Qui si conserva una tomba appartenente in origine alla Necropoli di Pozzo Pantaleo, la cui zona venne scavata tra il 1983 e il 1989 durante le indagini
preventive per lavori Acea in area di proprietà ENI, ma
anche in anni più recenti lungo la via Portuense, nei
pressi del ponte della ferrovia. Qui venne infatti scoperta un’intensa occupazione tra il I e il V sec.
d.c., data la presenza delle antiche via
Campana e Portuense.
Accanto al bivio delle due importanti arterie stradali, si sviluppò in
epoca imperiale un’estesa necropoli con edifici connessi
alla frequentazione dei percorsi stradali, pertinenti ai collegamenti tra Roma e i suoi impianti
portuali, connessi a importanti traffici di merci e di viaggiatori. Nell’area ENI è stato scoperto
un tratto ben conservato della via Campana, larga m 4,60, sul
cui basolato erano leggibili ancora i solchi delle ruote dei carri.
Non per nulla la via in
questo tratto era dotata
di crepidini,
marciapiedi, conservati sul
lato occidentale, dove le indagini hanno evidenziato diverse
strutture tra cui una mansio,
il luogo di sosta che forniva l’accoglienza e servizi ai
viaggiatori oltre al ricovero per gli animali, delle terme, e un’area cimiteriale con sepolture in fossa,
a cassone in muratura e resti di almeno due ambienti
funerari in opera laterizia.
GLI INTERNI
LA SCOPERTA DELLA STRADA
Un nuovo tratto della via Portuense è inoltre venuto in luce negli scavi dell’Enel del 1996, lungo il quale si allineavano diversi resti di altri monumenti funerari scoperti solo in parte a causa della ristrettezza della trincea di scavo.
All’impianto originale della prima età imperiale risalgono i resti di un colombario e di diverse tombe a camera affacciate sulla via, con fronti monumentalizzati e accessi con soglie in marmo e travertino, camere funerarie riccamente ornate alle pareti da decorazioni dipinte con cornici a stucco, pavimentate con i caratteristici mattoncini disposti a spina di pesce, opus spicatum, e a mosaico.
Si distingue in particolare un mosaico in bianco e nero inquadrato da una cornice a meandro, con un vaso (kantharos) da cui fuoriescono tralci di vite che si incrociano creando dei girali tra i quali si distribuiscono figure di uccelli. Sul bordo un’iscrizione musiva riporta la dedica agli Dei Mani dei genitori per la figlia defunta di nome Petronia.
Nel corso del III sec. d.c. molti edifici furono oggetto di trasformazioni anche per la nuova diffusione del rito dell’inumazione che comportò la rioccupazione di molte tombe con fosse per le deposizioni dei defunti.
Una nuova occupazione si ebbe tra il IV e il V sec. d.c., con tombe povere collocate in spazi aperti tra i precedenti monumenti, costituite da semplici fosse coperte a cappuccina, deposizioni singole in anfora e collettive in ossuari.
L'ESTERNO DELLA TOMBA
SCAVI 2009 - 2015
Nuove testimonianze monumentali sono venute alla luce tra il 2009 e il 2015 durante i lavori per il raddoppio della carreggiata della via Portuense e la realizzazione del nuovo ponte della ferrovia. Lungo un altro tratto basolato dell’antica via sono stati individuati altri resti di un impianto termale con stanze pavimentate a mosaico e una grande cisterna dotata di contrafforti.
Il ritrovamento di un gran numero di oggetti femminili, spatole, spilloni, ossi in avorio, cucchiai per il trucco, il manico di uno specchio, balsamari, ne ha conseguito l’attribuzione al settore femminile di un più grande complesso termale sicuramente collegato a quello sopra descritto nell’area ENI, dove era invece da identificare il bagno destinato agli uomini.
Numerosi anche i resti di altri monumenti funerari, tra i quali spicca un mausoleo di due vani con varie fasi di occupazione, dal quale proviene un mosaico in bianco e nero con riquadro abbellito da un elegante motivo floreale, attribuito alla fase di costruzione del sepolcro alla fine del I-inizi II sec. d.c. e oggi esposto nello spazio museale dell’ex Drugstore (come altri pavimenti e reperti citati).
Sul versante meridionale dell’antica via erano invece sepolture più modeste datate dal II sec. al IV sec. d.c., con tombe in fossa terragna, tombe a cassone in muratura contenenti olle cinerarie, strutture quadrangolari in muratura le cd. cupe.
Particolarmente interessante è infine la scoperta presso un piccolo mausoleo, di un cippo di travertino con iscrizione che ricorda l’intervento di Vespasiano (I sec. d.c.) per il recupero di un’area sacra abusivamente occupata da privati.
GLI STUCCHI DELLA VOLTA
LA CAVA ROMANA DI TUFO
Attestata dall’Epoca repubblicana, vi si estraeva il tufo rosso lionato, molto friabile e venato, per farne pozzolana. Una specie di latomìa, una cava a cielo aperto, con gradoni a partire dalla cima che creano una specie di cavea. Al suo interno molte gallerie tra cui: un grottone presso via Bianchi (utilizzato oggi come cantina) e parte di una galleria a piano inclinato presso il famoso Drugstore.
Il grottone venne descritto nella Guida dell’Agro Romano dell’agrimensore Eschinardi (1750):
«A destra si può entrare in una gran grotta, o spelonca, la quale era anticamente un ergastolo da tenervi schiavi».
Si allude alle maestranze della cava, uomini in schiavitù a seguito di reati: di giorno costretti al lavoro di cavatori di pietre, in catene e marchiati a fuoco; di notte reclusi nel grottone per evitarne la fuga. Al Museo Nazionale Romano sono conservati dei collari in ferro, ritrovati in zona, con la stessa epigrafe: «Se fuggo bastonami e riportami al padrone».
TOMBA DEI GENI DANZANTI O DEGLI STUCCHI
LA NECROPOLI PORTUENSE
Nel I secolo, con l’apertura al traffico del nuovo ramo della Via Campana sorsero nell'area zone cimiteriali, prima stanze ipogee scavate nel tufo, poi vere e proprie aree cimiteriali che soppiantarono la cava di tufo che oggi si divide in 4 settori:
- I settore - via di Pozzo Pantaleo, Necropoli di Pozzo Pantaleo; scoperta nel 1947 quando. per alcuni sbancamenti seguiti alla parziale dismissione della fabbrica Purfina a ridosso della ferrovia, emersero cinque stele funerarie di guardie scelte di Nerone (Cippi dei Germani) con fosse e recinti per le anfore cinerarie.
Segue, nel 1951 il ritrovamento di due sepolcri: la tomba dei Campi elisi e la tomba con gli stucchi dei Geni danzanti, intagliate dal tufo e trasportate al Museo Nazionale Romano, insieme ai cippi dei Germani.
Gli scavi dal 1983 fino al 1998 fecero emergere un’intera fila di tombe (Tombe Portuensi, 1996) e un mausoleo circolare (Pozzo Pantaleo, 1998), forse identificabile con la cappellina medievale di San Pantaleo.
- II settore - via Belluzzo, o necropoli del Drugstore; contiguo al I, individuato nel 1966, durante l’edificazione di un palazzo in via Belluzzo. Emergono cinque tombe: Tomba di Ambrosia, Tomba delle lesene, Tomba bianca, Colombario Portuense e Tomba della Vaschetta. Nel Colombario, è stato rinvenuto un sarcofago in marmo (Sarcofago di Selene), trasportato al Museo Nazionale Romano.
- III settore - via Ravizza, o necropoli di via Ravizza; a 400 metri dai primi due, sta su via Ravizza, con due tombe: la Tomba dell’Airone, e la Tomba di Epinico e Primitiva.
- IV settore - via Bianchi, o necropoli di Vigna Pia. Nel 2000, durante la costruzione di un parcheggio interrato. Ci sono un colombario ad uso collettivo ed un sepolcro familiare, detto Tomba di Atilia.
ABITATO ALTOMEDIEVALE
L’utilizzo della necropoli cessa nel terzo decennio del III secolo, per un'alluvione dovuta allo smottamento di argille dalle colline di Monteverde, e dallo straripamento del Tevere, che rendono impraticabili le aree della Via Portuense. Infatti lo strato superiore del terreno si compone di uno spesso strato di argille delle Colline di Monteverde, con al di sotto un terreno relativo all'attività della necropoli, dalla metà del I secolo. Al di sotto uno strato più antico, relativo alla cava in Epoca Repubblicana.
L’area continuò come postazione commerciale lungo la Via Portuense, sul lato della collina che guarda all’attuale via Quirino Majorana con la testimonianza di un tratto di strada basolata (Tratto di Via Campana #1), un edificio termale (Terme di Pozzo Pantaleo) e una stazione di sosta (Mansio di Pozzo Pantaleo). Una successiva campagna di scavi del 1998 accerta la frequentazione fino ad oltre il IV secolo, in periodo paleocristiano, e una frequentazione successiva, altomedievale.
L’area è nuovamente abitata nel 1130, quando risulta appartenere, nei documenti della chiesa di Santa Prassede, ad un tale Pantaleo.
Il Catalogo di Torino vi riporta anche la presenza della piccola chiesa di San Pantaleo fuori Porta Portese di cui non si sa nulla.
Nella mappa di Eufrosino della Volpaia del 1547 la chiesina non compare più, ma l’immaginetta di un fontanile e di un tabernacolo della buona via fa pensare ad una certa frequentazione, ma non di un abitato stabile.
Le tombe portuensi continuano ad essere conosciute e visitate di tanto in tanto da curiosi, uomini di scienza e illustri viaggiatori. Lo studioso Nibby riporta che tra essi vi fu anche lo scultore Gianlorenzo Bernini, in cerca di ispirazione. Il Bernini rimane impressionato dalla ricchezza delle antiche tombe, che, al punto che riporta Nibby, le volle «imitare ne’ frontistizj del portico di San Pietro».
Nibby così li descrive: «Sepolcri nobilissimi, adorni di stucchi e pitture, ed uno tra gli altri con alcune urne dentro, nelle quali era significato il nome del padrone che le fece fare». L’archeologo Lanciani vi documenta molti materiali, ancora presenti: cippi, lastre marmoree con iscrizioni, sarcofagi, frammenti di sculture, mosaici e suppellettili funebri. Lanciani inoltre riconosce i manufatti civili per lo scolo delle acque piovane verso il fosso di Pozzo Pantaleo.
MUSEUM DRUGSTORE
IL DRUGSTORE
Alla dismissione dello stabilimento Purfina viene costruito, nel 1966, l’edificio civile noto come Drugstore, localizzato tra la Via Portuense, via Belluzzo e il terrapieno della ferrovia. Costruito con un parziale sbancamento della collina, lo stabile ingloba negli scantinati i resti di cinque ambienti funerari della Necropoli Portuense che vengono seriamente danneggiati in fase di costruzione: e quando la Soprintendenza interviene è troppo tardi.
Gli ambienti funerari rimangono chiusi al pubblico fino al 1982, quando i piani inferiori, fino ad allora adibiti a cantine e garages, vengono trasformati in locali commerciali aperti al pubblico. La Soprintendenza impone ai proprietari vetrate di protezione e il trasporto al Museo Nazionale Romano dei materiali più preziosi.
A lavori conclusi viene aperto al pubblico il Drugstore Museum, con ingresso dal civico 313, con le tombe romane circondate dalle scansie di un supermercato all’americana, 24 ore su 24. Spesso il Drugstore finisce sui giornali per episodi di degrado e qualche volta persino di violenza e criminalità. Infine la struttura viene chiusa.
GENI DANZANTI
LA TOMBA DEGLI STUCCHI
La zona sul lato orientale della via Portuense, dopo la Circonvallazione Gianicolense sul lato destro di via Quirino Majorana, era occupata in antico da cave per l’estrazione del tufo aperte sulle ultimi propaggini tufacee della collina di Monteverde. Teniamo conto che a parte il divieto di edificate tombe in città. in epoca romana chiunque poteva edificare una sepoltura in terreni non sfruttati da altri, pertanto liberi.
Pertanto dalla prima età imperiale, proprio per l’abbandono delle cave, in tutta la zona si sviluppò una vasta necropoli che si snodava lungo il percorso della via Portuense, che a questa altezza si staccava dalla più antica via Campana.
La necropoli ospitava, oltre alle semplici fosse, molte sepolture di tipo monumentale con colombari e tombe a camera scavate nel tufo, come quelle rinvenute nel 1951 nell’area dell’ex stabilimento industriale della Purfina, oggi completamente edificata. Due tombe a camera si distinguevano per le ricche decorazioni a stucco e ad affresco che vennero distaccate e trasportate al Museo Nazionale Romano.
A tutt'oggi infatti si possono ammirare nelle ricostruzioni esposte nell’ Aula X della sede delle Terme di Diocleziano. La cosiddetta "Tomba degli stucchi", decorata con stucchi bianchi, è costituita da una camera rettangolare, con 26 nicchie con fronte rettangolare e arcuato in forma di conchiglia per la collocazione delle olle contenenti le ceneri dei defunti.
E’ stata inoltre indagata una
struttura semi-ipogea con corpo cilindrico in opera
laterizia (diametro m 8,50) impostato su una base
quadrata. All’interno c'è una camera circondata da un
corridoio anulare coperto da una volta a botte, mentre
internamente il vano presentava alle pareti quattro
grandi nicchie alternate ad altre più piccole, tutte
tamponate poco dopo la sua costruzione con una
muratura in opera reticolata.
La camera sepolcrale, scavata in un blocco di tufo residuo delle cave che erano sfruttate nella zona fin dall'epoca repubblicana, è intonacata e decorata in stucco bianco, sia nella volta, a cerchi con figure mitologiche nel centro, che nella rappresentazione di due amorini con festone floreale sulla parete di fronte all'ingresso.
« “Le decorazioni in stucco d'età romana costituiscono un genere di manifestazione d'arte (o se si vuole, e forse personalmente preferirei, di artigianato) che ha fin qui scarsamente attirato l'interesse degli studiosi: molto il materiale ancora inedito, rari i lavori di sintesi sull'argomento". Tali sono le giuste considerazioni con le quali il Mielsch inizia, in questo volume, il discorso sui rilievi in stucco romani. Ma se ciò avviene non è senza motivo se si pensi alla stessa fragilità della materia adoperata, nel caso estremamente raro che si conservino soffitti e volte che quegli stucchi decoravano.
La decorazione
figurata rivela una certa raffinatezza, e si estende sulla parete di fondo nella parte superiore dove una
coppia di amorini alati sorreggono in volo due festoni. La
volta a botte è invece decorata da 30 medaglioni incorniciati da un rilievo a losanga,
con un motivo di astragali e perline. All’interno dei campi si alternano motivi
ornamentali con figure tratte dal mondo del mito quali Dioscuri, eroti alla guida di una biga, satiri, geni alati, ninfe nude o con vesti svolazzanti, menadi danzanti, amorini su biga o cavalcanti animali fantastici o i dioscuri al galoppo, tutte figure iscritte in rombi arcuati a loro volta iscritti nei vari cerchi che popolano il soffitto a volta.
Per questo la Tomba fu detta anche dei Geni danzanti perchè decorato a stucco con una trentina di figurette mitologiche diverse, tutte nell’atto di correre e danzare. La datazione della tomba, sull’analisi stilistica della decorazione, si colloca nella prima metà del II sec. d.c.. La volta è a impianto geometrico, in cui si inseriscono, in medaglioni circolari, alcune divinità minori: il genio alato, il satiro, la ninfa nuda, la ninfa con vesti mosse dal vento, i cupidini (putti alati) alla guida di una biga, i dioscuri al galoppo dei destrieri, i genii a cavallo di un ariete, una tigre, un caprone, un grifone.
La parete frontale presenta due cupidini in volo che sorreggono un festone vegetale. Datato tra II e III secolo, è scavato nel tufo e presenta nicchie per le urne cinerarie e fosse per l’inumazione. È stato scoperto nel 1951, intagliato e trasportato al Museo Nazionale Romano. Si pensa a un piccolo nucleo familiare, appena cinque metri quadri, di condizioni agiate, colpito da un lutto tra la metà del II secolo e gli inizi del III. La volta è strutturata sull’intersezione di cerchi e quadrati, in modo alternato, di una trentina di decorazioni modulari di uguale dimensione.
Ciascun medaglione è finemente decorato in stucco color bianco-avorio. La decorazione ripetitiva ha un fiorellino al centro di un quadrato dai lati concavi, iscritto in un cerchio con alle estremità un giglio stilizzato. L’altra metà dei medaglioni riporta invece motivi figurativi diversi, accomunati dal tema della danza della vita, con il messaggio consolatorio del perpetuo rinnovarsi delle forme e delle energie vitali.
Il tema della danza della vita prosegue anche sulla parete frontale, dove sono rappresentati altri due cupidini, anch’essi in stucco, che sostengono in volo due festoni vegetali. In piccolo, al di sotto di essi, è raffigurata una siringa, sorta di flauto a canne tipico del mondo rurale. La tomba è stata rinvenuta nel 1951, a poca distanza dalla Tomba dei Campi Elisi e, come questa, è stata intagliata, trasportata al Museo Nazionale Romano e restaurata nel 2008.
BIBLIO
- S. Aurigemma - Colombari romani della via Portuense - Bollettino d’Arte, vol. 38, 1953 - B. M. Felletti Mai - Le pitture di una tomba della Via Portuense - Rivista dell’Ist. Naz. d’Archeologia e Storia dell’Arte - 1953 - L. Cianfriglia, P. Filippini - Pozzo Pantaleo. Ricostruzione dell’area necropolare - Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma -1987-1988 -
- M. R. Ambrogio, C. Ariosto, L. Cianfriglia, S. Mazzotta, V. Zubboli - Via Portuense, località Pozzo Pantaleo. Indagini archeologiche per l'allargamento della sede stradale - Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma - Ed. L’Erma di Bretschneider - - G. Bendinelli, Le volte a stucco di antichi edifici romani - Architettura e arti decorative - 1922-23 - - E. L. Wadsworth - Stucco reliefs of the I and II centuries still extant in Rome - in Memoirs of the American Academy - IV - Roma - 1924 -
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