cornelio Scipione, quindi organizza una galleria sotterranea connessa al tempio di giunone Regina. 

Camillo è in Livio il fatalis dux, militare e religioso, il cui intervento restituisce ai Romani la condizione essenziale per la vittoria, senza cui le abilità militari sono inutili, e cioè il sostegno degli Dei. I sacerdoti dettano la formula e Camillo ripete, rivolto alla protettrice di Veio, Giunone Regina, pregandola nell'evocatio di voler abbandonare la città e seguire i Romani vittoriosi a Roma, dove l’avrebbe accolta un tempio degno di lei. Camillo chiede a Giunone Regina di seguire i Romani "in nostram tuamque mox futuram urbem". 

In ossequio all'importanza della Dea i legionari addetti al trasporto del simulacro sono stati purificati e abbigliati con vesti candide,  uno di loro si rivolge alla Dea: "Visne Romam ire, Iuno?" (Vuoi andare a Roma Giunone?) secondo Livio per ispirazione divina. In ottemperanza al votum, la Dea ottenne un’aedes sull’Aventino, dove le sue colonne vennero riutilizzate nell’attuale Basilica di S. Sabina


GIUNONE CURITE

La Dea Giunone Curite (Curitim Iunonem) venne evocata a Falerii Veteres, odierna Civita Castellana, posta su uno sperone tufaceo che si innalza sulle valli del Treia e i suoi corsi d’acqua. capitale dello stato falisco, nel 241 a.c.. Come testimoniano le antiche scritture, tra cui Amores di Ovidio, qui si ergeva un tempio famoso che era dedito al culto della Dea Giunone Curite.

Purtroppo non sono giunti ai nostri giorni testi in cui fosse raffigurata l’iconografia di questa Dea, ma possiamo risalire alla sua fisionomia attraverso testimonianze scritte, che la rappresentano con una lancia in mano. L’aspetto guerriero di questa divinità la associa spesso alla Curtis di Tivoli (città che come Falerii vantava origini argive) rappresentata su di un carro con la lancia in mano.

Un grandioso tempio della Dea venne portato alla luce nel 1886 dal Cozza in località Celle, con numerosi materiali votivi, tra cui degli ex voto anatomici, con un bacino rettangolare di fronte all'abside e una vasca davanti all’edificio. Esso era posto su di un altopiano separato da una gola, scavata dal Rio Maggiore, dalla collina di Vignale, in cui si sviluppò l’abitato più antico di Falerii Veteres. Dionigi di Alicarnasso tramanda che fosse servita da sacerdotesse

La capitale dello stato falisco fu assediata ed espugnata prima da Camillo nel 394 a.c., per gli aiuti portati a Veio durante l’assedio romano, conclusosi due anni prima con la conquista e il saccheggio della città, poi distrutta nel 241 a.c., poiché i Falisci si erano ribellati al giogo di Roma. Alla fine della I Guerra Punica la città fu assediata, e i Falisci si arresero dandosi in fidem, evitando l’asservimento, se non il massacro della popolazione. 

La popolazione fu costretta a trasferirsi a circa 6 km dall’oppidum primitivo, Falerii Novi, i cui resti sono tuttora visibili, come la pregevole porta ad arco, perfettamente conservata, presso l’attuale località di S. Maria in Falleri. Si pensa fosse stata praticata un’evocatio prima dell’espugnazione di Faleria. e il Dio evocato doveva essere Voltumna. 

Pure Giunone Curite ricevette un tempio a Roma, nel Campo Marzio: Iovi Fulguri Iunoni Quiriti in campo è l’annotazione in vari calendari al 7 ottobre. Siamo fuori del pomerio, perchè la divinità era straniera. Coarelli localizza il tempio di Iuno Curitis alle spalle del Teatro di Balbo, in stretta connessione con il tempio di Iuppiter Fulgur: entrambi gli Dei evocati da Falerii. 


GIUNONE SOSPITA

La Giunone di Lanuvio aveva un aspetto guerriero (Sospita), uno muliebre (in realtà di Dea Madre, Mater) e uno politico (Regina). Sono il retaggio dell'antica Dea Madre Natura dall'aspetto triforme: colei che dà la vita, che accresce (fornendo il cibo alle creature) e che dà la morte (in cui rientra l'aspetto guerriero).

Giunone Lanuviana, a seguito di un prodigium avvenuto a Lanuvio dopo il disastro del Trebbia (la lancia di Giunone Sospita si era agitata, un corvo era entrato nel tempio e si era posato sul pulvinar) ricevette una statua di bronzo, consacratale dalle matrone. 

Dopo la sconfitta del Trasimeno, le furono sacrificate delle hostiae maiores, e le matronae portarono un’offerta nel suo tempio, dove si celebrò anche un lectisternium, Ma pure all’avvicinarsi di Asdrubale, nel 207 a.c. la Dea ricevette di doni e cerimonie. 

Gli aruspici affidarono l’espiazione a venticinque matrone, scelte tra quelle convenute da Roma e dintorni per ordine degli edili curuli, che portarono al tempio della Dea un bacile d’oro, ottenuto dalla donazione attinta dalla loro dote nuziale. 


GIUNONE CAPROTINA

Fidene, dopo essersi ribellata ai Romani in favore dei Veienti, fu assediata e conquistata dai romani nel 426 a.c. e sembra fosse avvenuta un’evocatio, riguardante Giunone Caprotina. Tutte le città furono inoltre devotae (cioè consacrate agli Dei Inferi) sicuramente Veio, Fidene, Cartagine, e probabilmente Numanzia e Falerii. 

TEMPIO DI CIBELE SUL PALATINO

CIBELE UNA SIMIL GIUNONE REGINA

Nel culto frigio di Cibele, divenuto pubblico probabilmente sotto l’imperatore Claudio che dette luogo poi ai ludi Megalenses,  il 15 marzo una processione di donne si recava al tempio della Dea sul Palatino portando delle canne; il 22 un apposito collegio di dendrophoroi recava al tempio un albero di pino con cembali e timpani sui rami e il tronco ornato da bende e ghirlande. 

Le somiglianze tra Giunone Regina e Cibele ci sono, a partire dal cipresso che Ippocrate indica curativo eccessivo flusso mestruale (per le effettive capacità astringenti), sterilità, dolori delle donne gravide. Dopo la guerra punica Giunone Regina ricevette altre manifestazioni di devozione. La prima è il tempio votato da Marco Emilio Lepido nel 187 a.c. durante la battaglia conclusiva contro i Liguri, costruito insieme con un altro a Diana nel circo Flaminio e dedicato il 23 dicembre del 179 a.c.  


EXORATIO DI GIUNONE

Servio afferma che nella II guerra punica Giunone fu exorata, vale a dire supplicata. Forse per ordine dello stesso Scipione, venne rivolta una preghiera solenne alla protettrice di Cartagine, ma senza evocatio perché non si trattava di conquistare una città, sia per propiziare la definitiva sconfitta dei Cartaginesi, sia alla luce del pio atto di Annibale, tornato in patria nel 203 a.c., temendo forse una possibile recrudescenza dell’appena sopita ostilità di Giunone verso i Romani. 

In Silio Italico è proprio Giunone a far tornare sui suoi passi Annibale, giunto sino alle porte di Roma. Inoltre è ben noto l’episodio per il quale, avendo ordinato di asportare la colonna d’oro massiccio del tempio di Giunone Lacinia, la Dea gli apparve in sogno intimandogli di desistere dal sacrilegio, pena la perdita dell’unico occhio rimastogli. 

Il generale cartaginese, atterrito, fece modellare una vacca con la limatura d’oro derivata dalla trivellazione della colonna (eseguita in precedenza per verificare che fosse d’oro anche all’interno) e la fece porre sulla sommità della stessa; innalzò inoltre un altare in cui fece scolpire in greco e in punico il racconto delle sue imprese. 


EVOCATIO DI VENERE ERICINA

Blomart, invece, individua un’altra evocatio nel trasferimento a Roma di Venere Ericina, durante la II guerra punica ad opera di Fabio Massimo. Ma l'evocatio non avvenne perchè Venere, alla stregua di Cibele, ricevette da subito un tempio all’interno del pomerio, perchè agli occhi dei Romani, ella non era affatto straniera, ma da lungo tempo importata dalla greca Afrodite nonchè dall'etrusca Turan.

DEVOTIO HOSTIUM

EVOCATIO E DEVOTIO HOSTIUM  DI CARTAGINE

Nella III guerra punica la città dimora della Dea fu lungamente assediata ed infine distrutta nel 146 a.c. Con l’elezione a console Publio Cornelio Scipione Emiliano, già distintosi nella carica di tribuno militare, poté ottenere la provincia d’Africa dove ripristinò la disciplina e poi s’impossessò del suburbio di Cartagine chiamato Megara. 

Successivamente, circondato e isolato l’istmo con terrapieni, anche per intercettare i rifornimenti provenienti dal mare, dette inizio all’assedio vero e proprio, che fu lungo e difficile. Cartagine si ritrovò completamente isolata, sia per l’azione dei Romani, sia per il sopraggiungere dell’inverno, quando la navigazione s’interrompeva. Scipione invece poté così prendere il porto interno, per poi volgersi alla parte più munita dell’abitato.

L’evocatio di Giunone Celeste avvenne in questo momento dell’assedio, sia perché precedente l’attacco alla città vera e propria, sia per l’episodio relativo al tempio di Apollo. Al mattino infatti, 4000 soldati ne saccheggiarono il tempio, rubando tutto l’oro di cui l’edificio sacro era ricco e distruggendo la statua del Dio per impossessarsi della sua copertura in oro, azione possibile perché gli Dei avevano ormai abbandonato la città «desacralizzata».

Dinanzi alle mura di Cartagine, fu dunque celebrata un’evocatio di cui, grazie ai Saturnalia di Macrobio, conserviamo il testo integrale, assieme a quello della c.d. devotio hostium. Secondo Plinio,  l’evocatio era un sacrum ancora ben conosciuto al suo tempo e custodito in pontificum disciplina. 

Il primo passo dell'Evocazio era l'invocatio:                                                                                                  " Si deus si dea est, cui populus civitasque Charthaginienis est in tutela, teque maxime, ille qui urbis huius populique tutelam recepisti ".

Subito dopo l’invocatio, così come accade di consueto nel carmen, seguono uno o più verbi designanti la preghiera: " venerorque veniamque a vobis peto "  Agli Dei di Cartagine viene richiesto di infondere nella popolazione metus (paura), formido (timore religioso) e oblivio (dimenticanza dei numi tutelari della città consentendo loro di abbandonare la vecchia dimora in favore di Roma ). 

" Si ita feceritis, ut sciamus intellegamusque, voveo vobis templa ludosque facturum ". (Se gli Dei manifesteranno in modo chiaro l’accettazione del voto, esaudendo la richiesta contenutavi, riceveranno quale ringraziamento templi e giochi). 

L’eventuale rottura non era certo imputata al Dio, ma a demeriti umani, unica causa dell’ira divina e della conseguente rottura della pax deorum. La sola libertà che aveva l’uomo era di non offrire alla divinità quanto pattuito se il voto non veniva esaudito. 

Mentre si pronuncia il carmen evocationis, si devono sacrificare delle vittime, con ripetizione del sacrificio in caso di vittime non adatte. Il carmen seguiva le regole dell’extispicina etrusca, anzitutto con l’esame delle viscere onde ottenere conferma della buona disposizione del Dio; ora rimane solo da lanciare l’assalto alle mura civiche ed eventualmente, in un secondo momento, dedicare quanto pattuito. Scipione non dedicò alcun tempio alla Dea di Cartagine, forse per la mancata traslazione a Roma della statua. 

Entrati in città, i soldati iniziarono un massacro di sei giorni e sei notti, concluso il settimo giorno con il sacrificio degli ultimi Cartaginesi e dei disertori romani, che incendiarono il tempio di Eshmun (Esculapio), trovandovi la morte. Cartagine fu saccheggiata per giorni, votata agli Dei inferi e sulle sue rovine fu tracciato un solco in cui venne sparso il sale. Scipione pianse sulle sue rovine ma celebrò a Roma il suo trionfo. 

Però secondo i termini del voto, Scipione indisse alla fine della guerra dei ludi di ringraziamento. Quanto alla statua di Giunone Celeste, non possiamo asserire con certezza se sia stata trasportata a Roma, come avveniva solitamente a seguito di un’evocatio. 


MINERVA CAPTA

Minerva Capta giunse a Roma da Falerii nel 241 a.c. assieme a Iuno Curitis e Ianus Quadrifrons portata a Roma dopo la conquista della sua città: da ciò il suo status di «prigioniera», o come «presa», «accettata». 

È probabile che la Minerva di Falerii avesse già l’epiteto che la caratterizzava o che potesse essere già da tempo «avvinta» da catene o altri legami, le statue di culto erano legate per limitare divinità considerate pericolose, per «liberare» la loro benevolenza in occasione della festa annuale loro dedicata, oppure per il timore che potesse abbandonare i propri protetti, anche a seguito di un’evocatio, stesso principio per cui la Nike di Atene era rappresentata senz’ali, a significare che non avrebbe mai dovuto abbandonare la città. 


EVOCATIO A VOLTUMNA - VORTUMNUS

L’accordo delle fonti viene meno già per quanto riguarda il nome: Vertumnus lo chiamano Properzio e Ovidio, Vortumnus la fonte più antica, Varrone. La città considerata la dimora di Vortumno è Bolsena, che nel 264 a.c. venne distrutta dai Romani e gli abitanti trasferiti in una nuova sede, pianeggiante e meglio controllabile. La maggior parte degli studiosi però la considera Orvieto, con alto grado di difendibilità, rafforzato da fortificazioni.  

Volsinii: questa fu di nuovo sconfitta con Roselle e con Perugia e Arezzo chiese la pace.  La storia dell’antica Volsinii termina nel 265/264 a.c. con la conquista della città, la sua distruzione e la deportazione degli abitanti sulle rive del Lago di Bolsena. 

Volsinii fu depredata, insieme forse al Fanum Voltumnae: la ricchezza del bottino è indicata da circa duemila statue di bronzo, alcune delle quali poste nell’area sacra del Foro Boario, vicino al tempio di Fortuna e Mater Matuta, il monumento dedicato dal console M. Fulvio Flacco, trionfatore de Vulsiniensibus, recante l’iscrizione: "M. Folvios Q. f cosol dedet Volsinio capto". 

Properzio fa asserire a Vortumnus di aver abbandonato la sua città "inter proelia"; vi è stato un votum che portò alla dedica di un tempio; la città subì una devotio hostium, praticabile solo dal detentore dell’imperium (il console M. Fulvio Flacco) che prevedeva l'evocatio della divinità tutelare per non compiere un sacrilegio. 

Quanto alla statua del Dio, essa continuò a godere del culto dei fedeli fino ad età tarda, considerato che al tempo di Diocleziano ci si preoccupò di restaurarla. Poi il cristianesimo azzerò tutto e tutte le statue di bronzo pagane vennero fuse.


FANUM VOLTUMNAE

Presso Volsinii era il famoso Fanum Voltumnae, forse nell’area di Campo della Fiera, dove resti murari e reperti indicherebbero un importante santuario extraurbano. Vi si accoglievano i concilia annuali della lega etrusca, per decidere su guerre, economia e riti comuni. Il Dio del fanum era Voltumna, nominato da Livio. Per molti Voltumna era una Dea, ma sembra fosse una divinità maschile.

Ancora Voltumna e Vortumnus nel 264 a.c., ci riportano all’evocatio, poichè sembra che prima di distruggere Volsinii M. Fulvio Flacco ne avrebbe evocato Vortumno. Nella IV elegia di Properzio, il Dio narra di come la statua lignea originaria fosse stata sostituita da un’altra di bronzo forgiata da Mamurio Veturio, l’artista che forgiò gli ancilia di Marte. Il sito si individua tra il Velabro e il Foro Romano, all’angolo SE della basilica Iulia, da dove la statua del Dio poteva guardare il foro. 

Infatti M. Fulvio Flacco celebrato un trionfo sui Vulsiniensis, con l'enorme bottino, fa erigere un donario in pietra nel Foro Boario e un tempio sull’Aventino, ad ovest delle Terme Surane secondo un frammento della forma urbis severiana.

L’Aventino si trovava al di fuori del pomerium, luogo dedicato all’erezione di edifici sacri di divinità straniere, già vi si trovava il tempio di Diana Aventina e quello di Iuno Regina, risalente al 392/391 a.c., votato da Furio Camillo per accogliere il simulacro della Dea protettrice di Veio, evocata nel 396 a.c. 

Il santuario fu ricostruito (o ridedicato) da Furio Camillo probabilmente dopo l’incendio gallico, secondo il votum del 396 a.c., poco prima della partenza per Veio. Vi sono state rinvenute tracce di donari, dei quali uno almeno è quello eretto da M. Fulvio Flacco e ornato da alcune delle statue bronzee provenienti da Volsinii. 


EVOCATIO A MATER MATUTA, A DIANA ERICINA

Sul margine settentrionale dell’area Servio Tullio fece erigere intorno al 580 a.c. due templi gemelli dedicati a Fortuna, forse introdotta dallo stesso re, e a Mater Matuta, proveniente da Satrico, sembra tramite un’evocatio. 

Il tempio di Diana e quello di Voltumna-Vortumnus erano divinità protettrici delle due leghe etrusca e latina, che Roma incorporò e a cui dedicò il tempio dove il rex Nemorensis tributava il culto a Diana Aricina e il Fanum Voltumnae. Per entrambe si è ipotizzata un’evocatio, come nel caso di Iuno Regina, forse collegato al tempio di Fortuna nel Foro Boario. 


EVOCATIO ISAURA VETUS

Nel 1970 venne scoperto a NO di Bozkir, nell’attuale Turchia centro-meridionale, un’iscrizione su un blocco di granito relativa alla conquista della città di Isaura Vetus da parte di Publius Servilius Vatia, console nel 79 a.c., e l’anno dopo proconsole di Cilicia con il compito di contrastare i pirati, dove riportò notevoli successi, occupando le coste della Licia e della Panfilia, avanzando poi attraverso il Tauro (primo tra i Romani) e sottomettendo definitivamente gli Isauri nel 75. 

Il testo dell’iscrizione recita: Serveilius C(aii) f(ilius) imperator, hostibus victeis, Isaura Vetere capta, captiveis venum dateis, sei deus seive deast, quoius in tutela oppidum vetus Isaura fuit, [x] votum solvit. Sembra dunque che di fronte alla città anatolica sia stata praticata l'evocatio.

Infatti si usa la formula cautelare sive deus sive dea e si specifica che il votum già pronunciato è stato sciolto, forse dei giochi, o un culto o un tempio. Si ipotizza anche una devotio hostium, cioè la distruzione della città, e di tutto ciò che in essa era contenuto, con la conseguente consacrazione alle divinità infere. Infatti gli abitanti sono stati venduti come schiavi. Inoltre P. Servilio Vatia poteva votare sacralmente una città, in quanto detentore dell’imperium. Fu proprio questa impresa, che mise fine alla guerra.


NEL CRISTIANESIMO

L’importanza dell’elemento «locale» è stato ereditato e mantenuto intatto nel Cristianesimo: gli Dei, i genii locorum, ma anche gli eroi in Grecia sono divenuti le Madonne e i santi. Proprio la Madonna è la figura maggiormente paragonabile a Giunone: entrambe in generale appartengono al tipo della «Grande Madre», ma con precise caratteristiche e competenze. 

Si va in pellegrinaggio alla Madonna di Pompei o di Loreto pur essendovi in ogni città una chiesa dedicata alla Vergine, perchè ogni Madonna è «specializzata» quasi fosse un’entità diversa. Per esempio la Madonna della Vittoria (Venus Victrix di Cesare), cui Onorato IV Caetani votò e, dopo la battaglia di Lepanto, dedicò una chiesa a Sermoneta. Nella stessa città la cattedrale è dedicata ad un’“altra” Madonna, S. Maria Assunta, che sorge sulle rovine di un tempio dedicato a Cibele.


BIBLIO

- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - VIII - IX -
- Alison E. Cooley - "History and Inscriptions, Rome" - The Oxford History of Historical Writing - ed. A. Feldherr & G. Hardy - Oxford University Press - Oxford - 2011 -
- Gerardus van der Leeuw - Phanomenologie der Religion - 1933 -
- René Girard - La violence et le sacré - 1972 -
- Cicerone - De natura deorum - II -
- S. Agostino - De civitatis Dei - VII -


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