L'ANFITEATRO |
Oggi si erige nella regione del Molise in provincia di Campobasso, ma le prime testimonianze di contesti abitativi partono dal V secolo a.c. con centri sepolcrali, spesso distrutti dall'espansione edilizia e dalla costruzione della ferrovia. Per il clima favorevole e la fertilità del terreno, ebbe un notevole sviluppo economico nel III secolo a.c. con un importante ruolo commerciale e crocevia di culture, tra la costa adriatica e l'area interna del Sannio.
Nonostante gli innumerevoli scavi e saggi archeologici non è ancora chiaro dove e quanto si estendesse la città, anche se presumibilmente, doveva occupare un’area triangolare, con al vertice l’anfiteatro ed i due lati uno verso la collina del Montarone (la zona più invasa dall'edilizia moderna) e l’altro verso Torre Sant'Anna (l'area della città romana più ricca di edifici pubblici e privati).
Solo a partire dagli anni Sessanta del Novecento fu esteso un primo vincolo archeologico alle aree immediatamente adiacenti all'anfiteatro, già abbondantemente urbanizzate. Dagli anni Settanta l’Amministrazione comunale, con l’istituzione della Soprintendenza archeologica del Molise, ha affrontato il tema della tutela di quelle aree ancora libere da costruzioni, evitandone lo sviluppo edilizio.
Il territorio era ottimo per edificare sia abitazioni che strade per la presenza di argilla e di calcare, nonchè di pietre di fiume, reperibili nel Cigno e nel Biferno. Certamente un'antica strada collegava Torre Sant'Anna con il fondovalle del Biferno, con l'area interna del Sannio Pentro, in direzione di Bovianum (Bojano), ed innestandosi sul tratturo Celano-Foggia entrava nella Daunia settentrionale, verso Luceria (Lucera).
Un'altra strada andava dall'anfiteatro verso l’interno, in direzione di Casacalenda, dove sorgeva la necropoli romana, come è testimoniato dalle numerose epigrafi e lapidi funerarie rinvenute alla fine dell’Ottocento, quando fu costruita l'attuale stazione ferroviaria.
Un'altra strada ancora diretta verso il Montarone doveva collegare alla Piana di Larino e la costa adriatica. La città era d'altronde ubicata lungo la "Via Litoranea" che da nord costeggiava l'Adriatico fino a Histonium (Vasto) poi Larino, Sipontum (Manfredonia) fino a Brindisi prendendo il nome di Traiana Frentana.
IL NOME
Secondo la tradizione la sua fondazione risalirebbe al XII secolo a.c. per mano degli Etruschi, nel corso delle loro immigrazioni verso le fertili pianure della Puglia. Il primo nome della città sarebbe stato Frenter, come si desume da alcune monete ritrovate in agro larinese, da cui il termine Frentani.
È stata perfino avanzata l’ipotesi che le popolazioni che abitavano l’antica Larinum fossero discendenti degli antichi Liburni, provenienti dalle coste dell'attuale Dalmazia, attraverso l’Adriatico oppure con migrazioni via terra, alla fine dell’età del bronzo.
Secondo lo storico Giovanni Andrea Tria, con il passare dei secoli, il nome di Larinum fu deformato in Alarino, Larina, Laurino, Arino, Lauriano, fino a raggiungere in epoca romana il definitivo toponimo di Larinum.
I SANNITI
I Sanniti fanno ingresso nella storia dal 354 a.c. quando stipulano con i Romani un patto di non belligeranza per definire i limiti delle rispettive zone di espansione. Dal 343 a.c. al 290 a.c. ricominciano le lotte che si concludono con la sottomissione e la romanizzazione dell’Italia centro-meridionale.
Dopo l’umiliante sconfitta nella battaglia delle Forche Caudine subita nel 321 a.c. i Romani tentarono una serie di alleanze con diverse popolazioni sannite ottenendo la fedeltà di alcune tribù. Si pensa che i Sanniti discendessero dai Sabini, anche in considerazione del nesso etimologico fra Safinim, Sabinus, Sabellus, Samnis, Samnitis, riconducibili a una comune radice indoeuropea.
I FRENTANI
Nel 304 a.c. i Frentani, chiesero ed ottennero, insieme ad altre tribù, la pace con Roma, stringendo con essa un foedus, un patto di alleanza (Livio,IX,45,18) ottenendo in cambio maggiore autonomia. Divennero così, insieme a Marsi, Peligni e Marrucini, socii di Roma, a cui interessava particolarmente mantenere aperti i collegamenti commerciali con l’Apulia.
Il trattato avvantaggiò i Romani, perchè i Sanniti dovettero consegnare loro Saticula, Luceria e Teanum Sidicinum, nonché dell'intera valle del Liri, dove già alla fine del IV secolo a.c. i Romani avevano fondato tre colonie latine (Sora, Fregellae e Interamnia).
Così i Sanniti si ritrovarono circondati dalle civitates foederatae e da popoli alleati di Roma, che rendevano loro difficile poter seriamente minacciare il Lazio. E infatti dopo soli sei anni fu di nuovo guerra, questa volta con il coinvolgimento di Etruschi e Galli.
LA POSIZIONE
Larinum è citata dal geografo Stefano Bizantino come πόλις Δαυνίων, in Pomponio Mela è soltanto un oppidum della Daunia, per Tolomeo è uno dei principali centri dei Frentani. Secondo Plinio il Vecchio è città frentana, ma risulta inserita nella Regio II, che comprende l’Apulia. Compresa fra il Sangro, a nord, ed il Fortore, a sud. La regione frentana si presentava ricca di fiumi provenienti dalle zone appenniniche interne (Sangro, Trigno, Biferno, Fortore) e di corsi d’acqua minori (Foro, Osento, Sinello, Cigno, Saccione, Tona). Detti fiumi e torrenti formavano quindi delle vallate dove si costituivano delle naturali e agevoli vie di comunicazione tra la costa e l’interno.
PERIODO ROMANO
Anche le testimonianze della fase romana, quella meglio conosciuta, attualmente si presentano frammentari, utili però per la ricostruzione della storia di Larinum, come le monete ed i testi epigrafici rinvenuti, che suppliscono alle scarse evidenze archeologiche recuperate nelle diverse zone della città.
Si sa però che in epoca romana Larinum era un fiorente insediamento abitativo, di ampie dimensioni e di antica origine, ubicato sulle colline dell'entroterra molisano, a circa 400 m di altitudine, non molto distante (circa 26 km) dalla costa del mare Adriatico, di notevole importanza proprio grazie alla collocazione geografica.
Larinum ottiene il riconoscimento da parte di Roma di res publica Larinatium (Livio XXVII,43,10) con un autonomo ruolo amministrativo e l’avvio di un'autonoma monetazione locale in bronzo. Con il definitivo ordinamento augusteo, il fiume Biferno divenne il confine tra la Regio IV e la Regio II, tra cui furono divisi i Frentani. La Regio IV, o Regio Frentana comprendeva le città di Anxanum (Lanciano), Histonium (Vasto), Hortona (Ortona), Buca (forse Termoli).
Il territorio a est del Biferno, assegnato alla Regio II, venne assimilato alla Daunia: comprendeva Cliternia, Teanum Apulum e appunto Larinum, spingendosi fino al Fortore, il flumen portuosum Fertor citato da Plinio (N. Hist. III,103).
È probabile che proprio per effetto del trattato con i romani la comunità frentana di Larinum abbia ottenuto quello status di autonomia di civitas foederata. Secondo gli storici proprio il conseguimento di questa particolare condizione già all'inizio del III secolo a.c. avrebbe favorito lo sviluppo economico da rurale ad urbano.
Nel 91 a.c. scoppia la guerra sociale, i Sanniti insorgono per ottenere la cittadinanza romana, e costituiscono, insieme alle altre popolazioni, la Lega Italica; Roma reagisce promulgando alcune leggi (la lex Julia e la lex Plautia Papiria) che concedono la cittadinanza romana a tutte le popolazioni italiche che in quel momento non sono in armi o che sono disposte a deporle. L’iniziativa ribalta la situazione a favore di Roma e buona parte dei ribelli accoglie la proposta.
Col tempo anche il Sannio si adeguò al sistema municipale romano, preludio a una completa romanizzazione del territorio: nell'area molisana sorsero municipi a Isernia, Venafro, Trivento, Bojano, Sepino e Larino, secondo le necessità organizzative del potere centrale. Nello stesso periodo scompaiono le testimonianze di vita in quasi tutti i santuari sannitici.
I Sanniti, ribelli nella guerra sociale si schierarono con Gaio Mario ma pagarono con la spietata vendetta del vincitore. La sconfitta segna la fine dei Sanniti e i Romani avviarono un lento processo di denazionalizzazione del Sannio. Larghi tratti di territorio vennero confiscati e distribuiti ai veterani; quelli non assegnati divennero ager publicus a disposizione degli allevatori.
I Sanniti, ribelli nella guerra sociale si schierarono con Gaio Mario ma pagarono con la spietata vendetta del vincitore. La sconfitta segna la fine dei Sanniti e i Romani avviarono un lento processo di denazionalizzazione del Sannio. Larghi tratti di territorio vennero confiscati e distribuiti ai veterani; quelli non assegnati divennero ager publicus a disposizione degli allevatori.
Sicuramente l’area era ancora abitata nel IV secolo d.c. epoca a cui si datano le circa seimila monete di bronzo rinvenute casualmente in località Lagoluppoli, forse nei pressi di un’antica strada, ormai scomparsa, che da Larino proseguiva verso Rotello. Anche Larino fu colpita dal terribile terremoto del 346 d.c. che devastò l’intero Sannio,
GLI SCAVI
Gli scavi sistematici, effettuati a partire dal 1977 a Piana San Leonardo, hanno consentito di individuare l’estensione della città romana, anche se l'espansione edilizia di Larino, verificatasi nel dopoguerra proprio nell'area di Piana San Leonardo, si sovrappone all'antico sito senza che nessuno si opponesse.
Gli scavi sistematici, effettuati a partire dal 1977 a Piana San Leonardo, hanno consentito di individuare l’estensione della città romana, anche se l'espansione edilizia di Larino, verificatasi nel dopoguerra proprio nell'area di Piana San Leonardo, si sovrappone all'antico sito senza che nessuno si opponesse.
Pertanto è stato possibile esplorare esclusivamente quelle poche aree rimaste libere, con insediamenti risalenti alla fine del V secolo a.c. - I metà del IV secolo a.c. costituiti da acciottolato e resti di muri perimetrali di edifici. Successivamente, su quelli più antichi, furono impostati altri edifici di fine del IV secolo - inizi del III secolo a.c. con tecniche edilizie più evolute, muretti a secco, pietre irregolari e filari di tegole, oppure con malta cementizia.
Nel 1978 e poi negli anni 1981-1982 vennero effettuati altri scavi alla metà orientale del monumento, evidenziando la sistematica spoliazione dei materiali lapidei e dello stesso tufo effettuata nei secoli ai danni dell’anfiteatro.
Gli storici locali (Tria, Caraba e Magliano) evidenziano, già agli inizi del secolo XVIII, lo stato di abbandono del monumento, sottoposto a continue spoliazioni. Vi venne poi realizzata una fornace per laterizi, mentre nella rampa della porta est funzionò una fornace per calce già anteriormente all’VIII secolo d.c.
Comunque nella fase ellenistica (fine III secolo a.c. – inizio II secolo a.c.) si è reperita una grande quantità di materiale votivo, da riferire a un santuario, di cui restano alcuni grossi blocchi di pietra tufacea, ben squadrati, dedicato ad Afrodite con molte statuette di terracotta che la raffigurano. La zona adiacente al tempio fu adibita, per tutto il periodo di funzionamento del santuario, ad area di scarico del materiale votivo, sparso in tutta la zona.
Gli oggetti votivi comprendono materiale ceramico, statuette fittili e di bronzo, e molte monete, oltre a statuette eseguite a stampo, con teste di solito create a parte e poi applicate alla base del collo. Tra i diversi tipi attestati a Larino, prevalgono le figure femminili panneggiate, secondo lo stile attico che si diffuse rapidamente in tutto i mondo ellenistico fino al I secolo a.c.
La presenza di queste statuette costituisce un interessante documento per comprendere le diverse direttrici di diffusione di motivi culturali iconografici ellenistici provenienti da Taranto e dall'area magno greca in genere e diretti non solo verso la Campania e il Lazio, ma anche verso le regioni medio - adriatiche. Si conferma così il ruolo rilevante svolto dalla città per la diffusione di questi e di altri prodotti in vaste aree del centro Italia.
Gli scavi sistematici, a partire dal 1977 a Piana San Leonardo, hanno restituito l’area di estensione della città romana, anche se allo stato attuale non è possibile precisarne con esattezza il perimetro delle mura. Infatti l'espansione edilizia di Larino, verificatasi nel dopoguerra proprio nell'area di Piana San Leonardo per soddisfare le esigenze abitative della comunità, si sovrappone quasi fedelmente all'antico sito, realizzando una rapida e quasi completa urbanizzazione dell’intera area.
Tale condizione ha determinato molti problemi alla ricerca archeologica, potendo esplorare solo quelle poche aree rimaste libere tra gli edilici moderni. Comunque il sito, oltre ai resti parziali delle strutture abitative, ha fornito manufatti di ceramica, vasi e contenitori per la cottura e conservazione degli alimenti, utensili di uso domestico, focolari e fornelli. Numerosissime le ossa di animali, domestici (bovini e suini) e selvatici (cervo e volpe), con evidenti tracce di macellazione. Notevole la quantità di semi, sia di legumi, sia di cereali.
Anche i ritrovamenti monetali mostrano Larino città aperta alle influenze apule e sannitiche. Delle varie emissioni di bronzo, ad esempio, alcune seguono il sistema ponderale greco, in uso nelle zecche campane e sannitiche, altre, più recenti, seguono il sistema italico, con frazionamento decimale, tipico delle aree adriatiche.
Nel periodo 270-250 a.c. già erano circolanti emissioni monetali sia da parte della città di Larinum che da parte dei Frentani. Già all'inizio del periodo ellenistico, Larinum aveva acquistato un ruolo preminente, ottenendo il riconoscimento da parte di Roma della condizione di res publica Larinatium.
Inizia così l’organizzazione del suo centro urbano e le indagini di scavo condotte negli anni nell'abitato di Piana San Leonardo, sebbene limitate ad aree non molto estese, hanno fatto emergere strade lastricate, pavimentazioni pubbliche, quartieri artigianali e di abitazione e di un’area sacra (Via Jovine).
Gli oggetti votivi comprendono materiale ceramico, statuette fittili e di bronzo, e molte monete, oltre a statuette eseguite a stampo, con teste di solito create a parte e poi applicate alla base del collo. Tra i diversi tipi attestati a Larino, prevalgono le figure femminili panneggiate, secondo lo stile attico che si diffuse rapidamente in tutto i mondo ellenistico fino al I secolo a.c.
La presenza di queste statuette costituisce un interessante documento per comprendere le diverse direttrici di diffusione di motivi culturali iconografici ellenistici provenienti da Taranto e dall'area magno greca in genere e diretti non solo verso la Campania e il Lazio, ma anche verso le regioni medio - adriatiche. Si conferma così il ruolo rilevante svolto dalla città per la diffusione di questi e di altri prodotti in vaste aree del centro Italia.
Gli scavi sistematici, a partire dal 1977 a Piana San Leonardo, hanno restituito l’area di estensione della città romana, anche se allo stato attuale non è possibile precisarne con esattezza il perimetro delle mura. Infatti l'espansione edilizia di Larino, verificatasi nel dopoguerra proprio nell'area di Piana San Leonardo per soddisfare le esigenze abitative della comunità, si sovrappone quasi fedelmente all'antico sito, realizzando una rapida e quasi completa urbanizzazione dell’intera area.
Tale condizione ha determinato molti problemi alla ricerca archeologica, potendo esplorare solo quelle poche aree rimaste libere tra gli edilici moderni. Comunque il sito, oltre ai resti parziali delle strutture abitative, ha fornito manufatti di ceramica, vasi e contenitori per la cottura e conservazione degli alimenti, utensili di uso domestico, focolari e fornelli. Numerosissime le ossa di animali, domestici (bovini e suini) e selvatici (cervo e volpe), con evidenti tracce di macellazione. Notevole la quantità di semi, sia di legumi, sia di cereali.
Anche i ritrovamenti monetali mostrano Larino città aperta alle influenze apule e sannitiche. Delle varie emissioni di bronzo, ad esempio, alcune seguono il sistema ponderale greco, in uso nelle zecche campane e sannitiche, altre, più recenti, seguono il sistema italico, con frazionamento decimale, tipico delle aree adriatiche.
Nel periodo 270-250 a.c. già erano circolanti emissioni monetali sia da parte della città di Larinum che da parte dei Frentani. Già all'inizio del periodo ellenistico, Larinum aveva acquistato un ruolo preminente, ottenendo il riconoscimento da parte di Roma della condizione di res publica Larinatium.
Inizia così l’organizzazione del suo centro urbano e le indagini di scavo condotte negli anni nell'abitato di Piana San Leonardo, sebbene limitate ad aree non molto estese, hanno fatto emergere strade lastricate, pavimentazioni pubbliche, quartieri artigianali e di abitazione e di un’area sacra (Via Jovine).
IL FORO
Il foro, a pianta quadrangolare, era realizzato in opus mixtum di reticolato e laterizi, con una serie di esedre, con abside centrale, che si aprivano su un ambiente interno porticato. Questa parte della città antica fu pesantemente ristrutturata nel IV secolo d.c., quando il governatore della Provincia Samnii, appena istituita, dovette avviare i restauri, dopo il disastroso terremoto che colpì la zona nell'anno 346 d.c..
L'ANFITEATRO
Con i suoi ruderi, parzialmente affioranti, l’anfiteatro è il monumento antico più famoso di Larino, fino a divenire il simbolo della città. Negli ultimi decenni, purtroppo, l’area è stata interessata da un'intensiva urbanizzazione, in quanto adiacente alla ferrovia ed alla strada statale.
Cicerone riferisce (Pro Cluentio, IX, 27) che a Larino, molto prima di disporre di un anfiteatro stabile, si facevano in città giochi pubblici e spettacoli (ludi), evidentemente usando strutture lignee mobili oppure usando, come avveniva a Sepino, degli spazi del Foro. Esso venne edificato sul margine occidentale della Piana San Leonardo, su una scarpata degradante a ovest, alla periferia della città ellenistica e romana. Per edificarlo venne sbancato l'abitato a sud, come dimostrano brevi tratti di muratura a secco, due residui di acciottolato stradale a spina di pesce, del VI e III secolo a.c..
L'anfiteatro, di medie dimensioni, è citato dagli storici locali (Tria, Caraba e Magliano), che riferiscono, già agli inizi del secolo XVIII, lo stato di abbandono del monumento, sottoposto a continue spoliazioni. Tria sostiene che l’arena fosse circolare ma sembrano piò attendibili i disegni del 1851 fornite da Ambrogio Caraba, con la veduta prospettica dell’edificio in forma ellittica, poi confermata dagli scavi
Venne edificato nell'ultimo ventennio del I secolo d.c. per volontà testamentaria di Lucio Capitone, personaggio di rango senatorio, come attestato da un'iscrizione sulla porta occidentale dell'anfiteatro, peraltro destinato ai combattimenti gladiatori. Ha un asse maggiore di m. 97,80 ed uno minore di m. 80 e un’arena di m. 59,40 x m. 41,60. Con una superficie di oltre 6000 mq, poteva ospitare quasi 11000 spettatori.
Si ipotizza che l’edificio potesse accogliere anche spettacoli teatrali, visto che un teatro mancava a Larino. L’arena e l’ima cavea furono scavate direttamente nell'arenaria, mentre gli ordini superiori vennero costruiti in elevato, con murature a sacco, riempite con opus caementicium, un composto cementizio di malta e pietrame grezzo misto a ghiaia. Il paramento esterno è in opus reticulatum, con blocchetti in pietra a base quadrata, di forma piramidale
Il piano dell’arena era convesso al centro per lo scolo delle acque nell’euripo, il canale che circonda l’arena, profondo circa cm. 40 e largo cm. 32, realizzato con conci di pietra calcarea. Nell’arena si accede attraverso quattro porte d’ingresso, due in corrispondenza dell’asse maggiore, per l’ingresso “trionfale” di generali o gladiatori vittoriosi, con volte a botte.
Quasi al centro dell’arena era scavata nel tufo una fossa rettangolare, profonda quasi 5 m, di m. 7,50 x m. 5,50, con una rampa di accesso all’arena, sul cui fondo sono stati ritrovati contrappesi di montacarichi, per far salire le gabbie degli animali feroci negli spettacoli gladiatori. L’arena è delimitata, dal muro di sostegno del podio, alto 2 m e rivestito con lastre di calcare. In corrispondenza delle due porte principali, nel muro del podio si aprono quattro porte di accesso a quattro piccoli ambienti, gli "spoliaria", dove venivano prestate le cure ai gladiatori feriti o deposti gli uccisi in combattimento.
Nulla è rimasto delle gradinate evidentemente spogliate per nuove costruzioni. Si pensa che i gradini del podio fossero tre, poi iniziava il livello superiore, l'ima cavea, poi la media cavea, ancora più ampio, forse di dieci gradini. Alla summa cavea, l'attico sovrastante l’ambulacro, si accedeva a rampe esterne.
Ogni settore aveva ingressi indipendenti. I nobili attraverso le quattro porte di accesso all’arena. Ai due settori superiori si accedeva dall'ambulacro con volta a botte, che correva lungo il perimetro dell’anfiteatro, e sulla parete interna dei corridoi di accesso alle gradinate della cavea, si aprivano i vomitoria. L’accesso al livello dell’attico era assicurato da rampe esterne, probabilmente una per ciascun settore dell'anfiteatro.
Il foro, a pianta quadrangolare, era realizzato in opus mixtum di reticolato e laterizi, con una serie di esedre, con abside centrale, che si aprivano su un ambiente interno porticato. Questa parte della città antica fu pesantemente ristrutturata nel IV secolo d.c., quando il governatore della Provincia Samnii, appena istituita, dovette avviare i restauri, dopo il disastroso terremoto che colpì la zona nell'anno 346 d.c..
L'ANFITEATRO
Con i suoi ruderi, parzialmente affioranti, l’anfiteatro è il monumento antico più famoso di Larino, fino a divenire il simbolo della città. Negli ultimi decenni, purtroppo, l’area è stata interessata da un'intensiva urbanizzazione, in quanto adiacente alla ferrovia ed alla strada statale.
Cicerone riferisce (Pro Cluentio, IX, 27) che a Larino, molto prima di disporre di un anfiteatro stabile, si facevano in città giochi pubblici e spettacoli (ludi), evidentemente usando strutture lignee mobili oppure usando, come avveniva a Sepino, degli spazi del Foro. Esso venne edificato sul margine occidentale della Piana San Leonardo, su una scarpata degradante a ovest, alla periferia della città ellenistica e romana. Per edificarlo venne sbancato l'abitato a sud, come dimostrano brevi tratti di muratura a secco, due residui di acciottolato stradale a spina di pesce, del VI e III secolo a.c..
L'anfiteatro, di medie dimensioni, è citato dagli storici locali (Tria, Caraba e Magliano), che riferiscono, già agli inizi del secolo XVIII, lo stato di abbandono del monumento, sottoposto a continue spoliazioni. Tria sostiene che l’arena fosse circolare ma sembrano piò attendibili i disegni del 1851 fornite da Ambrogio Caraba, con la veduta prospettica dell’edificio in forma ellittica, poi confermata dagli scavi
Venne edificato nell'ultimo ventennio del I secolo d.c. per volontà testamentaria di Lucio Capitone, personaggio di rango senatorio, come attestato da un'iscrizione sulla porta occidentale dell'anfiteatro, peraltro destinato ai combattimenti gladiatori. Ha un asse maggiore di m. 97,80 ed uno minore di m. 80 e un’arena di m. 59,40 x m. 41,60. Con una superficie di oltre 6000 mq, poteva ospitare quasi 11000 spettatori.
Si ipotizza che l’edificio potesse accogliere anche spettacoli teatrali, visto che un teatro mancava a Larino. L’arena e l’ima cavea furono scavate direttamente nell'arenaria, mentre gli ordini superiori vennero costruiti in elevato, con murature a sacco, riempite con opus caementicium, un composto cementizio di malta e pietrame grezzo misto a ghiaia. Il paramento esterno è in opus reticulatum, con blocchetti in pietra a base quadrata, di forma piramidale
Il piano dell’arena era convesso al centro per lo scolo delle acque nell’euripo, il canale che circonda l’arena, profondo circa cm. 40 e largo cm. 32, realizzato con conci di pietra calcarea. Nell’arena si accede attraverso quattro porte d’ingresso, due in corrispondenza dell’asse maggiore, per l’ingresso “trionfale” di generali o gladiatori vittoriosi, con volte a botte.
Quasi al centro dell’arena era scavata nel tufo una fossa rettangolare, profonda quasi 5 m, di m. 7,50 x m. 5,50, con una rampa di accesso all’arena, sul cui fondo sono stati ritrovati contrappesi di montacarichi, per far salire le gabbie degli animali feroci negli spettacoli gladiatori. L’arena è delimitata, dal muro di sostegno del podio, alto 2 m e rivestito con lastre di calcare. In corrispondenza delle due porte principali, nel muro del podio si aprono quattro porte di accesso a quattro piccoli ambienti, gli "spoliaria", dove venivano prestate le cure ai gladiatori feriti o deposti gli uccisi in combattimento.
Nulla è rimasto delle gradinate evidentemente spogliate per nuove costruzioni. Si pensa che i gradini del podio fossero tre, poi iniziava il livello superiore, l'ima cavea, poi la media cavea, ancora più ampio, forse di dieci gradini. Alla summa cavea, l'attico sovrastante l’ambulacro, si accedeva a rampe esterne.
Ogni settore aveva ingressi indipendenti. I nobili attraverso le quattro porte di accesso all’arena. Ai due settori superiori si accedeva dall'ambulacro con volta a botte, che correva lungo il perimetro dell’anfiteatro, e sulla parete interna dei corridoi di accesso alle gradinate della cavea, si aprivano i vomitoria. L’accesso al livello dell’attico era assicurato da rampe esterne, probabilmente una per ciascun settore dell'anfiteatro.
Al podio potevano accedere le autorità civili e militari, gli ospiti d’onore, le personalità di rilievo con le famiglie. Le successive sei gradinate erano riservate ai cavalieri, mentre gli spettatori di medio rango accedevano al settore superiore, di dieci gradinate. Il popolino e gli schiavi occupavano le gradinate più in alto, nella summa cavea.
Attualmente i resti dell'elevato sono limitati ai ruderi dell’ambulacro e del muro esterno in corrispondenza della porta nord e ad alcuni brevi tratti di muratura negli altri settori, mentre quelli del settore sud-ovest sono stati inglobati nella costruzione del villino Calvitti.
Nel 1962 i ruderi vennero consolidati e nel 1978 fu avviato lo scavo, dalla Soprintendenza Archeologica del Molise e dal Comune di Larino. Negli anni 1981-1982 l’anfiteatro venne di nuovo parzialmente esplorato, grazie a un progetto finanziato dalla Regione Molise, alla metà orientale del monumento. Si evidenziò la spoliazione dei materiali lapidei e del tufo effettuata nei secoli ai danni dell’anfiteatro.
Ma l’area esterna era irrecuperabile, a seguito della costruzione della strada statale n. 87, a nord-ovest, l’edificio dell’Enel a nord, una serie di case private lungo il perimetro nord-est, e il villino Calvitti a sud-ovest, lungo l’ambulacro. Ni secoli l’edificio è stato sottoposto a continue spoliazioni, nell’ambulacro venne realizzata una fornace per laterizi, e nella rampa della porta est una fornace per calce già prima dell’VIII secolo.
LE TERME
Vicino all’anfiteatro, vi sono i resti delle sontuose terme, ricche di mosaici policromi, con rappresentazioni di animali fantastici e marini, e figure geometriche. Vi si conserva ancora l’impianto dell’ipocausto, cioè degli ambienti sotterranei in cui erano ubicati i forni ed altri locali di servizio.
Oggi è possibile visitare due vasche per i bagni in acqua calda, tiepida e fredda (calidarium, tepidarium, frigidarium), il vano in cui si produceva con il fuoco il riscaldamento dell’acqua (praefurnium), un vano con le suspensurae (colonnine che reggevano il pavimento rialzato in cui passava l’aria calda), un grande pilastro pertinente ai portici, lo scarico delle acque, con una poderosa fognatura, coperta da tegole a cappuccina.
Gli scavi evidenziarono però una domus raffinata del III-II secolo a.c. di cui sopravvivono l’atrio, pavimentato in ciottoli policromi dimezzati, ed alcuni ambienti intorno all'atrio ed ai lati dell'ampio corridoio di accesso. Un ampio impluvium mostra un superbo mosaico policromo, raffigurante al centro un polpo ed agli angoli quattro cernie.
Ma la vita della domus venne bruscamente interrotta per sopravvenute esigenze pubbliche. La zona, infatti, fu destinata a ospitare un’area pubblica, con edifici monumentali, tra cui il foro, una grande struttura, a pianta quadrangolare, realizzata in opus mixtum di reticolato e laterizi. L’edificio si articolava in una serie di esedre, con abside centrale, che si aprivano su un ambiente interno porticato.
Attualmente i resti dell'elevato sono limitati ai ruderi dell’ambulacro e del muro esterno in corrispondenza della porta nord e ad alcuni brevi tratti di muratura negli altri settori, mentre quelli del settore sud-ovest sono stati inglobati nella costruzione del villino Calvitti.
Nel 1962 i ruderi vennero consolidati e nel 1978 fu avviato lo scavo, dalla Soprintendenza Archeologica del Molise e dal Comune di Larino. Negli anni 1981-1982 l’anfiteatro venne di nuovo parzialmente esplorato, grazie a un progetto finanziato dalla Regione Molise, alla metà orientale del monumento. Si evidenziò la spoliazione dei materiali lapidei e del tufo effettuata nei secoli ai danni dell’anfiteatro.
Ma l’area esterna era irrecuperabile, a seguito della costruzione della strada statale n. 87, a nord-ovest, l’edificio dell’Enel a nord, una serie di case private lungo il perimetro nord-est, e il villino Calvitti a sud-ovest, lungo l’ambulacro. Ni secoli l’edificio è stato sottoposto a continue spoliazioni, nell’ambulacro venne realizzata una fornace per laterizi, e nella rampa della porta est una fornace per calce già prima dell’VIII secolo.
LE TERME
Vicino all’anfiteatro, vi sono i resti delle sontuose terme, ricche di mosaici policromi, con rappresentazioni di animali fantastici e marini, e figure geometriche. Vi si conserva ancora l’impianto dell’ipocausto, cioè degli ambienti sotterranei in cui erano ubicati i forni ed altri locali di servizio.
Oggi è possibile visitare due vasche per i bagni in acqua calda, tiepida e fredda (calidarium, tepidarium, frigidarium), il vano in cui si produceva con il fuoco il riscaldamento dell’acqua (praefurnium), un vano con le suspensurae (colonnine che reggevano il pavimento rialzato in cui passava l’aria calda), un grande pilastro pertinente ai portici, lo scarico delle acque, con una poderosa fognatura, coperta da tegole a cappuccina.
LE DOMUS
La domus ubicata vicino al Foro apparteneva a una delle famiglie dell'aristocrazia agraria larinese, la cui ascesa andava dal III secolo a.c. agli inizi del I secolo a.c.. Agli inizi del I secolo a.c. la domus subì dei rifacimenti nell’impluvio e modificazioni varie. Dopo un secolo, la sua vita fu interrotta per ospitare edifici monumentali, sul lato orientale del Foro, posizionati su una grande struttura a pianta quadrangolare, in opera reticolata e laterizi.
Il lato del Foro si apriva sui portici con tre vani, quello opposto aveva delle esedre con abside centrale, che si aprivano su uno spazio interno porticato. Questa parte della città antica ebbe due fasi edilizie: la sua costruzione nel II - I secolo a.c., e la sua ristrutturazione nel IV secolo d.c., dal governatore della Provincia Samnii, dopo il violento terremoto che colpì la zona nell'anno 346 d.c.. La vita della città continuò ma in modo stentato: gli edifici, ormai abbandonati, vennero spoliati e riutilizzati.
Gli scavi evidenziarono però una domus raffinata del III-II secolo a.c. di cui sopravvivono l’atrio, pavimentato in ciottoli policromi dimezzati, ed alcuni ambienti intorno all'atrio ed ai lati dell'ampio corridoio di accesso. Un ampio impluvium mostra un superbo mosaico policromo, raffigurante al centro un polpo ed agli angoli quattro cernie.
In località Torre Sant'Anna si trovava un'altra domus, realizzata intorno al III-II secolo a.c. di cui sopravvivono l’atrio, pavimentato in ciottoli policromi, ed alcuni ambienti circostanti con un ampio impluvium pavimento in mosaico policromo, con al centro un polpo ed agli angoli quattro cernie.
Una terza area di Piana San Leonardo sottratta alla proliferazione edilizia è quella compresa tra l’asilo nido ed il Tribunale Civile, dove è venuto alla luce un settore urbano con strada lastricata e marciapiedi, con da un lato edifici abitativi e dall'altro edifici artigianali. Alcune abitazioni conservano pavimentazioni in mosaico e in cocciopisto; la parte artigianale conserva vasche, pavimenti in cocciopisto e canalette di deflusso.
Una terza area di Piana San Leonardo sottratta alla proliferazione edilizia è quella compresa tra l’asilo nido ed il Tribunale Civile, dove è venuto alla luce un settore urbano con strada lastricata e marciapiedi, con da un lato edifici abitativi e dall'altro edifici artigianali. Alcune abitazioni conservano pavimentazioni in mosaico e in cocciopisto; la parte artigianale conserva vasche, pavimenti in cocciopisto e canalette di deflusso.
I MOSAICI
I numerosi mosaici di Larino, otto tessellati tuttora esistenti, di cui la metà sono policromi e tre sono conservati nel locale Museo Civico, presso il Palazzo Ducale di Larino. Evidentemente a Larino in età imperiale operavano ottime maestranze, non solo nelle botteghe, ma anche itineranti.
Nella scena centrale del Lupercale (m. 6,08 x m. 7,17) la lupa, che col mantello a strisce somiglia piuttosto a una tigre, allatta i gemelli, con una cornice di acanto ai quattro angoli e spirali con cacciatori ed animali. Nella parte alta due pastori di profilo, osservano la scena da una collina. Al centro una cornice ornata con grandi cespi di acanto ai quattro angoli e spirali con sei cacciatori, armati di frecce e giavellotti, e animali selvaggi di profilo.
Altri due mosaici, del Leone e degli Uccelli, vennero alla luce in una domus del III secolo, presso l'anfiteatro, della quale resta una parte delle mura con paramento di reticolato a blocchi di calcare. Nel 1949 vennero distaccati, restaurati e posti nel museo.
Il primo (m. 6,02 x m. 5,30), raffigura nell'emblema centrale un leone ruggente che avanza guardando indietro, con un fondo bianco e alcune palme; la cornice esterna presenta tralci di edera stilizzati, mentre la fascia marginale presenta una treccia a quattro capi su fondo nero ed ai margini un’ampia fascia su fondo bianco con racemi di edera.
Il secondo (m. 5,07 x m. 5,30), presenta al centro numerosi tralci con foglie di vite, vari uccelli rivolti verso il centro, un'ampia fascia marginale con racemi di edera e cornici concentriche con motivo a ogive e a treccia policroma su fondo nero.
Il quarto mosaico policromo (m. 2,72 x m. 4,60), detto del Polpo, rinvenuto in una domus di epoca ellenistica presso Torre Sant'Anna, come pavimento di un impluvium, rappresenta un grosso polpo con otto tentacoli e quattro cernie agli angoli, in una cornice di tralci di vite con grappoli d’uva. Riportato alla luce nel 1912, venne restaurato e trattato, e ricollocato nel 1985, un soggetto comunemente utilizzato per la decorazione di terme, fontane e bagni pubblici.
Nella scena centrale del Lupercale (m. 6,08 x m. 7,17) la lupa, che col mantello a strisce somiglia piuttosto a una tigre, allatta i gemelli, con una cornice di acanto ai quattro angoli e spirali con cacciatori ed animali. Nella parte alta due pastori di profilo, osservano la scena da una collina. Al centro una cornice ornata con grandi cespi di acanto ai quattro angoli e spirali con sei cacciatori, armati di frecce e giavellotti, e animali selvaggi di profilo.
Altri due mosaici, del Leone e degli Uccelli, vennero alla luce in una domus del III secolo, presso l'anfiteatro, della quale resta una parte delle mura con paramento di reticolato a blocchi di calcare. Nel 1949 vennero distaccati, restaurati e posti nel museo.
Il primo (m. 6,02 x m. 5,30), raffigura nell'emblema centrale un leone ruggente che avanza guardando indietro, con un fondo bianco e alcune palme; la cornice esterna presenta tralci di edera stilizzati, mentre la fascia marginale presenta una treccia a quattro capi su fondo nero ed ai margini un’ampia fascia su fondo bianco con racemi di edera.
Il secondo (m. 5,07 x m. 5,30), presenta al centro numerosi tralci con foglie di vite, vari uccelli rivolti verso il centro, un'ampia fascia marginale con racemi di edera e cornici concentriche con motivo a ogive e a treccia policroma su fondo nero.
Il quarto mosaico policromo (m. 2,72 x m. 4,60), detto del Polpo, rinvenuto in una domus di epoca ellenistica presso Torre Sant'Anna, come pavimento di un impluvium, rappresenta un grosso polpo con otto tentacoli e quattro cernie agli angoli, in una cornice di tralci di vite con grappoli d’uva. Riportato alla luce nel 1912, venne restaurato e trattato, e ricollocato nel 1985, un soggetto comunemente utilizzato per la decorazione di terme, fontane e bagni pubblici.
Nel 1971, nel corso di uno sbancamento, è stato rinvenuto in Via Tito Livio, presso lo stadio comunale, il mosaico dei Delfini (m. 6,70 x m. 4,90), riportato alla luce nel 1985, con una fascia esterna di onde e una fascia centrale con meandri di svastiche alternati a riquadri con soggetti figurati e decorativi; in due di essi compaiono uno skyphos e un aryballos e in altri due dei delfini.
Nel 1973, in località Torre Sant'Anna, venne scoperto un mosaico absidato (m. 5,10 x m. 7,00), emerso nel 1981, restaurato, e ricollocato su una base in calcestruzzo, con campo centrale quadrato a motivi geometrici, quadrifogli e fiori di loto, in tre cornici concentriche e una lunetta absidale.
Nel 1984, in Via Morrone, adiacente al Palazzo di Giustizia, è stato rinvenuto il mosaico del Kantharos (m. 1,45 x m. 2,25), danneggiato nel corso dei lavori di sbancamento dell’area, con motivi geometrici con ottagoni e losanghe.
Un altro mosaico in signino del II secolo a.c., negli scavi della Soprintendenza del 1977-1978 nell'area di Piana San Leonardo, in Via F. Jovine, è la pavimentazione di un grosso edificio di epoca ellenistica, di cui restano solo dei blocchi squadrati di arenaria, in un’area a destinazione sacra. È composto da un impasto rosso in cocciopesto, con un reticolo di losanghe nella parte centrale e una fascia esterna con quadrati alternati a svastiche. Nel 1983 è stato distaccato e restaurato, montato su pannelli in vetroresina e conservato nei depositi della Soprintendenza.
Nel 1973, in località Torre Sant'Anna, venne scoperto un mosaico absidato (m. 5,10 x m. 7,00), emerso nel 1981, restaurato, e ricollocato su una base in calcestruzzo, con campo centrale quadrato a motivi geometrici, quadrifogli e fiori di loto, in tre cornici concentriche e una lunetta absidale.
Nel 1984, in Via Morrone, adiacente al Palazzo di Giustizia, è stato rinvenuto il mosaico del Kantharos (m. 1,45 x m. 2,25), danneggiato nel corso dei lavori di sbancamento dell’area, con motivi geometrici con ottagoni e losanghe.
Un altro mosaico in signino del II secolo a.c., negli scavi della Soprintendenza del 1977-1978 nell'area di Piana San Leonardo, in Via F. Jovine, è la pavimentazione di un grosso edificio di epoca ellenistica, di cui restano solo dei blocchi squadrati di arenaria, in un’area a destinazione sacra. È composto da un impasto rosso in cocciopesto, con un reticolo di losanghe nella parte centrale e una fascia esterna con quadrati alternati a svastiche. Nel 1983 è stato distaccato e restaurato, montato su pannelli in vetroresina e conservato nei depositi della Soprintendenza.
TEMPIO DI AFRODITE
In seguito la zona corrispondente all'attuale Via Jovine divenne zona sacra con grande quantità di materiale votivo, probabilmente dedicata ad Afrodite, con numerose statuette di terracotta che la raffigurano. Il tempio della Dea è una struttura di blocchi calcarei, cui viene affiancata, intorno al II secolo a.c. un’aula rettangolare pavimentata a mosaico, che forma un motivo a reticolo, un'area di scarico del materiale votivo.
Gli oggetti votivi comprendono materiale ceramico, statuette fittili e di bronzo, e molte monete, tra cui un gruzzolo di ventidue, nascosto in un vasetto di terracotta, che forma un vero e proprio tesoretto, risalente alla metà del II secolo a.c. Molte le statuette eseguite a stampo, cave internamente e di argilla omogenea, di cui la parte anteriore è più accurata nei particolari, quella posteriore appena abbozzata; le teste, a tutto tondo, ottenute da due matrici, sono create a parte e poi applicate alla base del collo.
In seguito la zona corrispondente all'attuale Via Jovine divenne zona sacra con grande quantità di materiale votivo, probabilmente dedicata ad Afrodite, con numerose statuette di terracotta che la raffigurano. Il tempio della Dea è una struttura di blocchi calcarei, cui viene affiancata, intorno al II secolo a.c. un’aula rettangolare pavimentata a mosaico, che forma un motivo a reticolo, un'area di scarico del materiale votivo.
Gli oggetti votivi comprendono materiale ceramico, statuette fittili e di bronzo, e molte monete, tra cui un gruzzolo di ventidue, nascosto in un vasetto di terracotta, che forma un vero e proprio tesoretto, risalente alla metà del II secolo a.c. Molte le statuette eseguite a stampo, cave internamente e di argilla omogenea, di cui la parte anteriore è più accurata nei particolari, quella posteriore appena abbozzata; le teste, a tutto tondo, ottenute da due matrici, sono create a parte e poi applicate alla base del collo.
TEMPIO DI MARTE
Alle spalle, con accesso a est, si conservano i tratti murari in laterizio di un altro edificio con pronao, forse originariamente rivestito all'interno con marmi e pavimentazione in mosaico, del quale si ipotizza una destinazione sacra, forse il tempio di Marte al quale allude Cicerone, quando riferisce della presenza a Larino dei Martiales, schiavi pubblici, consacrati al culto del Dio secondo antiche tradizioni religiose.
PIANA SAN LEONARDO
Nella Piana San Leonardo, compresa tra l’asilo nido ed il Tribunale Civile, è venuto alla luce un settore urbano con strada lastricata e marciapiedi, con edifici abitativi ed edifici artigianali. Alcuni ambienti destinati ad abitazioni conservano ancora pavimentazioni in mosaico e in cocciopesto; la parte artigianale, sebbene in condizioni peggiori, conserva vasche, pavimenti in cocciopesto e canalette di deflusso.
LA GUERRA SOCIALE
Nel 91 a.c. scoppia la guerra sociale contro Roma da parte dei popoli italici. Anche i Sanniti insorgono per ottenere a pieno diritto la cittadinanza romana, e costituiscono, insieme alle altre popolazioni, la Lega Italica. Roma reagì promulgando alcune leggi (la lex Julia e la lex Plautia Papiria) che concedevano la cittadinanza romana a tutte le popolazioni italiche che non in armi o che fossero disposte a deporle.
Buona parte dei ribelli accolse la proposta e la concessione della cittadinanza consentì ai Romani di organizzare l’assetto territoriale attraverso i municipia, sedi del potere amministrativo ma anche centri organizzativi delle attività produttive, artigianali, agricole, edilizie e commerciali.
Col tempo anche il Sannio si adeguò al sistema municipale, con la completa romanizzazione del territorio dove sorsero municipi a Isernia, Venafro, Trivento, Bojano, Sepino e Larino, mentre scomparvero le testimonianze di vita in quasi tutti i santuari sannitici.
LA STRAGE SANNITA DI SILLA
I Sanniti, ribelli nella guerra sociale, allo scoppio della guerra civile, si erano schierati con Gaio Mario. Quando Silla rientrò dall'Oriente nell'anno 83 a.c. procedette alla sanguinosa battaglia di Porta Collina (82 a.c.) sconfiggendo i Sanniti e devastandoli. Molti territori sanniti vennero confiscati e distribuiti ai veterani o divennero ager publicus per gli allevatori, la lingua osca cedette al latino.
Nel 66 a.c. Cicerone pronunciò a Roma in tribunale un'orazione in difesa del larinate Aulo Cluenzio Avito (la celebre Pro Cluentio), un aristocratico di rango equestre, accusato dalla madre Sassia di tentato omicidio del patrigno Stazio Oppianico e di tentata corruzione dei giudici del processo.
Per testimoniare a suo favore, giunsero a Roma non solo i più nobili cittadini dei Frentani, dei Marrucini e dei Sanniti dell’interno, ma anche equites romani provenienti da Lucera e da Teano Apulo. Fu un processo famoso, poiché i Cluentii, di rango equestre, erano una delle famiglie più ricche della città.
Nell’orazione Cicerone descrisse i costumi delle famiglie aristocratiche larine, molte delle quali in amicizia e in affari con senatori e personaggi famosi di Roma, che ricavavano profitti dagli affari, dalla pastorizia e dall'agricoltura.
Larino era ancora abitata nel IV secolo, quando si rinvennero seimila monete di bronzo a Lagoluppoli e fu colpita dal terribile terremoto del 346 che devastò l’intero Sannio, poi accorpato alla Campania, finchè, sotto Diocleziano, ritornò provincia autonoma verso la metà del IV secolo, fino alla fine del VI secolo con l’avvento dei Longobardi.
In età alto medievale il sito di Piana San Leonardo era già in abbandono, spoliato dei materiali lapidei, utilizzati per la costruzione delle abitazioni più a valle; furono asportate le parti in laterizio dell'anfiteatro che, non più in uso, venne adibito a sepolture o ricoveri di fortuna nella summa cavea; nella rampa della porta est funzionò fino all'inizio dell'VIII secolo una fornace per calce.
TEMPIO DI MARTE
Un edificio con pronao, probabile tempio di Marte, cui allude Ciceroneper i Martiales addetti al culto del Dio. Posto su un lato del Foro, originariamente rivestito all'interno con marmi pregiati e con pavimento in mosaico; di esso si conservano oggi, fino a notevole altezza, i tratti murari in laterizio.
I Sanniti, ribelli nella guerra sociale, allo scoppio della guerra civile, si erano schierati con Gaio Mario. Quando Silla rientrò dall'Oriente nell'anno 83 a.c. procedette alla sanguinosa battaglia di Porta Collina (82 a.c.) sconfiggendo i Sanniti e devastandoli. Molti territori sanniti vennero confiscati e distribuiti ai veterani o divennero ager publicus per gli allevatori, la lingua osca cedette al latino.
Nel 66 a.c. Cicerone pronunciò a Roma in tribunale un'orazione in difesa del larinate Aulo Cluenzio Avito (la celebre Pro Cluentio), un aristocratico di rango equestre, accusato dalla madre Sassia di tentato omicidio del patrigno Stazio Oppianico e di tentata corruzione dei giudici del processo.
Per testimoniare a suo favore, giunsero a Roma non solo i più nobili cittadini dei Frentani, dei Marrucini e dei Sanniti dell’interno, ma anche equites romani provenienti da Lucera e da Teano Apulo. Fu un processo famoso, poiché i Cluentii, di rango equestre, erano una delle famiglie più ricche della città.
Nell’orazione Cicerone descrisse i costumi delle famiglie aristocratiche larine, molte delle quali in amicizia e in affari con senatori e personaggi famosi di Roma, che ricavavano profitti dagli affari, dalla pastorizia e dall'agricoltura.
Larino era ancora abitata nel IV secolo, quando si rinvennero seimila monete di bronzo a Lagoluppoli e fu colpita dal terribile terremoto del 346 che devastò l’intero Sannio, poi accorpato alla Campania, finchè, sotto Diocleziano, ritornò provincia autonoma verso la metà del IV secolo, fino alla fine del VI secolo con l’avvento dei Longobardi.
In età alto medievale il sito di Piana San Leonardo era già in abbandono, spoliato dei materiali lapidei, utilizzati per la costruzione delle abitazioni più a valle; furono asportate le parti in laterizio dell'anfiteatro che, non più in uso, venne adibito a sepolture o ricoveri di fortuna nella summa cavea; nella rampa della porta est funzionò fino all'inizio dell'VIII secolo una fornace per calce.
TEMPIO DI MARTE
Un edificio con pronao, probabile tempio di Marte, cui allude Ciceroneper i Martiales addetti al culto del Dio. Posto su un lato del Foro, originariamente rivestito all'interno con marmi pregiati e con pavimento in mosaico; di esso si conservano oggi, fino a notevole altezza, i tratti murari in laterizio.
BIBLIO
- Plinio - Naturalis Historia - III -
- Angela Di Niro - Larino, l’anfiteatro romano - Conoscenze 1 - Campobasso - 1984 -
- Eugenio De Felice - Larinum - Firenze - 1994 -
- Alberto Magliano - Brevi cenni storici sulla città di Larino - Campobasso - 1895 -
- Luigi Marino - L’anfiteatro di Larino. Accertamenti preliminari sulla porta settentrionale - Conoscenze 1 - Campobasso - 1984 -
- Napoleone Stelluti - Mosaici di Larino - Pescara - 1988 -
- Paola De Tata - L’anfiteatro romano di Larinum: le campagne di scavo 1987-8 - Campobasso - 1990 -- Eugenio De Felice - Larinum - Firenze - 1994 -
- Alberto Magliano - Brevi cenni storici sulla città di Larino - Campobasso - 1895 -
- Luigi Marino - L’anfiteatro di Larino. Accertamenti preliminari sulla porta settentrionale - Conoscenze 1 - Campobasso - 1984 -
- Napoleone Stelluti - Mosaici di Larino - Pescara - 1988 -
- Cantilena Renata - Le emissioni monetali di Larino e dei Frentani - “Samnium” - Roma - 1980 -
- Morricone Matini Maria Luisa - Pavimenti musivi a Larinum - Roma - 1991 -
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