LE ARMI ROMANE



Le classiche armi di offesa degli antichi romani erano: 

- la spada corta a due tagli (gladius), 
- la spada lunga (ensis); i legionari romani quando si scontrarono con le tribù galliche e germaniche dovettero affrontare guerrieri con grandi spade a due mani, anche se lo sviluppo di quest'arma dipese dal miglioramento continuo delle corazze, per le più pesanti e rinforzate su cui la normale spada non poteva più nulla. La spada quindi, anche per l'evolversi della metallurgia, cominciò a somigliare alla classica spada a due mani del Medioevo.
- la lancia lunga (hasta), 
- il giavellotto lungo due metri (pilum). 
- I fanti leggeri (velites) avevano invece archi, frecce, fionde e giavellotti. 




.:: ARMI ROMANE DA TAGLIO ::.

Le armi da taglio romane furono il gladio e la spatha, diversificati in tipi diversi a seconda dei luoghi d'origine e delle epoche. Ma prima ancora ebbero lo xiphos e la makhaira.
LO XIPHOS

LO XIPHOS

I Romani furono attenti osservatori ed ottimi copiatori delle altrui risorse, nelle armi, nei meccanismi, nei metalli, nelle lavorazioni, nelle navi, nell'architettura e così via, con un continuo rinnovamento del loro stile di vita ma soprattutto di battaglia perchè la sopravvivenza dipendeva da quella. 

I romani avevano una mente molto aperta, verso le diverse razze, verso le diverse divinità, vero i diversi stili di vita scegliendo di volta in volta cosa fosse migliore per loro, Questa capacità di apprendere dall'esterno fu una delle più grandi risorse dell'impero romano.

TIPI DI SPADE ROMANE
(INGRANDIBILE)
Le prime spade romane furono infatti copiate da quelle della Magna Grecia, praticate nel sud italico e adottate anche dagli Etruschi: e cioè gli xiphos a lama diritta e le makhaira a lama curva.

Lo xiphos era la spada della fanteria greca, con lama in bronzo o ferro, usata tra l'VIII e il VII secolo a.c. quando nacque lo schieramento a falange. 

Lo schieramento della falange era a rettangolo, con la fronte al nemico: le lunghe picche delle prime file venivano puntate orizzontalmente davanti alla falange, mentre quelle dei compagni più arretrati venivano tenute in alto e abbassate solo nell'impatto con il nemico, quando le file della falange si comprimevano.

Secondo Livio, sarebbe stato Romolo a creare, sull'esempio della falange greca, la legione romana, formata da 3.000 fanti e 300 cavalieri, disposta su tre file, con la cavalleria ai lati. 

Ogni fila di 1.000 armati era comandata da un tribunus militum, mentre gli squadroni di cavalleria erano alle dipendenze dei tribuni celerum.

La spada era stata copiata da quella micenea dell'Età del Bronzo, che nell'Età del Ferro era passata all'oplita greco, che la utilizzava come arma di seconda scelta, dopo aver tirato la lancia. Era lo Xipos che aveva impugnatura a una mano e lama a doppio taglio lunga fino a 60 cm.

Gli opliti spartani svilupparono la variante della xiphos corta (30 cm), per colpire solo di punta nelle mischie della fanteria pesante ellenica, usato a partire dalla Guerra del Peloponneso (431 - 404 a.c.), e trasmesso poi nella Magna Grecia, tra gli Etruschi e gli Italici e pure tra i romani.

IL MAKHAIRA

IL MAKHAIRA

Ma la cavalleria preferì allo xiphos una spada monofilare più adatta per i colpi di taglio, il makhaira. Nel Dizionario delle armi viene definita: «antica spada greca, avente la forma di un coltellaccio diritto o ricurvo. Era usato dai greci e dai romani per lo più per uccidere l'essere vivente destinato al sacrificio».

Senofonte (425 - 355 a.c.) riporta che lo xiphos era l'arma più adatta alle armate greche, raccomandando però la makhaira per la cavalleria: 
«Ma per ferire i nemici, a mio parere, è molto meglio il makhaira che lo xiphos, perché venendo il colpo dall'alto più profonda sarà la ferita inferta dal makhaira, arma che ferisce di taglio, che dallo xiphos
(Senofonte, Sull'equitazione - XII, 11-12)

Il makhaira raffigurato nelle opere d'arte era a un taglio, con una porzione convessa espansa rispetto alla parte tagliente della lama verso la punta. L'arma richiedeva slancio ma poteva tagliare anche l'osso.
Sembra che fosse più larga della più moderna sciabola; più simile al falchion o addirittura al machete.



LA SICA

La Sica era una spada corta o comunque un grande pugnale degli antichi Illiri, Traci e Daci, usata anche dai romani, ma originario della cultura di Hallstatt, di fine età del bronzo ed inizio età del ferro. Originariamente era raffigurata come una spada ricurva (vedi il mosaico di Zliten) e molti esempi sono stati trovati nelle odierne Albania, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Serbia e Romania. 

È raffigurata anche sulla Colonna Traiana, dove il Re Decebalus è raffigurato mentre muore suicida con una Sica. La Sica era l'arma da mischia principale tra gli Illiri, mentre le prime sicae si presentavano con lama a un solo taglio, quelle successive furono a doppio taglio.

Fu molto usato tra i gladiatori e siccome l'avversario abituale del gladiatore trace era il mirmillone col grande scudo, la sica del trace aveva una forma atta ad aggirare i lati dello scudo nemico, pugnalandolo dalla schiena, il che rendeva il duello più equilibrato tra i due contendenti.

MOSAICO DI ZLITEN

La sica era l'arma comunemente usata dai Sicani, popolo della Sicilia e dai Traci, polo della Tracia (Bulgaria meridionale, Turchia europea e Grecia nordorientale), ed è raffigurata nelle loro mani lungo tutta la Colonna traiana. 

La sica, che era concava, veniva usata solamente con la curva rivolta verso il basso, e lo stile di combattimento era simile a quello giapponese del Kama. Richiedeva grande allenamento e grande maestria, aveva un impatto talmente forte che poteva recidere un arto con facilità. Era molto temuta dai legionari romani, che dovettero modificare per questo le loro armature.

Questa arma era la più adatta, se usata da mani esperte, a uccidere con un sol colpo, per cui veniva usata dai sicari, gli incaricati di un assassinio a scappa e fuggi. Per questo gli assassini incaricati si dissero sicari, da sica. 

Mantenendo la curvatura rivolta verso il basso la punta si sarebbe con facilità agganciata all'elmo del nemico. Il trace poteva smuovere poi la spada dirigendola verso l'alto entro la mascella e attraverso la faccia uccidendolo all'istante.


ORIGINALE PUGIO ROMANO

IL PUGIO

Il pugio, o pugione, è un coltello-pugnale utilizzato dai soldati romani come arma da combattimento. Gli studiosi concordano che il pugio venisse utilizzato come arma ausiliaria o arma di riserva, ma trovava molti altri impieghi come coltello da cucina o durante i pasti del legionario o per appuntire dei legni. 

I funzionari dell'impero presero l'abitudine di indossare pugi decorati durante lo svolgimento delle loro mansioni per mostrarsi al pubblico in veste ufficiale, ma pure di nasconderli sotto le vesti quali difesa contro gli imprevisti. Il pugio era un'arma comunemente utilizzata negli assassini e nei suicidi, per esempio, i cospiratori pugnalarono a morte Giulio Cesare utilizzando dei pugi.

LINGULA

LA LINGULA

La Lingula era una spada in dotazione all'esercito romano, dall'età regia fino alla prima età repubblicana. Riconoscibile dalla forma a foglia di salice della lama, era lunga circa 50–60 cm, ed era progettata per colpire sia di punta che di taglio.

La sua forma permetteva di concentrare il peso della lama sulla parte alta, aumentando di conseguenza  l'efficacia del colpi di taglio. E' un'arma antichissima, sicuramente di origine greca, dove spade simili, come lo xiphos, erano utilizzate dagli opliti fin dall'età del bronzo. 

L'arma venne gradualmente sostituita nel corso del IV secolo a.c. dal gladius hispaniensis, copiata dalle armi in uso nella Hispania, che divenne poi l'arma principale del legionario romano.
IL GLADIO

IL GLADIO

Gladius, ovvero la spada romana, da cui il termine "gladiatore". Il gladio era infatti una delle armi più usate nei combattimenti-spettacolo organizzati negli anfiteatri romani e i duellanti degli spettacoli presero quindi dalla loro arma più comune il famosissimo nome di gladiatori.

Il gladio veniva portato dai legionari sul fianco destro estraendolo con una abile e veloce torsione del braccio destro, frutto di allenamento continuo, non intralciando così l'uso dello scudo che veniva portato con il braccio sinistro. La velocità con cui si estraeva il gladio e la capacità di tenere la guardia con lo scudo facevano la difficoltà tra la vita e la morte in molte occasioni. 


L'Acciaio saldato

La metallurgia romana d'Età Repubblicana già conosceva l'acciaio saldato che del resto è la prima tecnica di siderurgia usata dall'uomo. Dai forni estrattivi primitivi si otteneva un ammasso di ferro-acciaio pieno di scorie di fusione e carbonio. Forgiandolo, allungandolo e ripiegandolo su se stesso più volte riduceva le inclusioni nocive e la diffusione del carbonio in modo uniforme nel pacchetto rendendo il metallo più coeso e resistente. 

Gli Etruschi del IV secolo a.c. usarono due tipi di acciaio-ferro più ferro meteorico che venivano saldati insieme: l'acciaio (o ferro carburato) per il tagliente; il ferro e il ferro meteorico per i lati della lama, più morbidi e restenti. Questa era la tecnica usata dai fabbri dei Celti e degli Antichi Romani, passata poi ai Germani. 


ORIGINALI GLADII HISPANIENSIS

IL GLADIO HISPANIENSIS

Il gladio venne introdotto in sostituzione della “Lingula”, una spada di origine greca e di forma più allargata, all’incirca nel IV secolo a.c., subendo poi un’evoluzione nel corso degli anni, come tutte le armi da offesa e da difesa dell’esercito romano.

Tra il III ed il II secolo a.c., prima della II guerra punica (218 - 202 a.c.), il legionario romano lasciò le spade del periodo monarchico e alto-repubblicano, come la lingula, o lo xiphos e la makhaira greche, per il gladius hispaniensis o iberiké machaira (spada iberica).

PARTI DI UN GLADIO
I Romani adottarono in effetti spade di tipo celtico in uso ai Celtiberi durante la conquista dell'Hispania, sottomessa a Roma fin dal II secolo a.c. attraverso le Guerre celtibere, e pertanto definito "gladius hispaniensis" o gladio ispanico. 

Il gladio Hispaniensis fu così la prima versione del gladio romano in uso nei secoli della grande espansione romana dalla II Guerra Punica fino all'impero della dinastia giulio-claudia.

Esso venne dunque utilizzato durante l'età repubblicana, nella II Guerra Punica, appeso sul fianco destro di Hastati, Principes e Triarii, e per i primi anni dell'impero. 

Aveva una punta di capace di colpire con violenza di taglio su entrambi i lati, essendo la lama molto robusta e pure molto tagliente. 

Il che comportava che i legionari venivano allenati a colpire sia di dritto che di rovescio, in modo piuttosto funambolico, una capacità che si otteneva solo con un continuo ed estenuante allenamento.

Quando ci stupiamo dell'agilità e velocità delle arti marziali orientali, ignoriamo le capacità dei legionari romani, che combattevano per davvero o per finta ogni giorno.

Questo allenamento perenne consentiva loro di affrontare guerrieri più grandi e grossi e in genere più numerosi di loro.

Il gladio hispaniensis misurava 75 cm di cui 60-66 cm x 4,5-5,5 cm di lama e fu utilizzato per molto più tempo rispetto ai modelli successivi. Secondo una tradizione, secondo altri una leggenda, fu Scipione l'Africano il primo ad usare i gladii hispanici, nelle fasi finali della II Guerra Punica. 

Subito dopo aver conquistato nel 209 a.c. Carthago Nova, la colonia cartaginese divenne nota come centro di produzione delle migliori spade di tutta l'Iberia. Pertanto il generale romano ordinò ai fabbri cittadini ben 100.000 spade in cambio della salvezza della loro comunità e i fabbri obbedirono.

Secondo altri studiosi, i romani conoscevano i gladi ispanici sin dal IV secolo a.c. quando Roma affrontò il "Metus gallicus" il "Terrore gallico" sul suolo italico. Durante la Battaglia del fiume Anio (361 a.c.) Tito Manlio Torquato avrebbe usato un gladius hispaniensis nel duello contro il gigante barbaro celta a cui strappò la torque dal collo, da cui il soprannome Torquato, però non ve ne è certezza assoluta.

ORIGINALI GLADII HISPANIENSIS
Chiamato così per la sua origine iberica, era fornito di una punta di eccezionale efficacia, capace, inoltre, di colpire con violenza di taglio su entrambi i lati.

Livio nella narrazione della II Guerra Macedonica racconta che il legionario, soprattutto in epoca imperiale, se ne serviva principalmente nell'affondo. 

La punta triangolare, ben affilata da ambo i lati, era progettata per penetrare facilmente i corpi degli avversari a breve distanza. 

Le sue ridotte dimensioni infatti avvantaggiavano nel combattimento ravvicinato imposto dal muro di scudi della testuggine rispetto alla spada lunga che richiedeva più mobilità e spazio.

Il “gladius hispaniensis” venne utilizzato durante l’età repubblicana, in particolare durante la seconda guerra punica, ed era appeso sul fianco destro di Hastati, Principes e Triarii.  

Manteneva in genere una lunghezza di circa ai 75 cm. con poche e lievi varianti, e fu utilizzato per molto più tempo rispetto alle successive evoluzioni delle altre armi adottate all'epoca dai romani.

Vi furono ovviamente diversi tipi di gladii, oltre al gladio hispaniensis che fu il primo fra i gladii stranieri a venire copiato e usato abbondantemente, tra questi ricordiamo il Gladius tipo Magonza, e il Gladius tipo Pompei.
GLADIUS TIPO MAGONZA

IL GLADIUS TIPO MAGONZA

La spada Gladius di Magonza Condor è un miglioramento del tradizionale Gladio romano. Esso era dotato di un acciaio al carbonio lucido con una lama incredibilmente affilata. L’elsa era in legno misto a osso. Aveva la parte centrale della lama rastremata e una punta molto lunga, particolarmente adatta a trafiggere l'avversario. 

Le lunghezze delle lame rinvenute fino ad oggi variavano da 40 cm a 55 cm con una larghezza che era compresa nella parte superiore tra 54 e 74 mm, mentre nella parte inferiore prima della punta era di 48-60 mm. La sua punta invece poteva arrivare fino a 20 cm.


Il fodero di legno era di un certo pregio, rivestito in pelle e decorato con accessori in ottone. Questa arma si affermò durante la Pax Augustea, alla presa del potere da parte di Augusto cui seguì effettivamente un lungo periodo di pace e di prosperità, sovrapponendosi, giusto in quel periodo, alla spada iberica durante il corso della prima metà del I secolo.

La maggior parte dei reperti provengono dal territorio romano in Germania, rinvenuti soprattutto nel letto del Reno, da Magonza e da altre località presso le quali si trovarono spade che crearono anche sotto-categorie: es. Gladio Magonza-Fulham; Gladio Magonza-Sisak e così via.


ORIGINALE GLADIUS TIPO POMPEIANUS


IL GLADIUS TIPO POMPEI

Il Gladio tipo "Pompei" iniziò a sostituire il Gladio tipo "Magonza" a partire dalla metà del I secolo e si utilizzò fino all'uso della "spatha" all'inizio del III secolo d.c.. Fu un'arma quanto più possibile standardizzata per permetterne la produzione su vasta scala che potesse così essere di facile produzione e contemporaneamente costare meno, dovendo rifornire quello che al tempo era l'esercito più grande e dispendioso mai conosciuto al mondo.

Il gladio è detto Pompei per il gran numero di reperti trovati negli scavi della città di Pompei, e aveva una lama dritta con lunghezza standardizzata sui 50 cm e larghezza nell'intervallo 4-5 cm., molto più bilanciata del "Magonza". Essa era adatta per causare ferite sia da taglio che da affondo.

ELSE ORIGINALI MODELLO POMPEIANUS


L'ELSA

Entrambi i modelli "Magonza" e "Pompei" avevano un'elsa, detta "capulus", composta da impugnatura in legno, osso o avorio, protetta da una guardia semiovale in legno, chiusa a contatto con la lama da un disco di bronzo, ed erano controbilanciati da un pomello in legno o di altro materiale pregiato.

FODERO ORIGINALE TIPO POMPEIANUS

IL FODERO

Il fodero del gladio era composto da due lamine di legno sottile, arricchite da lamine di bronzo e chiuse all'estremità da un puntale anche questo di bronzo. Le lamine in bronzo potevano essere riccamente decorate con la tecnica dell'"opus interrasile", una tecnica dell’oreficeria romana, diffusa a partire dal III secolo d.c., che consiste nel lavorare a traforo una lamina per cui il motivo decorativo o il disegno vengono formati dai “vuoti” della struttura.

FODERI

Quattro anelli di sospensione permettevano di fissare il fodero al "cingulum", una pratica di probabile origine iberica, dove il cingulum era una cinta detta specificatamente "cingulum militaris" o più propriamente "balteus" per via del fatto che era in origine atto a sostenere oggetti quali il gladio o il pugio.

Il balteus romano era generalmente costituito di cuoio abbellito da borchie in metallo, che poteva essere bronzo, argento o oro, a seconda degli usi e delle possibilità personali, ma il cingulum militare presentava molto spesso delle strisce di cuoio anche esse dotate di borchie dette apron che cadevano a coprire la zona pubica. 

Non si ritiene che l'apron avesse una qualche funzione difensiva, mentre alcuni ritengono, tra le varie ipotesi, quella che potesse evidenziare il rumore dei passi, con il rumore dei sonagli posti alla fine per incutere paura al nemico.

REPLICA ENSIS

L'ENSIS

Ensis o Ensis Falcatus era il nome di una spada romana simile al gladio ma più lunga e stretta, usata solo dalla cavalleria. Oltre a indicare genericamente una "spada", per estensione, indicava complessivamente le armi e la guerra. È nota l'invettiva di Tibullo contro la guerra:
«Quis fuit horrendos primus qui protulit enses?»
«Chi è stato il primo ad inventare le orride armi?»
(Albio Tibullo, Elegie 1, 10)

CAVALLERIA ROMANA MUNITA DI ENSIS O SPATHA

LA SPATHA

Più propriamente la ensis venne chiamata spatha, che fu un'arma d'epoca romana con lama molto più lunga del gladio, all'incirca 80–100 cm. Da essa proviene il termine odierno di spada e veniva usata dai legionari, era di ferro e si piegava facilmente ma senza spezzarsi nelle collisioni con altre lame o scudi. 

Per questo motivo la spatha era utilizzata soprattutto per colpire e non per parare, funzione attribuita invece allo Scutum. Successivamente, la spatha trovò largo utilizzo fra gli ausiliari a cavallo romani, data la lunghezza della lama che permetteva di colpire il nemico più in basso.

SPATHA

La spathafu l’arma bianca più largamente diffusa nell’esercito romano negli ultimi secoli di vita dell’Impero, fra la fine del II e l’inizio del III secolo, così il gladio di tipo Pompeii lasciò il posto a un’arma bianca di dimensioni maggiori (ma dal peso contenuto, circa 1 kg), cioè la spatha, utilizzata dalle truppe a cavallo già da qualche secolo.

La lunghezza della spatha del cavaliere variava dai 65 ai 90 cm, e ce ne sono pervenute raffigurazioni ed esemplari, di cui il meglio conservato è quello di Colonia, del IV secolo, con una lama di 72 cm per 5.2 cm e un’impugnatura in avorio ancora integra.

Viste le dimensioni, era impossibile portarla al fianco destro come un gladio e quindi i legionari iniziarono a portarla sul fianco sinistro, come facevano gli ufficiali con il gladio. Sono state ritrovate più spade romane nelle torbiere danesi che nel resto dell’Impero e coprono un periodo che va dal II al V secolo d.c. 

ARMI ROMANE

I principali siti danesi, tutti fuori dai confini romani, sono quelli di:


1) Thorsbjerg (60-200 ) Spade con else in legno coperte di bronzo e argento. La datazione è dovuta al ritrovamento di 37 monete romane coniate fra il 60 (Nerone) ed il 194 (Settimio Sever0).

2) Vimose (70-260) Oltre 4.000 oggetti, probabilmente gettati in un lago come offerte agli Dei in tre distinte occasioni: fra il 70 ed il 150, attorno al 150 e la terza fra 210 e 260 con tutto 67 spade e 150 pugnali.

3) Nydam (200-350) Del periodo 200-350. Dal fango di Nydam sono state estratte 106 spade. L'elsa era di legno (coperto d’argento), avorio, osso o bronzo massiccio con iscrizioni latine sulle lame.



TIPI DI SPATHA

Per  il periodo che va dal II alla prima metà del IV secolo, ci sono due tipi principali di spatha:

1. Straubing/Nydam (fino alla prima metà del IV secolo). Spatha con lama lunga e stretta, rastremata verso la punta, in cui il rapporto fra lunghezza (65-80cm) e larghezza (4.4cm) è di circa 15-17:1.

2. Lauriacum/Hromowka (II-III secolo). Una spatha con lama più corta e larga e punta trinagolare, in cui il rapporto fra lunghezza (55.7-65.5 cm) e larghezza (6.2-7.5cm) è 8-12:1. Pur con dimensioni maggiori, ha orma simile al gladio Pompeiano.

3. Illerup/Wyhl (seconda metà del III-V secolo) La lama è meno larga del tipo Lauriacum, ma più ampia del tipo Straubing/Nydam. Non c’è rastremazione verso la punta, i due fili scorrono paralleli per tutta la lunghezza della lama.

4. Osterburken/Kemathen (IV-V secolo) Lama molto larga, con un rapporto lunghezza-larghezza analogo a quello del tipo Lauriacum. Senza rastremazione, i due tagli scorrono paralleli fino alla punta triangolare.

5. Asiatico (V secolo). Probabilmente riguarda l’evoluzione della spatha nella parte orientale dell’Impero.

La spatha nacque come arma da cavalleria perchè la lama del gladio era troppo corta per essere usata da cavallo, quindi un’arma bianca con una lama più lunga, adatta a colpire il nemico da distanza maggiore. 

Ricordiamo inoltre che i romani, nel III secolo, abbandonarono anche lo scudo rettangolare, in favore dello scudo tondo, meno protettivo ma permetteva di maneggiare meglio un’arma più ingombrante. Avvenne lo stesso con l’elmo sasanide, che nelle province orientali soppiantò quello romano.

Anche l’estensione della cittadinanza a tutti voluta da Caracalla contribuì ad adottare metodi di combattimento fino ad allora ritenuti barbarici, ma che si diffonderanno nel III secolo anche per la crisi diverranno inarrestabili anche per gli imperatori romani. 

Occorre considerare anche il costo di queste nuove armi: sicuramente scudi ovali, lance e forse anche spathae, oltre alle armature non più segmentate, costavano meno di quelle dell’epoca di Traiano e degli Antonini, data la pesante crisi economica e militare che investiva l’impero.

RUDIARIUS

IL RUDIARIUS

Il termine latino rudiarius deriva dal rudis, la spada di legno usata per esercitarsi ai combattimenti nell'arena delle scuole dei gladiatori. Se i gladiatori avevano ben combattuto nell'arena, dopo qualche tempo veniva loro concesso il congedo o dal sopraintendente ai giochi (ludi) o dal maestro della scuola che consegnavano loro il rudis: una ricompensa simbolica che implicava la concessione della libertà a quelli che avevano scelto volontariamente di combattere nell'arena. 

Infatti i gladiatori nella condizione di schiavi non ottenevano la libertà ma semplicemente la possibilità di non essere più obbligati a combattere. Per ottenere la piena libertà questi dovevano ottenere dal pretore il pileus (pileo), un berretto di lana bianca simbolo dell'affrancazione. Accadeva che i rudiarii per avidità di guadagno tornassero nell'arena a combattere.

Svetonio narra che Tiberio offrì al popolo romano due combattimenti di gladiatori: uno in onore di suo padre e un altro per celebrare il suo avolo Druso: in quest'ultimo gioco riuscì a far tornare a combattere dei valenti ed esperti rudiarii promettendo loro una ricompensa di 100.000 sesterzi. In alternativa, i rudiari tornavano nelle scuole gladiatorie come Doctores (o Magistri), stipendiati dal lanista come addestratori delle reclute.




.:: ARMI ROMANE DA LANCIO ::.


LEGIONARIO CON PILUM

IL PILUM

Era un tipo di giavellotto utilizzato dall'esercito romano nei combattimenti a breve distanza. Il pilum veniva lanciato a 10-25 metri dal bersaglio, ma poteva anche essere usato a distanza più ravvicinata, nel combattimento corpo a corpo. Normalmente ognuno dei soldati (pilani) ne portava due, uno leggero ed un secondo più pesante. I commentatori antichi che ne parlano maggiormente sono Giulio Cesare, Vegezio e Plutarco.

Sembra che il pilum sia stato inventato dagli Etruschi per fermare gli attacchi delle tribù Celtiche nell'Italia Settentrionale. Esiste una grande varietà di "pila" la cui lunghezza poteva variare da 150 a 190 cm. ma tutti avevano un gambo in ferro con lo scopo di attraversare lo scudo e raggiungere il corpo del nemico.

Al tempo della II Guerra Punica, Polibio narra infatti che esistevano due tipi di pilum, utilizzati sia dagli Hastati che dai Principes: uno grosso, a forma rotonda o quadrata del diametro anche di un palmo, ed uno sottile, simile ad una lancia di media lunghezza, la cui asta di legno è lunga tre cubiti mentre la parte in ferro, munita di uncini, è lunga come l'asta di legno.

IMPUGNATURA E LANCIO DEL PILUM

«... e poiché incastrano la parte di ferro del pilum fino a metà dell'asta, fissandolo poi con numerosi ribattini, la congiunzione risulta così ferma e la funzionalità assicurata, che usandolo, prima che si allenti l'incastro, si spezza il ferro, malgrado nel punto di congiunzione con l'asta di legno abbia una grandezza di un dito e mezzo. Tale e tanta è la cura con cui i Romani mettono insieme i due pezzi
(Polibio, Storie, VI, 23, 11.)

La parte finale del pilum era costituita da ferro dolce, tranne la punta, di modo che, piegatosi dopo aver trafitto lo scudo nemico, lo rendeva difficile da maneggiare e induceva il nemico a liberarsene e quindi a combattere senza protezione. Inoltre, una volta piegata, l'arma non poteva essere rilanciata contro i Romani. 

Altri pila, con lo stesso principio, avevano la punta di ferro incernierata all'asta di legno a cui era fissata con un fragile perno di legno che si rompeva all'urto: l'arma si piegava con le stesse conseguenze sul nemico.

Lo conferma Giulio Cesare nel De bello Gallico:
«I Romani, lanciando dall'alto i giavellotti, riuscirono facilmente a rompere la formazione nemica e quando l'ebbero scompigliata si gettarono impetuosamente con le spade in pugno contro i Galli; questi erano molto impacciati nel combattimento, perché molti dei loro scudi erano stati trafitti dal lancio dei giavellotti e, essendosi i ferri piegati, non riuscivano a svellerli, cosicché non potevano combattere agevolmente con la sinistra impedita; molti allora, dopo aver a lungo scosso il braccio, preferivano buttare via lo scudo e combattere a corpo scoperto
(Cesare, De bello Gallico)


I Romani adottarono il pilum dal IV secolo a.c. durante le guerre con i Celti e poi nel centro e sud Italia. Plutarco narra in uno scontro con i Galli (377-374 a.c.), in cui Romani sconfissero le armate celtiche, fermandone una nuova invasione:

«... Camillo portò i suoi soldati nella pianura e li schierò a battaglia in gran numero con grande fiducia, e come i barbari li videro, non più timidi o pochi in numero, come invece si aspettavano. Ciò mandò in frantumi la fiducia dei Galli, i quali credevano di essere loro ad attaccare per primi. 
Poi i velites attaccarono, costringendo i Galli a entrare in azione, prima che avessero preso posizione con lo schieramento abituale, al contrario schierandosi per tribù, e quindi costretti a combattere a caso e nel disordine più totale.
Quando infine Camillo condusse i soldati all'attacco, il nemico sollevò le proprie spade in alto e si precipitò all'attacco. Ma i Romani lanciarono i giavellotti, ricevendo i colpi sulle parti dello scudo protette dal ferro, che ora ricopriva gli spigoli, fatti di metallo dolce e temperato debolmente, tanto che le loro spade si piegarono in due; mentre i loro scudi furono perforati e appesantiti dai giavellotti. 
I Galli allora abbandonarono le proprie armi e cercarono di strapparle al nemico, tentando di deviare i giavellotti afferrandoli con le mani. Ma i Romani, vedendoli disarmati, passarono alle spade, e ci fu una grande strage dei Galli della prima linea, mentre gli altri fuggirono nella pianura; le cime delle colline e dei luoghi più elevati erano stati occupati in precedenza da Camillo, e i Galli sapevano che il loro accampamento poteva essere facilmente preso, dal momento che, nella loro arroganza, avevano trascurato di fortificarlo. 
Questa battaglia, dicono, fu combattuta tredici anni dopo la presa di Roma, e produsse nei Romani una sensazione di fiducia verso i Galli. Essi avevano potentemente temuto questi barbari, che li avevano conquistati in un primo momento, più che altro credevano che ciò fosse accaduto in una straordinaria disgrazia, piuttosto che al valore dei loro conquistatori
(Plutarco, Vita di Camillo, 41, 3-6.)

REPLICA DI UN PILUM

I primi pilum avevano un bastone relativamente corto e una punta più piccola di quella delle lance, ed erano adoperati per lo più dai Velites. Nel II e I secolo a.c. divennero più pesanti e lunghi, in dotazione ai Principes e agli Hastati. Le truppe avversarie  erano spesso di fanteria leggera con scarse protezioni e quindi esposti ai pila. Questo spiega perchè il pilum ebbe largo uso contro i celti in epoca repubblicana.

La tattica in questa epoca prevedeva il lancio congiunto dei pilum dalla prima fila di Hastati per arrestare l'assalto e poi procedere col gladio in pugno. L'utilizzo dei Principes e Triarii avveniva solo se l'ordine precedente rompeva. Il progressivo disuso in epoca Imperiale è per l'abbandono della fanteria come punto di forza e con questo anche del pilum a favore degli arcieri e dell'artiglieria. 

LEGIONARIO ROMANO MUNITO DI HASTA (V SECOLO)

HASTA

L'hasta fu un'arma usata dai primi legionari romani, pertanto quelli che la usavano prendevano il nome di Astati (hastati), ma venne usata pure da alcune classi gladiatorie, come l'hoplomachus, "colui che combatte come un oplita", che combatteva con lancia e spada, cioè con hasta e spatha.

Tuttavia, nel periodo repubblicano, gli astati erano equipaggiati con il pilum ed il gladio mentre l'asta era riservata ai soli triari. Questi formavano la terza ed ultima linea della fanteria dell'esercito della Roma repubblicana, per questo si dicevano triarii.

Al contrario del pilum, del verutum o della lancea, l'hasta non era usata per il lancio ma riservata ad un uso di scherma ravvicinata, con l'offesa portata di punta. Un'hasta era lunga circa 1,80 metri con un'impugnatura in frassino, mentre la punta era di ferro.

Erano i veterani che formavano l'ultima linea di battaglia nelle legioni manipolari, dietro la seconda linea dei principes. Il loro ruolo era quello di entrare in azione nel caso in cui fossero collassate le prime due linee dello schieramento, quelle degli astati e dei principi. Era la linea più forte, più addestrata e più temuta ovunque.
VARI TIPI DI LANCE ROMANE

HASTA PURA

L'hasta pura era una lancia d'argento senza la punta di ferro utilizzata in combattimento. Da Tacito  sappiamo che un' hasta pura era data come decorazione al merito, elargita dai generali romani ai soldati, quando riuscivano a salvare la vita di un concittadino. 

Rufus Helvius, soldato comune, che aveva salvato la vita di un cittadino, venne premiato da Apronio con un torques e una lancia, a cui l'imperatore aggiunse la corona civica, rammaricandosi che Apronio non si fosse avvalso del suo potere di proconsole per attribuire questa ulteriore onorificenza.

Il dono veniva anche dato al Primus Pilus che completasse il suo periodo di servizio. A volte, un tale dono è ricordato nelle iscrizioni funebri.

CATAFRATTI ROMANI CON CONTUS

IL CONTUS

Il Kontos indicava un tipo di lancia da cavalleria in uso presso i nomadi Sarmati, popolo iranico abitante le steppe lungo il Volga, le regioni pedemontane degli Urali meridionali e la steppa del Kazakistan occidentale. In seguito venne adottata dai catafratti dell'Impero romano, dell'Impero persiano e dell'Impero bizantino per ultimo.

Il kontos greco venne sviluppato tra l'inizio e la metà del I secolo da un tipo di lancia più piccolo, era lunga tra i 3 e i 4 metri fino a 4.5 metri. Era a due mani mentre il cavallo veniva diretto colle ginocchia, richiedendo grande maestria sia nelle armi che nell'equitazione.

I romani adottarono una variazione del kontos, chiamato contus, anch'esso a due mani. L'arma bizantina kontarion, invece, veniva usata dai catafratti bizantini con una sola mano, grazie ad uno speciale alloggiamento posto sotto l'ascella.

LANCERE SARMATA MUNITO DI KONTUS

Il primo ad introdurre unità militari di cavalleria dotate di kontus fu l'imperatore Traiano, grande osservatore e grande stratega, durante la conquista della Dacia, dal 101 al 106 d.c.. Si trattava dell' "Ala I Ulpia contariorum milliaria". 

Questa unità venne posizionata fin dall'inizio nella Pannonia superiore, nei pressi di Arrabona, forte romano del limes danubiano nel settore pannonico, alcune sue vexillationes parteciparono nel corso del II secolo a qualche operazione militare in Mauretania e della stessa "Ala I Ulpia contariorum milliaria" abbiamo ancora notizie nel III secolo, quando venne trasferita in Siria, dove ancora stanziava nel 252.

In seguito nuove unità dotate di contus furono create a partire da Adriano con cavalieri catafratti, come l' "Ala I Gallorum et Pannoniorum catafractaria", formata da sarmati Roxolani, i quali erano stati sistemati in Gallia e Pannonia dopo le guerre condotte contro di loro nel periodo 107-118. 

Una campagna contro i Roxolani venne intrapresa poi da Marco Aurelio (121-180), sempre sulle rive del Danubio, dove vennero sconfitti. È noto inoltre che i Roxolani attaccarono la provincia romana della Pannonia nel 260 senza risultati. Poco dopo alcuni contingenti della tribù vennero arruolati nell'esercito romano.



GLI ARCHI E LE FRECCE

Gli archi romani, come tutti quelli dell'epoca, sfruttavano le caratteristiche di più materiali dal legno ai tendini animali, ma non tutti i legni potevano essere utilizzati per la fabbricazione di un arco, tra i migliori c’era il tasso, sempreverde e non resinoso con il tronco costituito da due strati, uno più elastico esterno ed uno interno più resistente alla flessione che conferisce resistenza alla piegatura. Ma già si ricava una potenza dalla semplice flessione di un pezzo di legno debitamente tagliato e piegato.

IL SAGITTARIUS

I SAGITTARII

I sagittarii erano le truppe degli arcieri che militavano nell'esercito romano, sia come reparti di cavalleria che di fanteria. In seguito alla riforma augustea dell'esercito romano fecero parte dei reparti ausiliari, come le coorti peditatae, equitatae o le alae di cavalleria.

venne costituito un discreto numero di unità ausiliarie di arcieri (almeno 32, nel II secolo), denominate dai Romani sagittariorum o sagittarii (da sagitta = freccia). Queste 32 unità potevano contare su 17.600 arcieri, con cui davvero con le loro frecce avrebbero potuto oscurare il sole.

Dal 218 a.c., gli arcieri dell'esercito repubblicano erano tutti mercenari, provenienti dall'isola di Creta, che aveva una lunga tradizione in merito. Nella tarda Repubblica (88-30 a.c.) e poi in età augustea, gli arcieri provennero da altre province appena costituite, regioni con forti tradizioni nel tiro con l'arco. Tra queste si ricordano la Tracia, Anatolia e la Siria. Dei 32 reparti di Sagittarii della metà del II secolo, 13 provenivano dalla Siria, 7 dalla Tracia, 5 dall'Anatolia e solo 1 da Creta, con altre 6 di origini incerte.

Conosciamo, inoltre, tre differenti tipo di arcieri, rappresentati sulla Colonna di Traiano:
(a) con corazza scalare, elmo conico in metallo e mantello, provenienti da Siria e Anatolia; 
(b) senza armatura, con un copricapo conico ed una lunga tunica;
(c) di tipo tracio, equipaggiati allo stesso modo dei fanti ausiliari, muniti di archi al posto di giavellotti.

Gli archi standard usati dalle auxilia romane erano archi compositi, ricurvi, sofisticati, compatti e molto potenti.

IL FUNDITOR CON LA SUA FUNDA

LA FUNDA

La Funda, o Frombola fu in pratica una fionda composta da una sacca contenente il proiettile (di sasso, pietra o piombo) con due lacci, uno dei quali terminava con un cappio. Il proiettile si metteva nella sacca e si faceva ruotare la frombola: la forza centrifuga sprigionata dal moto dava velocità al proiettile, che volava nell'aria quando si lasciava l'altro laccio. 

L'utilizzo della frombola risale all'antichità (Sumeri, Assiri, Egizi) e l'esempio più famoso è quello del combattimento biblico tra Davide e Golia. Pare che la distanza raggiungibile massima fosse di 300 metri, ma pure a 400 metri.

Gli eserciti più organizzati avevano reparti di frombolieri, dei fanti con armatura molto ridotta per cui molto mobili e veloci, specializzati nell'uso della frombola, come i Rodii e soprattutto i fanti delle Isole Baleari, che iniziarono ad essere utilizzati come mercenari dai siracusani e dai cartaginesi.

La frombola venne anche usata dai fanti romani, come raffigurato sulla colonna Traiana. L'utilizzo di proiettili costruiti, anzichè dei sassi, davano più uniformità in peso e dimensione, migliorando la precisione nei lanci, con minimo ingombro nel trasporto. Le ghiande di piombo furono le più adatte ed usate e pesavano dai 20 ai 150 grammi.

LA FUNDA

Durante l'Impero romano la funda venne perfezionata con la frombola a palo (fustibalus in latino) o fionda a doghe, costituita da un pezzo di legno con una breve imbracatura a un'estremità e una corda, fissata alla doga, che all'altra estremità ha un anello che può scivolare via e rilasciare il proiettile. La doga può essere realizzata fino a due metri, creando una potente leva che può lanciare più forte e più distante.

La fionda, divenne particolarmente utile negli assedi e nelle scaramucce a distanza, o come copertura, ad esempio, durante l'attraversamento di un fiume. Come proiettili venivano usati sassi e pietre, disponibili anche sui campi di battaglia. Ma ci furono anche in argilla cotta e le "ghiande-missili" in piombo o terracotta, che permettevano una maggiore perforazione, una maggiore precisione e una maggiore cadenza di tiro.

I proiettili solitamente riportavano un'incisione o un rilievo con insulti al nemico, o tipo "Prendi questo", o al nome del fromboliere o dell'artigiano, alla richiesta di benedizione di qualche divinità per guidare il proiettile. In epoca repubblicana romana i proiettili vennero prodotti in serie e vi era impresso il fulmine di Giove. 

Presso una fortezza caledonica espugnata sotto l'impero di Antonino il Pio a nord del vallo Adriano sono stati trovati numerosi proiettili in piombo forati, che una volta lanciati sprigionavano un sinistro fischio, con un effetto psicologico sul nemico.


Vedi anche:


BIBLIO

- Peter Connolly - L'esercito romano - Milano - Mondadori - 1976 -
- Ewart Oakeshott - The Archaeology of Weapons - Barnes & Noble - 1994 -
- Bishop MC - The Gladius: The Roman Short Sword - Bloomsbury Publishing - 2016 -
- Vegezio - Epitoma rei militaris -
- Fields, N. - Roman Auxiliary Cavalryman - Oxford - 2006 -
- Goldsworthy, A.K. - The Roman Army at War, 100 BC-AD 200 - Oxford-New York - 1998 -
- Svetonio - Tiberio- Gaio Svetonio Tranquillo - Vite dei Cesari -
- Augenti D - Spettacoli del Colosseo: nelle cronache degli antichi - Roma - L'erma di Bretschneider - 2001 -
- Meijer F - Un giorno al Colosseo : il mondo dei gladiatori - Laterza - 2006 -

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