ERIS (fig. 1) |
LA DEA CHE CORRE IN GINOCCHIO
Eris era la Dea della discordia, colei che consegnò a Paride il fatidico pomo della discordia tra Dee. I pomi hanno spesso combinato guai, da quello che Eva ebbe l'ardire di porgere ad Adamo a quello del giardino delle Esperidi guardato da un drago.
Ma dove corre Eris nella fig, (1) qua sopra? Ha un ginocchio a terra e uno sollevato con n braccio sollevato e uno abbassato, quasi a formare l'immagine di una svastica. l'immagine non era tranquillizzante perchè la Dea corre incessantemente, non ha sosta, proprio come il tempo, che è poi quel che rappresenta.
Ma perchè il tempo porta discordia? Perchè porta ansia e terrore, perchè il tempo è inesorabile e l'essere umano è "a tempo determinato", cioè conduce alla morte, pertanto è negativo. Però la Dea è sorridente, è ben vestita e ingioiellata, con collana e due braccialetti, tutti e due a forma di serpente che, si sa, è il simbolo della Madre Terra che in altre parole è la Natura con i suoi cicli.
La Chioma fluente è simbolo di istinto libero (infatti alle donne veniva imposto di legare i capelli, tante volte fossero troppo libere, mentre dovevano essere di costumi "castigati" (da notare la vicinanza tra i termini casto e castigato). I Greci credevano che la sua casa fosse in Tracia ed Erodoto e Plinio descrivono entrambi una terra settentrionale nota come Hyperborea ("Oltre il Vento del Nord"), dove le persone vivevano in completa felicità e avevano una vita straordinariamente lunga
Nel sec. VI a.c., in Grecia Nike è un'antica Titanessa o Titanide, appartenente a quella razza detronizzata da Giove e che venne ricacciata negli abissi, ma Nike non venne cacciata e continuò ad essere raffigurata nel classico schema arcaico detto della “corsa in ginocchio”, con torso di prospetto e ali falcate, come nella celebre Nike di Delo attribuita ad Árchermos di Chio.
Secondo Omero (per alcuni intorno al 1200 a.c., per Erodoto intorno all'850 a.c.) i Titani furono tre: Giapeto, Rea e Crono; Esiodo (fra l’VIII e il VII secolo a.c.) invece, riferisce nella Teogonia che furono dodici: sei maschi (Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto, Crono) e sei femmine (Tea, Rea, Temi, Mnemosine, Febe e Teti). Dal più giovane dei Titani, Crono, derivò la generazione degli Olimpi.
In Esiodo i Titani, tutti giganti e di forza prodigiosa, sono protagonisti della cosiddetta Titanomachia, che narra la lotta di Zeus e degli altri dei dell’Olimpo contro i Titani per la conquista del trono celeste.
Egli era inoltre rappresentato con i compedes, le fasce di lana ai piedi caratteristiche degli schiavi. Infatti nei Saturnalia, celebrati dal 17 di Dicembre, c'era totale libertà per gli schiavi che potevano banchettare con i padroni, da cui venivano anche serviti.
Dunque Saturno era una divinità, e quindi una festività, che promuove la trasgressione dell'ordine vigente per rigenerare forse, come alcuni studiosi ipotizzano, un ordine migliore del precedente, o almeno per permettere un progresso nei costumi.
Sia il Saturno che le sue feste, i Saturnalia, collegate alle Kronia di Atene, rievocano l'Era Aurea (aurea aetas), o Età dell'oro, priva di conflitti e di differenze sociali, quando regnava la prosperità e l'abbondanza e queste non erano frutto della fatica e della sofferenza. Durante tali festività i tribunali venivano chiusi e si evitava di provocare una guerra.
« La maggior parte della Grecia, e soprattutto Atene, a Saturno
celebra feste, che da loro sono denominate Cronie,
e festeggiano quel giorno: per campi e per città quasi tutti
banchettano in letizia e servono ciascuno
i propri schiavi e tale costume passò di là ai nostri parimenti,
sicché gli schiavi mangiano a tavola con i propri padroni. »
Ma dove corre Eris nella fig, (1) qua sopra? Ha un ginocchio a terra e uno sollevato con n braccio sollevato e uno abbassato, quasi a formare l'immagine di una svastica. l'immagine non era tranquillizzante perchè la Dea corre incessantemente, non ha sosta, proprio come il tempo, che è poi quel che rappresenta.
Ma perchè il tempo porta discordia? Perchè porta ansia e terrore, perchè il tempo è inesorabile e l'essere umano è "a tempo determinato", cioè conduce alla morte, pertanto è negativo. Però la Dea è sorridente, è ben vestita e ingioiellata, con collana e due braccialetti, tutti e due a forma di serpente che, si sa, è il simbolo della Madre Terra che in altre parole è la Natura con i suoi cicli.
IL DIO CHE CORRE IN GINOCCHIO
Qui sopra però c'è il vento Borea che a sua volta corre in ginocchio con le ali spiegate. E' anche lui un Dio, ma che c'entra con il tempo? C'entra perchè il tempo corre come il vento e Borea è il freddo Vento del Nord. Il Dio, figlio del titano Astreo e di Eos, quindi anch'esso Titano, viene anche raffigurato come un uomo barbuto ed alato, con due volti e la chioma fluente.
I due volti simboleggiano passato e futuro, come Antevorta e Postvorta, ma nella trasformazione sempre più patriarcale dei costumi e dei miti le Dee diventano Dei. Nella mitologia romana Borea corrisponde ad Aquilone.
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LA NIKE CHE CORRE IN GINOCCHIO
NIKE DI DELO FIG. (3) |
La lotta si conclude con la sconfitta dei Titani, fatti precipitare nel Tartaro. Fine dei Titani e fine della corsa in ginocchio.
Dunque i Titani erano contrari al nuovo dominio di Zeus per cui ne nacque una guerra che durò dieci anni, detta Titanomachia.
LA GORGONE CHE CORRE IN GINOCCHIO
Ma ancora più rappresentata con la sua corsa in ginocchio è la Gorgone, di origine orientale, che fiorì nell'arte greca e soprattutto corinzia, tra il sec. VII e il VI a.c., nel tipo del mostro con occhi enormi, bocca ricurva e aperta da cui pende la lingua e spuntano le zanne, capelli a ciocche serpentiformi, grandi ali sulle spalle e ai piedi.
La Gorgone fa veramente paura perchè coi secoli la paura della morte aumenta, tanto è vero che alla fine viene vinta dall'eroe immortale, sfidando tutte le leggi naturali. Infatti la Gorgone finisce per essere uccisa da Perseo che, aiutato da Athena, la quale gli svela che non può guardarla negli occhi altrimenti pietrifica, la combatte guardandola attraverso uno specchio.
Naturalmente ciò che pietrifica è la paura della morte, perchè la sua idea, ovvero il suo concetto, fa perdere ogni energia, terrorizza, così Perseo la uccide tagliandole la testa, ovvero la toglie dalla sua testa.
Perseo, come tutti gli uomini, non ci pensa più e continua a vivere come fosse immortale, dannandosi a conquistare beni, ricchezze e onori come se non dovesse abbandonare tutto con la morte.
La Gorgone (greco Gorgo, tardo Gorgónē; latino Gorgo-ŏnis) è solo una delle tre sorelle (Steno, Euriale e Medusa) figlie di Forco e Ceto.
Esse avevano ali d'oro, mani artigliate di bronzo, zanne di cinghiale e serpenti al posto dei capelli; pietrificavano chiunque le fissasse. Di esse solo Medusa (la Gorgone per eccellenza), era mortale e venne uccisa da Perseo.
Infatti in età greca arcaica la Gorgone è raffigurata nell'atto di essere decapitata da Perseo (metopa del tempio C di Selinunte), oppure in fuga nel tipico schema della corsa in ginocchio (frontone del tempio di Artemide a Corfù; lastra fittile policroma dell'Athenaion di Siracusa).
La sola testa della Gorgone, o gorgoneion, con valore di maschera apotropaica ricorre poi come motivo decorativo su frontoni, metope, antefisse di templi, nei vasi a rilievo, nella ceramica dipinta, nella scultura, nei bronzi (cratere di Vix), nelle armature e negli scudi.
Secondo una tarda leggenda evemeristica (secondo cui gli Dei altri non sarebbero che umani famosi divinizzati), le Gorgoni sarebbero state un popolo occidentale di donne guerriere. Il nome delle mitiche sorelle è entrato nel linguaggio comune a indicare una donna di aspetto orribile, sciatta e scarmigliata.
L'aspetto terrificante della Gorgone è particolarmente accentuato nell'arte etrusco-italica (antefisse di Veio). Di lei è rimasto un ricordo ma soprattutto difensivo e ornamentale, come colei che difende la soglia, il cosiddetto "guardiano della soglia" tanto caro poi alle chiese del medioevo.
Nel sec. V a.c., nella classica atmosfera dell'arte fidiaca anche la Gorgone tende a umanizzarsi, come nella Medusa Rondanini (Monaco, Antikensammlungen), dal volto composto e sereno, con piccole ali tra i capelli.
I due tipi (arcaico e classico) convivono nell'arte ellenistica e romana, dove la testa della Gorgone diventa solo decorativa. Tipiche le maschere di Medusa in bronzo delle navi di Nemi e quelle del Foro Severiano di Leptis Magna, dal violento chiaroscuro barocco.
Ma la divinità che corre in ginocchio, ovvero il "Tempus fugit" non fu ovviamente appannaggio solo del suolo italico e greco perchè anche l'Egitto ebbe il suo monito a chi volesse intendere, in questo caso come il Triplice Anubis, lo sciacallo umanizzato dal nero volto come lato oscuro della Dea Iside.
In oriente il simbolo, antichissimo divenne semplicemente una svastica, discusso simbolo al tempo della II Guerra Mondiale ma in realtà antichissimo simbolo del divenire, uno dei simboli più antichi nella storia dell'umanità, che ornò anche il petto del Budda
E ora passiamo al suolo italico, particolarmente illuminante una moneta di Crotone, in Calabria, nella quale c'è il gruppo, di Pitagora di Reggio, dell'Apollo combattente, che, il ginocchio piegato a terra, uccide il serpente Pitone. Come Perseo uccide la Gorgone, Apollo uccide il serpente Pitone, simbolo della Madre Terra e pertanto della Natura. L'Eroe sconfigge la morte, o almeno così si illude.
Il tempio di Artemide di Corfù che risale al 590 a.c. ha un'importante decorazione sul frontone, dove spicca una grande immagine di Gorgone. Si tratta della Gorgone Medusa, raffigurata in gloria tra i suoi due figli, Chrysaor (di cui si conserva il busto alla sua sinistra) e Pegaso (perduto, alla sua destra).
Secondo il mito quando Perseo, per volere di Polidette, re delle Cicladi, uccise Medusa decapitandola, dal corpo di questa nacquero due creature prodigiose: Chrysaor ('l'uomo dalla spada d'oro') e Pegaso, un meraviglioso cavallo alato. Perseo salì in groppa al destriero, mise la testa della Gorgone, per sottrarla al suo sguardo, nella bisacca magica, e fuggì.
La Gorgone-Medusa troneggia al centro nella posa della corsa con ginocchio a terra. Ella è l'inesorabilità del divenire che si riedita continuamente attraverso le morti e le nascite delle creature.
Dunque i Titani erano contrari al nuovo dominio di Zeus per cui ne nacque una guerra che durò dieci anni, detta Titanomachia.
Zeus si alleò con i Ciclopi e i Giganti dalle cento mani contro i Titani, figli di Urano e Gea, guidati da Atlante.
Alla fine, Zeus colpì Crono con la folgore e i Titani ribelli furono sconfitti.
Alla fine, Zeus colpì Crono con la folgore e i Titani ribelli furono sconfitti.
Zeus li punì duramente: Atlante venne condannato a reggere sulle spalle la volta del cielo; gli altri vennero gettati nel Tartaro (luogo di pena e di supplizio dell’Ade) ma le mogli dei Titani furono risparmiate per volontà di Rea.
Infatti con l'avvento degli Dei Olimpici alcuni Titani persistono, come Nike che però non corre più in ginocchio ma decreta le vittorie degli eroi tanto che a Roma assume il nome di Victoria che sancisce, oltre alle vittorie romane in guerra, le apoteosi della divinizzazione degli imperatori, a cominciare da quella di giulio Cesare che però imperatore non fu.
L'ERINNI CHE CORRE IN GINOCCHIO
Le Erinni furono personificazioni femminili della vendetta, chiamate poi Furie nella mitologia romana, che perseguitavano i rei, soprattutto chi colpisse la propria famiglia e i parenti. Anche qui sorge l'immagine di una Erinni che corre in ginocchio.
Come la Dea Discordia era una creatura inquietante, perchè rimandava ai cicli della natura nel suo avvicendarsi di vita e di morte. Così l'Erinni diviene nefasta perchè corre senza sosta avvicinando ogni giorno la data della nostra morte.
La Dea diviene così una persecutrice rispetto a tutti coloro che della morte non ne vogliono sapere. Negli antichi questa idea dava il coraggio in battaglia, tanto non era così grave morire prima o morire dopo, l'importante erano la patria e la gloria.
GORGONE DI SIRACUSA - FIG. (6) |
La Gorgone fa veramente paura perchè coi secoli la paura della morte aumenta, tanto è vero che alla fine viene vinta dall'eroe immortale, sfidando tutte le leggi naturali. Infatti la Gorgone finisce per essere uccisa da Perseo che, aiutato da Athena, la quale gli svela che non può guardarla negli occhi altrimenti pietrifica, la combatte guardandola attraverso uno specchio.
Naturalmente ciò che pietrifica è la paura della morte, perchè la sua idea, ovvero il suo concetto, fa perdere ogni energia, terrorizza, così Perseo la uccide tagliandole la testa, ovvero la toglie dalla sua testa.
Perseo, come tutti gli uomini, non ci pensa più e continua a vivere come fosse immortale, dannandosi a conquistare beni, ricchezze e onori come se non dovesse abbandonare tutto con la morte.
Esse avevano ali d'oro, mani artigliate di bronzo, zanne di cinghiale e serpenti al posto dei capelli; pietrificavano chiunque le fissasse. Di esse solo Medusa (la Gorgone per eccellenza), era mortale e venne uccisa da Perseo.
Infatti in età greca arcaica la Gorgone è raffigurata nell'atto di essere decapitata da Perseo (metopa del tempio C di Selinunte), oppure in fuga nel tipico schema della corsa in ginocchio (frontone del tempio di Artemide a Corfù; lastra fittile policroma dell'Athenaion di Siracusa).
La sola testa della Gorgone, o gorgoneion, con valore di maschera apotropaica ricorre poi come motivo decorativo su frontoni, metope, antefisse di templi, nei vasi a rilievo, nella ceramica dipinta, nella scultura, nei bronzi (cratere di Vix), nelle armature e negli scudi.
L'aspetto terrificante della Gorgone è particolarmente accentuato nell'arte etrusco-italica (antefisse di Veio). Di lei è rimasto un ricordo ma soprattutto difensivo e ornamentale, come colei che difende la soglia, il cosiddetto "guardiano della soglia" tanto caro poi alle chiese del medioevo.
Nel sec. V a.c., nella classica atmosfera dell'arte fidiaca anche la Gorgone tende a umanizzarsi, come nella Medusa Rondanini (Monaco, Antikensammlungen), dal volto composto e sereno, con piccole ali tra i capelli.
ANUBIS CHE CORRONO IN GINOCCHIO |
GLI ANUBIS CHE CORRONO IN GINOCCHIO
Ma la divinità che corre in ginocchio, ovvero il "Tempus fugit" non fu ovviamente appannaggio solo del suolo italico e greco perchè anche l'Egitto ebbe il suo monito a chi volesse intendere, in questo caso come il Triplice Anubis, lo sciacallo umanizzato dal nero volto come lato oscuro della Dea Iside.
In oriente il simbolo, antichissimo divenne semplicemente una svastica, discusso simbolo al tempo della II Guerra Mondiale ma in realtà antichissimo simbolo del divenire, uno dei simboli più antichi nella storia dell'umanità, che ornò anche il petto del Budda
E ora passiamo al suolo italico, particolarmente illuminante una moneta di Crotone, in Calabria, nella quale c'è il gruppo, di Pitagora di Reggio, dell'Apollo combattente, che, il ginocchio piegato a terra, uccide il serpente Pitone. Come Perseo uccide la Gorgone, Apollo uccide il serpente Pitone, simbolo della Madre Terra e pertanto della Natura. L'Eroe sconfigge la morte, o almeno così si illude.
Ai lati dei figli di Medusa vi sono due pantere accosciate, e nell' angolo a destra c'è Zeus che solleva il braccio destro con un fascio di fulmini (rappresentati con un doppio fascio di fiori di loto) che scaglia contro un Titano vinto; a sinistra è invece un uomo seduto (forse Priamo) che viene trafitto con una spada.
EOS RAPISCE KEPHALOS - MUSEO DI GELA |
Ed ecco l'arula fittile di Eos che rapisce Kephalos. L'aruola è un'arapure Eos (l'Aurora), alata e a volte fornita di nimbo, ma non in questo caso, che procede in corsa o in volo recando tra le braccia Kephalos dopo averlo rapito. Si tratterebbe della prima versione del mito, che vuole Eos invaghita del giovane eroe cacciatore, Kephalos, figlio di Hermes e di Herse, che diverrà così il suo sposo.
In Etruria alla Dea greca dell'Aurora corrisponde sostanzialmente la divinitä astrale Thesan, che precede o accompagna il Sole, (Usit) nel corso della levata. A epoca arcaica risalgono molti documenti epigrafici e iconografici che ne attestano il culto, sebbene indizi precoci si collochino già nel VII sec. a.c.
Ma il fatto è che qua sopra la Dea tra le braccia non tiene un cacciatore ma un bimbo, e che a meno di essere pedofila non può essere il suo amante. Infatti la Dea tiene fra le braccia un bambino, e lei corre con il classico ginocchio a terra, in quanto ancora una volta LEI RAPPRESENTA LA DEA DEL DIVENIRE.
Siamo di nuovo alla presenza della SVASTICA, ed è molto evidente, provate voi a correre con un ginocchio che sfiora la terra, è praticamente impossibile, non ci riuscirebbe nessuno. Ancora una volta la Dea è la Natura, ovvero l'ETERNO DIVENIRE, che nasce, cresce, muore e resuscita, nell'eterna reincarnazione di se stessa.
SATURNO |
IL DIO SATURNO
« Sed fugit interea fugit irreparabile tempus » cioè
« Ma fugge intanto, fugge irreparabilmente il tempo »
(Georgiche, III, 284, traduzione di Clemente Bondi)
Il Dio del tempo romano era Saturno, raffigurato come un anziano barbuto, vestito con un mantello e con in mano una falce.
Si riteneva che, scacciato dall'Olimpo, per un periodo avesse regnato nel Lazio, nella lontana età dell'oro, in un'epoca pacifica e di progresso.
Un giorno sarebbe improvvisamente scomparso, causando la decadenza progressiva dell'umanità.
Egli era inoltre rappresentato con i compedes, le fasce di lana ai piedi caratteristiche degli schiavi. Infatti nei Saturnalia, celebrati dal 17 di Dicembre, c'era totale libertà per gli schiavi che potevano banchettare con i padroni, da cui venivano anche serviti.
Dunque Saturno era una divinità, e quindi una festività, che promuove la trasgressione dell'ordine vigente per rigenerare forse, come alcuni studiosi ipotizzano, un ordine migliore del precedente, o almeno per permettere un progresso nei costumi.
Sia il Saturno che le sue feste, i Saturnalia, collegate alle Kronia di Atene, rievocano l'Era Aurea (aurea aetas), o Età dell'oro, priva di conflitti e di differenze sociali, quando regnava la prosperità e l'abbondanza e queste non erano frutto della fatica e della sofferenza. Durante tali festività i tribunali venivano chiusi e si evitava di provocare una guerra.
celebra feste, che da loro sono denominate Cronie,
e festeggiano quel giorno: per campi e per città quasi tutti
banchettano in letizia e servono ciascuno
i propri schiavi e tale costume passò di là ai nostri parimenti,
sicché gli schiavi mangiano a tavola con i propri padroni. »
(Lucio Accio, citato da Macrobio - Saturnali -)
Ma Saturno non è solo il Dio dell'abbondanza, ma è il Dio che ha insegnato agli uomini la tecnica dell'agricoltura e con essa la civiltà, e da qui deriverebbe l'accensione dei ceri durante i suoi riti, celebrati in occasione anche dell'apertura dei granai e della conseguente distribuzione del farro alla cittadinanza.
« Abitavano questi luoghi Fauni indigeni e Ninfe;
forti creature nate da tronchi di duro rovere;
non avevano civiltà di costumi, né sapevano aggiogare
tori, o raccogliere provviste, o serbare il raccolto,
ma gli alberi e la dura caccia li sostentavano di nutrimento.
Primo venne Saturno dall'etereo Olimpo,
fuggendo le armi di Giove ed esule del regno usurpato.
Raccolse la stirpe indocile e dispersa per gli alti monti,
e diede leggi e volle che si chiamassero Lazio
le terre nella cui custodia era vissuto nascosto.
(Virgilio - Eneide -VIII - traduzione di Luca Canali)
Saturno fu anche il fondatore di una comunità situata sul Mons Saturnus prima che questi venisse indicato come Capitolium, dopo essere giunto esule, via mare, scacciato dal suo regno, vivendo nascosto in quella regione che per questo motivo volle chiamare Latium (Lazio). Così anche Roma come anche l'Italia, fu indicata con il nome di Saturnia. Quindi come Giano ha la sua sede sovrana sul Mons Ianiculus, Saturno possiede il Mons Saturnus (Campidoglio).
Come alcune altre personalità divine ed eroiche delle storie romane, anche Saturno scompare come del resto scompare Romolo:
« Nel frattempo Saturno scomparve improvvisamente, e Giano pensò di attribuirgli maggior onore: anzitutto chiamò Saturnia tutta la regione sottoposta al suo potere, poi, come ad un dio, gli consacrò un altare con riti sacri che chiamò Saturnali. Di tante generazioni i Saturnali precedono l'èra di Roma! E volle innalzarlo alla dignità del culto in quanto artefice di una vita migliore: ne fa fede la sua effigie, a cui diede come attributo la falce, simbolo della messe. »
(Macrobio, Saturnalia, I, 7, 24)
Ma Saturno non è solo il Dio dell'abbondanza, ma è il Dio che ha insegnato agli uomini la tecnica dell'agricoltura e con essa la civiltà, e da qui deriverebbe l'accensione dei ceri durante i suoi riti, celebrati in occasione anche dell'apertura dei granai e della conseguente distribuzione del farro alla cittadinanza.
« Abitavano questi luoghi Fauni indigeni e Ninfe;
forti creature nate da tronchi di duro rovere;
non avevano civiltà di costumi, né sapevano aggiogare
tori, o raccogliere provviste, o serbare il raccolto,
ma gli alberi e la dura caccia li sostentavano di nutrimento.
Primo venne Saturno dall'etereo Olimpo,
fuggendo le armi di Giove ed esule del regno usurpato.
Raccolse la stirpe indocile e dispersa per gli alti monti,
e diede leggi e volle che si chiamassero Lazio
le terre nella cui custodia era vissuto nascosto.
Sotto quel re vi fu il secolo d'oro, che narrano;
così reggeva i popoli in placida pace;
finché poco a poco seguì un'età peggiore, che mutava
in peggio il colore, e la furia della guerra e del desiderio di possesso.»
finché poco a poco seguì un'età peggiore, che mutava
in peggio il colore, e la furia della guerra e del desiderio di possesso.»
(Virgilio - Eneide -VIII - traduzione di Luca Canali)
Come alcune altre personalità divine ed eroiche delle storie romane, anche Saturno scompare come del resto scompare Romolo:
« Nel frattempo Saturno scomparve improvvisamente, e Giano pensò di attribuirgli maggior onore: anzitutto chiamò Saturnia tutta la regione sottoposta al suo potere, poi, come ad un dio, gli consacrò un altare con riti sacri che chiamò Saturnali. Di tante generazioni i Saturnali precedono l'èra di Roma! E volle innalzarlo alla dignità del culto in quanto artefice di una vita migliore: ne fa fede la sua effigie, a cui diede come attributo la falce, simbolo della messe. »
(Macrobio, Saturnalia, I, 7, 24)
Narra la leggenda che la tomba di Saturno sia nascosta nel Lazio, o Latium, da latere (nascondere). Chi riesce a trovare questa tomba può aprirla e ritrovare, insieme al tempo, il seme d'oro della vita. Come a dire che scoprire e accettare la morte faccia scoprire il significato prezioso della vita e magari il mistero della sua riproduzione continua.
BIBLIO
BIBLIO
- Plutarco - Quaestiones Romanae -
- Macrobio - Saturnalia -
- Dionigi di Alicarnasso - Le antichità romane -
- Virgilio - Eneide -
- Ovidio - Fasti -
- Livio - Storie -
- Dario Sabbatucci - La religione di Roma antica - Milano - Seam - 1988 -
- Macrobio - Saturnalia -
- Dionigi di Alicarnasso - Le antichità romane -
- Virgilio - Eneide -
- Ovidio - Fasti -
- Livio - Storie -
- Dario Sabbatucci - La religione di Roma antica - Milano - Seam - 1988 -
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