FACCIATA DI SAN SILVESTRO E MARTINO AI MONTI |
La basilica dei Santi Silvestro e Martino ai Monti, anche conosciuta come Chiesa di San Martino ai Monti, è una chiesa cattolica, di titolo cardinalizio, del centro storico di Roma, situato nel rione Monti, e affidato da secoli ai frati carmelitani dell'antica osservanza, ovvero l'Ordine dei fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo (Ordo Fratrum Beatissimae Mariae Virginis de Monte Carmelo), detti più semplicemente carmelitani dell'ordine mendicante.
Gli ordini mendicanti, sorti tra il XII e il XIII secolo, osservavano rigorosamente un voto di povertà che implicava la rinuncia ad ogni proprietà non solo per gli individui, ma anche per i conventi, e che traevano sostentamento unicamente dalla raccolta delle elemosine, la cosiddetta questua.Il voto di povertà può essere: solenne. per cui si perde in perpetuo ogni diritto di proprietà e ogni altro diritto sulle cose temporali che prima del voto erano in suo possesso, oppure semplice. in questo caso chi emette il voto non perde la proprietà dei beni già posseduti né la capacità di acquistarne altri, ma ne fa dipendere il possesso e l'usufrutto dalla volontà del suo superiore.
La Via di San Martino ai Monti collegava la via Merulana con piazza San Martino ai Monti, sulla quale si affacciano abside e facciata posteriore della chiesa di San Silvestro e San Martino ai Monti, nota più col nome di San Martino di Tours.
La chiesa, situata in via di Monte Oppio 28, fu fondata da papa Silvestro I (r. 314 - 335) su un terreno donato da un esponente della famiglia degli Equizi (da cui il nome di Titulus Equitii) nel IV secolo. Il titulus Equitii sorge nei pressi delle terme di Traiano accanto alla Domus Aurea.
L'ABSIDE |
Il titolus era la lastra di marmo che si applicava su un edificio e su cui era segnato il nome del proprietario. Dalla cripta posta sotto l’abside della chiesa di s. Martino è possibile accedere al cosiddetto Titulus Equitii. Il loro ingresso doveva essere proprio al lato dell’abside, sullo slargo prospiciente le torri, quindi sul lato destro del clivus, salendo.
Tramite la scalinata alla fine della navata centrale si scende nella cripta, dalla quale, attraverso una porticina sulla sinistra, un'ulteriore scala molto antica immette nel titulus. Quest'area divenne famosa e ricca per la costruzione della Domus Aurea dell' imperatore Nerone, nonchè delle monumentali Terme di Tito e di Traiano, di cui permangono diversi resti a Colleoppio, come le Sette sale, che sono tuttora visitabili.
Sembra che in zona si collocasse anche un piccolo specchio d'acqua, il lago di Orfeo, che doveva trovarsi all'inizio del 'Clivus Suburranus', che corrisponde all'odierna Via dei Selci, che insieme al 'Vicus Sabuci' (Viale del Monte Oppio) costeggia le mura della Basilica.
Si tratta di un edificio in laterizio della prima metà del III secolo formato da una grande aula centrale di m 11 x 18, divisa da pilastri in due ali di tre campate ognuna, con volta a crociera ed un vestibolo che con tre porte si apriva sulla strada. Gli ambienti sembrano disposti ed adibiti più ad uso commerciale, quindi magazzini, che ad uso abitativo.
Nella navata centrale c'è la scalea, che scende nella cripta al di sotto dell'altare. Da quest'ambiente, attraverso una porticina sulla sinistra, si scende un'ulteriore scala e ci si trova all'interno del 'Titolo Equizio, dovuto a papa Fabiano (236-250 d.c.).
Il grande ambiente rettangolare in laterizio è diviso in tre navate con sei pilastri quadrangolari rivestiti in laterizio, per pianificarne la superficie e poterla affrescare. Esso risale al III sec., e faceva parte delle vicine terme, adibito poi a scopi commerciali: un mercato coperto o un magazzino. Presentava un mosaico a tessere bianche e nere e affreschi tutti intorno alle pareti. Alla fine del III sec. inizi del IV venne utilizzato per il culto cristiano. Un ulteriore più basso livello di sotterranei, non è ancora mai stato scavato per una certa ritrosia ecclesiastica.
Si suppone che in queste sale si tenne il Sinodo del 499 e quello del 595. Nel secondo sinodo il Titolo da Equizio, diventerà S. Silvestro. Simmaco amplierà il Titolo nel VI sec., includendovi una cavea del III secolo, scoperta fortuitamente nei lavori di restauro del 1930 e la cui utilizzazione è ancora incerta. Papa Sergio II (IX sec.), ordinò la costruzione della Basilica soprastante e contemporaneamente lo restaurò abbellendolo.
Dal pavimento sono però emersi frammenti di mosaico a tessere bianche e nere, e motivi ornamentali affrescati su alcune delle volte, degli inizi del III sec. quando l'edificio era ancora adibito ad usi commerciali. Poi, tra la fine del III secolo e l’inizio del IV fu usata per le assemblee del primo cristianesimo, finché divenne la basilica dei santi Silvestro e Martino.Dal Liber Ponificalis, si legge che papa Silvestro fece una chiesa con un proprio Titolo presso le Terme di Diocleziano, dove sorgeva la Fontana di Orfeo, forse per combattere il culto molto sentito di Iside e Semiramide o di Mitria; come per la “Basilica della Neve” a Santa Maria Maggiore che si vuole fosse contrapposta a Giunone Lucina per la fertilità e maternità così sarebbe avvenuto con il Titolo di Silvestro.
Nei due punti estremi di S. Eusebio e di S. Martino vediamo le tombe più antiche. Presso S. Eusebio fu dissotterrata l'unica urna cineraria a capanna, che siasi rinvenuta nei sepolcreti romani, vi si trovano sepolcri composti di cumuli di massi tufacei; e in generale somigliano agli antichissimi di Castel Gandolfo.
Ma mentre nelle tombe albane del 1° periodo non ho visto l'inumazione, in S. Eusebio diviene frequente e i vasi dotati di anse lunate fa somigliare il vasellame arcaico romano del periodo più antico a quello delle terremare dell'Emilia.
Nella necropoli romana scoperta in S. Martino, il vaso ad ansa lunata prende tutte le apparenze d'un rito funebre. Essa è formata di almeno sessanta tombe quasi tutte a inumazione, con vasellame indigeno, tutte formate da cumuli di massi tufacei irregolari, caratterizzate dal vaso ad ansa lunata. Il recinto di Servio Tullio taglia in mezzo la zona dei sepolcreti romani e divide le due estremità più antiche e contemporanee."
Si sa che nelle case, le quali non aveano peristilio, il sacrario si facea nel cavedio, o nell'atrio. Il larario ha la forma di una edicola, sormontata dal suo frontone ed isolata, tranne la parte posteriore, aderente alle pareti del cortile.
La volta era dipinta di rosso: dipinti a diversi colori pure gli stucchi delle cornici che adornano la nicchia principale dov'è la statua della Fortuna-Iside, e le minori laterali, di forma quadrata, ov'erano le immagini dei Lari e dei Penati. Il pavimento di marmi (Uthostroton) è formato di tanti segmenti romboidali, alternati di marmo bianco e di nero. L'altezza della edicola è poco più di tre m. Faccio seguire la descrizione sugli oggetti rinvenuti.
1. Iside-Fortuna, marmo pentelico; alta m. 1,50. Conservazione quasi perfetta, mancando soltanto un dito della mano sinistra e la punta della cornucopia. Mantiene qua e là, specie nel volto, chiarissime tracce della doratura. Era posta nella nicchia principale del larario.
La dea ha la testa cinta di ghirlanda sormontata dal disco lunare posto fra due serpenti da cui si erge un gruppo di spighe. Ha i capelli divisi sulla fronte e riavviati verso l'occipite, dove formano un nodo, che lascia due ciocche pendenti sulle spalle.
Che sia Iside-Tiche lo dimostrano il governale poggiato sul globo, il mazzolino di spighe che porta in mano, e sulla testa (Isis fugifera caelestis Orell. 1894); ma specialmente il disco lunare con i due serpenti: questo è caratteristica d' Iside, come da Apuleio.
2. Giove Serapide: statuetta sedente in marmo lunense, alta m. 0,25. È acefala, e mancante di parte delle braccia, delle quali il sinistro era sollevato e si appoggiava allo scettro. Il nume siede sul suo trono a largo dorsale, con suppedaneo sotto i piedi. È vestito di tunica discinta, e di manto, che parte dal braccio sinistro e passando dietro il dorso scende a coprire le gambe. Presso la gamba dritta sta Cerbero.
3. Giove Serapide: busto con suo peduccio. Marmo lunense, m. 0,48, vestito di tunica, con manto sulla spalla sinistra. Ricordano il Giove di Otricoli, il peduccio è profilato di due tori ed una gola. La testa manca della punta del naso. Il busto è infranto al petto.
4. Giove con corona di quercia: attributo del Giove di Dodona in Epiro. Testa distaccata, come sembra, da un busto. Marmo greco, m. 0,18. Ha i capelli sollevati dalla fronte, e cinti di corona di quercia; ricorda un noto busto del museo di Parigi. La barba è meno ricca e prolissa che nel busto precedente. Manca della punta del naso.
5. Diana triforme: triplice statuetta. Le tre figure addossate sono acefale, e mancanti delle mani: conservano tracce di policromia. Marmo lunense, m. 0,32.
6. Venere: statuetta del tipo della medicea. Presso la gamba sinistra è il delfino cavalcato dal putto. Manca della testa, della parte media del braccio sinistro, e della gamba dritta, dal ginocchio fin sopra il piede. Marmo greco, m. 0,48.
7. Marte. Torso di statuetta virile ignuda, di bello stile e fino lavoro. Manca della testa, delle braccia, della gamba sinistra, della coscia e gamba dritta. I piedi, che posano a terra, sono conservati insieme col plinto. Sull'alto della coscia dritta resta un attacco del marmo, che doveva puntellare il braccio distaccato dal fianco: il braccio sinistro dovea essere piegato al gomito. Ricorda il noto Marte borghesiano del museo del Louvre.
8. Ercole: statuetta acefala, marmo lunense; alta m. 0,33. Oltre la testa, manca la mano sinistra. la parte anteriore del braccio dritto, e la gamba, dritta dal ginocchio fino al piede. Due bende, che ornavano la corona atletica, pendono sulle spalle, come si osserva in qualche altra immagine di Ercole. Presso il piede sinistro è una testa di toro, e su quella dovea appoggiare la clava, che reggea con la mano sinistra. Un tronco sostiene la gamba dritta: il braccio destro era distaccato dal fianco e sorretto da un puntello.
9. Ercole : erma architettonica. Ha la barba divisa in grandi ciocche, e la testa cinta da corona tortile, cui sono innestate alcune foglie: i nastri della corona si ripiegano dietro le orecchie, e lasciano i lembi pendenti sulle spalle. Gli occhi sono incavati, per ricevere le pupille di altra materia. Marmo lunense; m. 0,18.
10. Altro simile, molto corroso. Ambedue, sebbene trovati nei loculi del larario, sembra che in origine non dovessero essere destinati a tale uso, ma piuttosto per una decorazione architettonica. Altrettanto dicasi dell'oggetto seguente.
11. Arianna, o Baccante: piccola erma architettonica di giallo antico, assai danneggiata; alta m. 0,15. Ha i capelli ornati di pampini, e cinti da una benda; gli occhi sono incavati.
12. Frammento di statuetta rappresentante una Dea assisa su una seggiola, con dorsale lavorato a traforo. Manca della testa, delle gambe e delle braccia, assai danneggiata dal fuoco. Marmo lunense; alta m. 0,12.
13. Metà inferiore di statua accoccolata, con le ginocchia strette contro il petto, di stile egiziano. Marmo lunense; alta m. 0,24.
14. Uno dei cippi del Dio Horus. Una di quelle piccole stele che si usavano come talismani, e rappresentavano la vittoria del giovane e benefico Dio sopra i coccodrilli, i serpenti, ed altri animali venefici; e che si credeva potessero preservare dagli animali suddetti, in virtù delle magiche formule incise. Nella fronte sta il dio Horus che calpesta due coccodrilli, e nelle mani stringe una gazzella, un leone ed uno scorpione. Ai suoi lati si ergono dei serpenti. Nella parte superiore si vede il capo del Dio Bes, il principio maligno. La parte posteriore è occupata da leggende geroglifiche, che ricorrono ancora nella grossezza della pietra, ed in alcune parti della fronte. Basalto verde danneggiato dal fuoco. Alto m. 0,16 X m. 0,10..
15. 16, 17. Tre piccole basi quadrate di marmo, una sormontata da plinto rotondo: sul piano vi si veggono i fori che servivano ai perni. Non ha dubbio che vi fossero sopra delle figurine di bronzo, e probabilmente quelle dei due Lari e del Genio.
18. Antefissa di marmo. Vi è scolpita di alto rilievo un'aquila ad ali spiegate, con fulmine negli artigli. Marmo lunense; m. 0,30. 19-22. Quattro lucerne di tempi tardi. Un frammento di colonna di bigio morato; qualche pezzo di statua di grandezza naturale. Per la porticina dietro il larario, dal piano del cavedio sì discende nel mitrèo.
Questo nostro è mitrèo di ripiego; un'angusta cella quadrata, in una parete della quale, di fianco alla scala, è collocato in alto, sopra una tavola di marmo sostenuta da due mensole, il rilievo con la rappresentanza del Mitra taurottono.
Dinanzi alla immagine del nume sacrificante, si trovarono i sette foculi o pirèi allegoria dei sette pianeti del sistema solare, ed insieme dei sette gradi delle iniziazioni mitriache. Appiè del piccolo santuario sta collocata in terra l'ara, formata di un capitello ionico volto sossopra e incavato, cui serve di sostegno un pilo riquadrato."
LE DIVERSE OPINIONI
Questo ha spinto alcuni studiosi ad identificare questa struttura con il Titulus Equitii, ma secondo Hugo Brandenburg, non sembra che sia possibile che sia servita come un posto per riunioni per una comunità ampia e per le sue esigenze liturgiche: lo scopo originale di questa modesta sala "... fu probabilmente di servire come spazio di immagazzinamento per usi commerciali."
Attualmente l'ambiente sottostante la chiesa di San Martino ai Monti, è suddiviso in più locali, che ricalcano l’impianto originario; dove sono esposti vari reperti archeologici appartenenti al Titulus: frammenti dell'antico presbiterio, colonnine d'altare, capitelli sarcofagi, tegole (risalenti all'era di Teodorico), ecc.
SOTTO LA CHIESA |
Dei numerosi affreschi che decoravano le pareti e la volta, ne rimangono solo labili tracce. In uno degli ambiente è ancora visibile una porzione del pavimento di epoca romana del III sec.; oltre ad un altare con un mosaico raffigurante S. Silvestro del VI sec. E’ esposta inoltre la cassa in legno che racchiudeva le spoglie di San Giuseppe Tomasi di Lampedusa, primogenito di don Giulio Tomasi, duca di Palma e principe di Lampedusa, e di Rosalia Traina, baronessa di Falconeri e di Torretta.
Da bambino ricevette anche una ferrea educazione cristiana e presto volle diventare sacerdote. Nel 1664, i genitori gli permisero di entrare a far parte dei padri Teatini. Il 25 marzo 1666 rinunciò alla primogenitura e cedette i suoi diritti patrimoniali e feudali al fratello minore, don Ferdinando.
- Nel 500, la chiesa fu ricostruita e dedicata ai santi Martino di Tours ed a papa Silvestro I da papa Simmaco. In questa occasione, la chiesa fu sopraelevata ed il primo oratorio divenne sotterraneo.
- Nel 722 fu ricostruita di nuovo da Adriano I nel 772 e da Sergio II nell'845. La struttura della chiesa attuale segue la chiesa antica e molte parti sono state riusate.
INTERNO DELLA CHIESA |
PAPA SILVESTRO I |
Silvestro poco potè influire sulla Chiesa, totalmente gestita dalla vastissima autorità di Costantino che gestì il potere e le attività della Chiesa per tutta la vita di Silvestro e oltre.
La cosiddetta Donazione di Costantino, per cui la Chiesa ha giustificato il suo potere temporale con una legge costantiniana, è stata dimostrata falsa, in quanto venne redatta a Roma tra il 752 e il 777.
La leggenda più popolare narra che un terribile drago viveva in una caverna sul Palatino, con un alito pestifero che uccideva i passanti. Papa Silvestro andò dal mostro, con il solo crocifisso in mano, invocò la Vergine e il drago divenne mansueto, cosicchè il Papa, fregandosene del miracolo lo fece uccidere dai cittadini romani. Anzi i sacerdoti pagani si convertirono. il corpo del drago fu seppellito nel tempio di Castore e Polluce e Papa Silvestro ordinò di edificare nei pressi la chiesa di S. Maria Liberatrice, colei che libera dai draghi, che all'epoca erano una vera calamità!
LE DUE TORRI |
DIETRO LA CHIESA IN UNA STAMPA D'EPOCA |
In conseguenza dei tumulti provocati in Africa dai Donatisti, intransigenti contro chi avesse abiurato al cristianesimo per evitare il martirio, Costantino, scavalcando l'autorità di Silvestro, convocò un concilio ad Arles, che ribadì la condanna del movimento donatista.
La Chiesa di Roma non fu invitata dall'imperatore, i donatisti proseguirono le rimostranze e la Chiesa d'Africa subì varie violenze, su cui Costantino operò dure repressioni che si protrassero per oltre tre secoli. Fu Costantino a stabilire l'esclusiva competenza dei tribunali ecclesiastici sulle questioni riguardanti la fede ed esentò il clero cristiano dai servizi civili.
Ad Alessandria d'Egitto si andava affermando la predicazione di Ario, un presbitero che affermava che Gesù era "adottato" da Dio come figlio, negando la sua essenza divina. Nonostante la scomunica, continuò a fare proseliti, soprattutto in Oriente. Intanto Costantino aveva convocato, nel 325, il concilio a Nicea di cui Costantino era presidente onorario.
Fu confermata la condanna dell'arianesimo ma, senza concordarlo con Silvestro, Costantino convocò nel 335, a Tiro, un nuovo concilio di soli vescovi ariani, che deposero il vescovo anti-ariano Atanasio nonostante le rimostranze di Silvestro.
- 498 - 514 Papa Simmaco costruisce una Basilica sopra la precedente casa e la dedica a S. Martino di Tour-
- Liber Pontificalis - edizione Duchesne I - introduzione, cix sq. -
- B. Catanzaro, F. Gligora - Breve Storia dei papi, da San Pietro a Paolo VI - Padova - 1975 -
- Marco Carpiceci e Alberto Carpiceci - Come Costantin chiese Silvestro d'entro Siratti - Kappa - Roma - 2006 -
- Claudio Rendina - I Papi - Storia e segreti - Newton & Compton - Roma - 1983 -
- Hugo Brandenburg - Ancient Churches of Rome from the Fourth to the Seventh Century: The Dawn of Christian Architecture in the West - Brepols - 2005 -
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