RICOSTRUZIONE PLANETARIO ANTIKYTHERA |
Il meccanismo di Antikythera (o macchina di Anticitera), è uno strumento per calcoli astronomici rinvenuto nel 1901 nel relitto di un mercantile romano di 2.000 anni fa al largo dell'isolotto di Anticitera, o Antikythera, tra Creta e il Peloponneso.
Quando fu ripescato in mezzo a statue di marmo e anfore incrostate, il reperto non destò l'interesse degli scienziati finchè non si accorsero di alcuni sofisticati ingranaggi in bronzo al suo interno, con ruote dentate di precisione spesse pochi millimetri, il che faceva pensare ad una avanzata tecnologia.
In totale, i frammenti, gli ingranaggi e le incisioni rinvenuti furono 82, sui quali si è studiato per più di 100 anni, giungendo a capire che aveva a che fare con la tracciatura del moto solare, lunare e delle cinque stelle erranti.
IL PLANETARIO DI ARCHIMEDE E LA MACCHINA DI ANTIKYTHERA
"Caio Sulpicio Gallo, tribuno dei soldati della II legione, che era stato l'anno prima pretore, con il permesso del console, chiamati i soldati a parlamento, annunciò loro che la notte seguente, perchè qualcuno non lo prendesse come un prodigio, dall'ora II fino alla IV la luna si sarebbe oscurata; questo poichè accadeva per l'ordine naturale ed in certi tempi definiti, lo si poteva sapere e predire in anticipo.
IL PLANETARIO RINVENUTO AD OLBIA
Nel 1974, il fisico britannico Derek J. de Solla Price pubblicò un articolo in cui si mettevano per la prima volta in relazione il planetario di Archimede e la macchina di Anticitera, suggerendo che riguardassero il genio di Siracusa. Egli aveva evidenziato nuove analogie con il "planetario" ideato da Archimede di Siracusa (287-212 a.c.), un reperto razziato dai Romani durante il sacco della città in cui perse la vita il genio siceliota.
Lo straordinario strumento (che mostrava il moto dei pianeti, le eclissi ecc.), oggi perduto, è stato descritto da Cicerone che nel 166 a.c. ebbe l’occasione di esaminare il planetario di Archimede, mostratogli dal suo collega di consolato Marco Claudio Marcello. Questi, nipote del Marco Claudio Marcello conquistatore di Siracusa, lo aveva infatti ereditato dal nonno, che l’aveva portato a Roma come bottino di guerra.
Cicerone, il quale scrive che nel 212 a.c., quando Siracusa fu saccheggiata dalle truppe romane, il console Marco Claudio Marcello portò a Roma un apparecchio costruito da Archimede che riproduceva la volta del cielo su una sfera e un altro che prediceva il moto apparente del sole, della luna e dei pianeti, equivalente quindi a un moderno planetario.
La descrizione del console romano viene riferita da Cicerone a proposito della Sapienza, nel De re publica:
E così, come ad esempio nessuno si meraviglia che la luna splenda ora con un disco pieno, ora invecchiando con un corno sottile, conoscendosi con certezza il sorgere e il tramontare del sole e della luna, così non dovevano ritenere un prodigio che essa si oscurasse immergendosi nell'ombra della terra.
La notte che precedette le none di settembre, all'ora indicata, quando la luna si oscurò, parve ai romani quasi divina la scienza di Gaio Gallo, colpì invece i Macedoni, come tristo prodigio che indicava la caduta del regno e la rovina. Si ebbero grida ed urla nei campi dei Macedoni, fino a quando la luna non riprese il suo chiarore."
PLANETARIO ANTIKYTHERA |
Un ingranaggio probabilmente identificabile come appartenuto al planetario di Archimede è stato rinvenuto nel luglio del 2006 a Olbia. Il planetario, che sarebbe stato tramandato ai discendenti del conquistatore di Marcello, potrebbe essere andato perso nel sottosuolo cittadino di Olbia prima del naufragio della nave che trasportava Marco Claudio Marcello (console 166 a.c.) in Numidia.
Cicerone scrisse che già il filosofo Posidonio aveva realizzato un globo che mostrava i moti del Sole, delle stelle e dei pianeti come appaiono in cielo. E che pure Archimede aveva concepito un modello che imitava i movimenti dei corpi celesti.
Una recente analisi, basata su scansioni ai raggi-X del meccanismo, fatta da Michael Wright, curatore dell Istituto di Ingegneria meccanica al Museo delle Scienza di Londra, ha portato all'individuazione dell'esatta posizione di ogni ingranaggio.
Wright ha trovato prove che il meccanismo di Antikythera sarebbe stato in grado di riprodurre accuratamente il moto del sole e della luna, usando un modello epiciclico elaborato da Ipparco, e dei pianeti Mercurio e Venere, usando un modello epiciclico elaborato da Apollonio di Perga.
Ha inoltre dichiarato che il meccanismo deve essere stato costruito mediante l'ausilio di antichi attrezzi, anche se la realizzazione di una ruota metallica dentata implica l'utilizzo di lame sofisticate ed un altissima abilità. In suo onore un cratere lunare porta il suo nome.
Da Olbia un frammento del planetario di Archimede
di GIOVANNI PASTORE
"Nel luglio del 2006, durante uno scavo d’emergenza nella piazza del Mercato civico nell’abitato di Olbia, fu raccolto un frammento di una ruota dentata con denti che parvero allora di profilo triangolare. Dopo lunghi e approfonditi studi, sono emerse tre novità principali: il frammento risale alla fine del III o
inizio del II secolo a.c.; il profilo dei piccoli denti è risultato curvo, non triangolare; il materiale di cui è composto non è bronzo ma ottone.
Poiché nello scavo sono stati trovati unicamente reperti che vanno dalla fine del III all’inizio del II secolo a.c., la cronologia del frammento è del tutto compatibile con la fine del III secolo a.c., e cioè con il culmine dell’attività di Archimede, che corrisponde proprio alla fase apicale della scienza ellenistica.
Attualmente è il più antico ingranaggio della storia e non stupisce, quindi, che stia suscitando un grandissimo interesse nella comunità scientifica internazionale.
Dopo il ritrovamento del Calcolatore di Antikythera, avvenuto nel 1902, per cinquant’anni non si è capito cosa fosse.
IL CALCOLATORE ASTRONOMICO
Nel 1951 Derek John De Solla Price (1922-1983) cominciò, per la prima volta, a studiare il meccanismo nei dettagli anche con radiografie ai raggi gamma e, dopo circa 20 anni di ricerche, riuscì a capire come funzionava definendolo un calcolatore astronomico, cioè un planetario meccanico, il più antico calcolatore analogico conosciuto della storia. Aveva la funzione di riprodurre le fasi lunari e il moto del Sole e della Luna fra le costellazioni dello zodiaco.
Probabilmente poteva rappresentare anche il moto attorno al Sole dei pianeti visibili ad occhio nudo (Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno). Poteva servire sia come strumento per la navigazione sia come strumento per indagini astronomiche. Gli ingranaggi di bronzo sono stati realizzati con la tecnologia all’epoca disponibile, comunque insufficiente per la precisione che si poteva ottenere.
Il Calcolatore di Antikythera è ad oggi l’unico planetario giunto fino a noi, ma le fonti ne citano un altro costruito da Archimede nel III sec. a.c., anch'esso presumibilmente con meccanismi ad ingranaggi. Infatti Cicerone (106-43 a.c., contemporaneo quindi all'affondamento del Calcolatore di Antikythera) riferisce (De Re Publica, I, 14, ed inoltre anche 21 e 22; Tusculanae disputationes, I, 63) che, dopo la conquista di Siracusa nel 212 a.c., il console romano Marcello aveva portato a Roma un globo celeste e un planetario costruiti da Archimede (287-212 a.c.).
Questo planetario è menzionato anche da Ovidio (I sec. a.c.) nei Fasti (VI, 263-283), da Lattanzio (IV sec. d.c.) nelle Divinae institutiones (II, 5, 18) e in un epigramma di Claudiano (IV sec. dc.)
intitolato In sphaeram Archimedis. In particolare, Claudiano aggiunge che lo strumento era racchiuso in una sfera stellata di vetro.IL CALCOLATORE PORTATILE
I planetari meccanici ad ingranaggi, come quello di Antikythera o di Archimede, funzionavano come un calcolatore portatile a programma fisso nel senso che si inserivano i dati, i giri della manovella corrispondenti ai giorni, e la macchina dava direttamente le informazioni attinenti, cioè le posizioni del Sole e della Luna rispetto alle costellazioni (e forse anche le posizioni degli altri pianeti).
Nel planetario di Antikythera il moto del Sole e della Luna è rappresentato da due lancette che ruotano a differenti velocità sul quadrante anteriore su cui sono riportate le costellazioni dello zodiaco. Purtroppo non è rimasta alcuna descrizione dettagliata dei meccanismi che animavano il planetario di Archimede in quanto la sua opera "Sulla costruzione della Sfera", in cui descriveva i principi seguiti nella costruzione, è andata perduta. Notizie dell’esistenza di quest’opera ci pervengono da Pappo.
I denti dell’ingranaggio di Olbia, prima del restauro, apparivano a forma triangolare, come quelli del reperto di Antikythera e come quelli di tutti gli altri ingranaggi realizzati nei secoli successivi, perfino come quelli disegnati da Leonardo da Vinci per le sue macchine.
Con grande stupore, invece, dal restauro è emersa una evidenza inaspettata e ben più importante: il profilo dei denti dell’ingranaggio non è risultato triangolare, ma curvo, e per di più straordinariamente simile, nella forma e nelle dimensioni, a quello dei denti degli ingranaggi moderni.
La perfezione dell’ingranamento, senza giochi eccessivi e interferenze, si raggiunge negli ingranaggi moderni il cui profilo coniugato è il risultato di studi matematici accurati e profondi.
I denti triangolari degli ingranaggi come quelli del Calcolatore di Antikythera. e dell’astrolabio bizantino, invece, permettono ugualmente l’ingranamento, ma in modo molto grossolano per l’eccessivo gioco fra i denti in presa e per problemi di interferenza, che provocano impuntamenti nella rotazione.
Al computer è stato ricostruito il profilo della corona dentata del reperto e a questo sono stati sovrapposti, comparativamente, sia il profilo triangolare di una identica ruota e sia il profilo moderno di una analoga ruota dentata avente gli stessi elementi caratteristici (modulo, numero dei denti, diametro primitivo).
Dalle misurazioni comparate sui profili risulta una impressionante coincidenza del profilo dei denti di Olbia con quelli degli ingranaggi moderni, mentre sono molto marcate le differenze dimensionali con gli ingranaggi a profilo triangolare.
Il reperto di Olbia presenta anche un dente rotto con inizio rottura a metà altezza, proprio dove comincia ad essere rilevante la sollecitazione di flessione, prova inconfutabile che l’ingranaggio faceva parte di un meccanismo che ha lavorato. Recentemente è stata eseguita l’analisi chimica spettrografica del materiale ed è emersa un’altra sorpresa inattesa.
Il frammento metallico che si pensava fosse bronzo, una lega di rame e stagno molto diffusa e utilizzata nell’antichità, così come quello degli ingranaggi di Antikythera o degli altri meccanismi antichi, è risultato invece ottone, una lega di rame e zinco.
L’ottone era molto più prezioso del bronzo, ma più appropriato per la costruzione di organi molto sollecitati come le ruote dentate, per le sue migliori proprietà meccaniche e tecnologiche, così come infatti è avvenuto per la costruzione della maggior parte degli strumenti scientifici fin dal tardo Medioevo.
Il reperto evidenzia anche una straordinaria precisione costruttiva, nonostante sia stato realizzato manualmente in un mondo in cui la tecnologia meccanica era di livello molto basso rispetto a quello attuale, e comunque insufficiente per un meccanismo così complesso cinematicamente, per la mancanza all’epoca di speciali attrezzature, macchine utensili e strumenti di misura, elementi indispensabili per eseguire una corretta lavorazione metalmeccanica.
A questo punto è sorto spontaneo il sospetto che a costruire questo ingranaggio, compreso tutto il meccanismo di cui faceva parte, sia stata una mente geniale, il cui pensiero scientifico, dall’astronomia alla matematica e alla scienza dei materiali, era avanti di secoli, se non addirittura di millenni, rispetto al suo tempo.
Il reperto di Olbia presenta anche un dente rotto con inizio rottura a metà altezza, proprio dove comincia ad essere rilevante la sollecitazione di flessione, prova inconfutabile che l’ingranaggio faceva parte di un meccanismo che ha lavorato. Recentemente è stata eseguita l’analisi chimica spettrografica del materiale ed è emersa un’altra sorpresa inattesa.
Il frammento metallico che si pensava fosse bronzo, una lega di rame e stagno molto diffusa e utilizzata nell’antichità, così come quello degli ingranaggi di Antikythera o degli altri meccanismi antichi, è risultato invece ottone, una lega di rame e zinco.
L’ottone era molto più prezioso del bronzo, ma più appropriato per la costruzione di organi molto sollecitati come le ruote dentate, per le sue migliori proprietà meccaniche e tecnologiche, così come infatti è avvenuto per la costruzione della maggior parte degli strumenti scientifici fin dal tardo Medioevo.
Il reperto evidenzia anche una straordinaria precisione costruttiva, nonostante sia stato realizzato manualmente in un mondo in cui la tecnologia meccanica era di livello molto basso rispetto a quello attuale, e comunque insufficiente per un meccanismo così complesso cinematicamente, per la mancanza all’epoca di speciali attrezzature, macchine utensili e strumenti di misura, elementi indispensabili per eseguire una corretta lavorazione metalmeccanica.
A questo punto è sorto spontaneo il sospetto che a costruire questo ingranaggio, compreso tutto il meccanismo di cui faceva parte, sia stata una mente geniale, il cui pensiero scientifico, dall’astronomia alla matematica e alla scienza dei materiali, era avanti di secoli, se non addirittura di millenni, rispetto al suo tempo.
IL GENIO SIRACUSANO
Dalle fonti al momento disponibili, un uomo che corrispondeva a questa descrizione era Archimede di Siracusa, il matematico e inventore più stimato del suo tempo. Data la pregevole fattura del reperto, le piccole dimensioni e tutte le conoscenze scientifiche che la sua realizzazione presuppone, è ovvio pensare che fosse un frammento del tanto celebrato planetario di Archimede, anche perché il meccanismo o parte di esso non è mai stato ritrovato.
Dal momento che la pertinenza di questi congegni doveva essere fortemente elitaria e che dopo la conquista della Sardegna nel 238 a.c. Roma vi invia merci, milizie e la migliore aristocrazia con funzioni di governo, è facile intuire che gli esponenti in sede locale erano intenti a dispiegare il maggiore apparato possibile di esibizione del rango in termini di mezzi, uomini e beni di prestigio.
In questo quadro è del tutto plausibile individuare in uno di questi aristocratici provenienti da Roma e residente ad Olbia, o anche solo di passaggio da o per le province occidentali, il possessore del dispositivo esibito in loco sfruttandone le capacità previsionali di fenomeni celesti come segno di conoscenza superiore del cosmo, se non proprio di rapporto privilegiato con esso o, se del caso, per prevenire momenti di sbigottimento del popolo per fenomeni astrali ritenuti segno di sciagura.
In un mondo in cui dominava la superstizione e con conoscenze scientifiche molto limitate e solo patrimonio di pochi, per qualunque individuo del mondo antico un congegno del genere avrebbe avuto un valore incalcolabile. Capire il movimento del Sole e della Luna nel cielo equivaleva ad entrare nella mente degli Dei.
Dalle fonti al momento disponibili, un uomo che corrispondeva a questa descrizione era Archimede di Siracusa, il matematico e inventore più stimato del suo tempo. Data la pregevole fattura del reperto, le piccole dimensioni e tutte le conoscenze scientifiche che la sua realizzazione presuppone, è ovvio pensare che fosse un frammento del tanto celebrato planetario di Archimede, anche perché il meccanismo o parte di esso non è mai stato ritrovato.
Dal momento che la pertinenza di questi congegni doveva essere fortemente elitaria e che dopo la conquista della Sardegna nel 238 a.c. Roma vi invia merci, milizie e la migliore aristocrazia con funzioni di governo, è facile intuire che gli esponenti in sede locale erano intenti a dispiegare il maggiore apparato possibile di esibizione del rango in termini di mezzi, uomini e beni di prestigio.
In questo quadro è del tutto plausibile individuare in uno di questi aristocratici provenienti da Roma e residente ad Olbia, o anche solo di passaggio da o per le province occidentali, il possessore del dispositivo esibito in loco sfruttandone le capacità previsionali di fenomeni celesti come segno di conoscenza superiore del cosmo, se non proprio di rapporto privilegiato con esso o, se del caso, per prevenire momenti di sbigottimento del popolo per fenomeni astrali ritenuti segno di sciagura.
In un mondo in cui dominava la superstizione e con conoscenze scientifiche molto limitate e solo patrimonio di pochi, per qualunque individuo del mondo antico un congegno del genere avrebbe avuto un valore incalcolabile. Capire il movimento del Sole e della Luna nel cielo equivaleva ad entrare nella mente degli Dei.
SOLDATO ROMANO UCCIDE ARCHIMEDE |
Da approfondite ricerche storiche e comparando i dati con le scarse fonti letterarie disponibili risulta che proprio Marco Claudio Marcello, nipote dell’omonimo generale romano conquistatore di Siracusa, è stato l’ultimo possessore conosciuto del Planetario di Archimede.
L’esibizione in Roma di questo straordinario strumento astronomico pervenuto col console Marcello nel 212 a.c., subito dopo l’occupazione e la distruzione di Siracusa, deve avere avuto un grande impatto sull’aristocrazia romana.
Mostrato con orgoglio dal possessore e motivo di vanto tale che la famiglia, nella figura dell’omonimo nipote di Marcello, lo detiene ancora funzionante nel 166 a.c., secondo quanto scritto da Cicerone che fa riferimento all’opera, ora perduta, di Gaio Sulpicio Gallo che aveva potuto osservarlo grazie alla cortesia del suo collega di consolato. È noto che Marco Claudio Marcello, nipote dell’omonimo generale, è stato inviato da Roma in Spagna nel 152 ac. e in Numidia nel 148 a.c., dove, nel viaggio di andata, naufragò.
È evidente che in tali occasioni sicuramente avrà fatto scalo ad Olbia, e non avrebbe potuto non portare con sé il Planetario di Archimede da ostentare quale status symbol del potere personale oltre che familiare e, più in generale, dell’intera Roma.
Il planetario sicuramente poteva essere utilizzato anche per prevedere le eclissi e così impressionare e intimorire i nemici, o per rassicurare i soldati romani che gli eventi imminenti non erano nefasti, come fece per esempio Gaio Sulpicio Gallo che previde un’eclissi lunare alla vigilia della battaglia di Pidna, ed evitò che le truppe romane fossero intimorite dal fenomeno.
A questo proposito, visto che il console Gaio Sulpicio Gallo è proprio l’autore dell’opera citata da Cicerone, è quanto meno molto probabile che la sua previsione di eclisse fosse basata sui dati ottenuti direttamente tramite il planetario in possesso di Marcello.
Forse il Planetario, in occasione di uno scalo ad Olbia, forse durante una esibizione in onore delle autorità locali, ha subito danni irreparabili ed è finito così, in tutto o in parte, nel sottosuolo cittadino.
Tale evento ha dato un notevole contributo alla conoscenza del genio di quello che possiamo considerare il più grande scienziato del periodo ellenistico. Ci permette, inoltre, di comprendere ancor più il motivo che avrebbe indotto Marcello, comandante dell’esercito romano durante l’assedio di Siracusa, ad ordinare ai suoi soldati di salvare la vita dell’illustre scienziato siracusano, probabilmente affinché anche Roma potesse usufruire dei servizi di cotanto genio. Con la sua morte gran parte della sua sapienza è andata perduta per sempre.
Il reperto di Olbia è di notevole valore archeologico e scientifico in quanto va a retrodatare di più di un secolo le conoscenze tecnico-scientifico-astronomiche che il Calcolatore astronomico di Antikythera già presupponeva. Il fatto, poi, che l’Ingranaggio di Olbia risulta essere, come già detto, ancora più evoluto rispetto a quello di Antikythera, evidenzia la grande levatura scientifica dello scienziato siracusano.
La rivoluzione iniziata da Archimede in matematica e geometria indubbiamente è stata necessaria per quelli che, successivamente, hanno inventato il Calcolatore di Antikythera. La sua morte segnò l’inizio di un rapido declino delle grandi invenzioni e della scienza d’età ellenistica.
Probabilmente altre apparecchiature del genere sono state prodotte e sono andate, forse definitivamente, perdute, in particolare nell’incendio della Biblioteca di Alessandria (e non solo), o sono ancora nascoste nel sottosuolo o in fondo al mare oppure, cosa ancora più frustrante, giacciono in qualche deposito museale perché non riconosciute.
BIBLIO
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - XLIII - XLVI - (epitome) -
- Polibio - Storie - XXXI - 1 -
- Plinio il Vecchio - Naturalis Historia - II -
- Cicerone - De amicitia -
- Cicerone - De re publica - I -
- Cicerone - Tusculanae disputationes -
- Cato Maior - De senectute -
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