CULTO DI ADOLENDA, COMMOLENDA, DEFERUNDA E COINQUENDA

DEE DEGLI ALBERI

 ADOLENDA,  COMMOLENDA,  DEFERUNDA, E  COINQUENDA

Erano le Dee, italiche prima e poi romane, che dovevano venire invocate e onorate per il piaculum indispensabile alla distruzione di un albero, a cui tra l'altro si offrono sacrifici cruenti,


GLI ARVALI

Gli Arvali, Fratres Arvales, o "Fratelli Arvàli" erano un antichissimo collegio sacerdotale romano formato di dodici membri scelti a vita tra gli esponenti delle famiglie patrizie. Il termine deriva da arvum o aruum, "terra lavorata" (stessa radice ar di "arare" e di "aratro").

I sacerdoti si dedicavano al culto della Dea Dia, una divinità arcaica romana, più tardi identificata con Cerere, e di Marmar o Mavors, identificato più tardi con Marte, che proteggevano la terra e le messi.
Queste divinità venivano invocate nelle processioni, dette Ambarvalia, che si svolgevano in primavera per invocare la protezione degli Dei Lari sui campi.


GLI ACTA ARVALIA

Gli Acta Arvalia erano iscritti in tavolette di marmo fissate alle pareti del tempio di Dea Dia, Dea del boschetto, presso l'attuale quartiere della Magliana Vecchia, tra la riva destra del Tevere e il colle Monte delle Piche. Gli acta documentano i rituali di routine e le occasioni speciali, i vota dei membri partecipanti, il nome del luogo in cui si svolgevano i sacrifici e le date specifiche. 

Gli Acta Arvalia conservano i nomi di quattro "Dee funzionali", altrimenti sconosciute, che dovevano essere invocate per un piaculum, una propiziazione condotta prima di tagliare o comunque uccidere un albero. I loro nomi, che hanno l'aspetto di gerundivi latini, sono Adolenda (in riferimento alla combustione dell'albero), Commolenda (o Conmolanda, riduzione in schegge), Deferunda e Coinquenda (abbattimento dell'albero). 

Nel rituale romano tanto l'errore commesso, cioè l'atto da espiare, quanto l'espiazione, l'atto con cui si espiava, si diceva piaculum. La più lieve infrazione alle norme precise che regolavano le cerimonie religiose, i riti funebri, i ludi, la manutenzione dei boschi sacri (luci), costituivano un piaculum.


Il più radicale dei piacula era quello di ricominciare da capo la cerimonia o l'atto. Plutarco (Coriol., 25) afferma che ai suoi tempi si ricominciò un sacrificio fino a trenta volte. Secondo Livio (XXXII, 1; XXXVII, 3) le ferie latine, negli anni 190 e 189 a.c., furono rinnovate. 

Il più comune degli atti espiatorî consisteva in un sacrificio, in genere d'un porco o d'una troia. Alcuni sacrifici espiatorî avevano un carattere desecratorio: così il sacrificio d'una troia che ogni anno si offriva a Cerere prima di mettere mano alle primizie, aveva lo scopo di espiare e riscattare la proprietà sacra della messe adibendola all'uso profano.

Costituivano piacula preventivi i sacrifici delle vittime dette "praecidaneae", che si immolavano alla vigilia dei solenni sacrifici. Qui tanto il sacerdote celebrante, quanto gli assistenti dovevano essere puri, come anche tutti gli oggetti e utensili indispensabili al complicato rituale dovevano essere purificati. La impurità degli astanti e degli oggetti costituiva un caso di nullità del sacrificio, che doveva essere riparato (piaculum). Perfino la non esatta disposizione degli arredi sacri sulla mensa, e il difettoso loro maneggio, costituenti un'infrazione ai rigorosi canoni del rituale, potevano essere motivo di piaculum.

Il rigore era osservato in genere in tutti i sacrifici sia pubblici sia privati; però esso era massimo e spinto fino allo scrupolo nei sacrifici solenni di carattere pubblico, che erano anche i più complicati e minu̇ziosi. I Romani allora con il loro senso pratico, usavano celebrare in precedenza, alla vigilia dei grandi sacrifici, un sacrificio preliminare e preventivo non meno solenne, offerto in nome dello stato, con carattere espiatorio, in previsione degli errori e delle manchevolezze durante la cerimonia principale.

La vittima immolata in questo sacrificio si diceva appunto hostia praecidanea. Lo stesso carattere precauzionale aveva il sacrificio della porca praecidanea che ogni anno si offriva a Cerere, prima di cominciare le operazioni della mietitura. Con quel sacrificio si intendeva espiare in precedenza tutte le deroghe al rituale che si fossero potute commettere.

AMBAVARALIA

In tesi generale non si ammetteva espiazione quando la violazione fosse stata commessa volontariamente; in questo caso il colpevole diveniva impius. La competenza del giudizio della procedura dei piacula riferentesi alla religione nazionale era del collegio dei pontefici, quella concernente i culti non latini spettava ai "XV viri sacris faciundis".

Sono stati inclusi da W.H. Roscher tra gli indigitamenta, gli elenchi di divinità romane tenuti dai sacerdoti per garantire che nei rituali pubblici venisse invocata la divinità corretta. La forma gerundiva sarebbe insolita, anche se non unica per queste quattro divinità. La maggior parte dei teonimi formati da verbi sono nomi attivi o agenti, a indicare che la divinità permettesse o eseguisse l'azione.

Se i nomi sono gerundivi, potrebbero essere passivi, come se la divinità invece ricevesse l'azione. Hendrik Wagenvoort ha pensato che forse i nomi erano rivolti al numen dell'albero stesso, essendo gli alberi di genere femminile in latino. Due pecore erano il piaculum prescritto per ogni divinità.

Pertanto abbattere o bruciare un albero era una colpa, poichè però l'azione era necessaria agli uomini, questa si compiva unendola all'espiazione della colpa in quanto si abbatteva una creatura della Madre Terra. Certamente non si poteva abbattere una pecora per risarcire di un albero, ma si uccidevano ritualmente due pecore per cancellare la colpa di tutti gli alberi abbattuti in quella zona e magari in quell'anno.

Si concedevano così alla Madre Terra due pecore per risarcirla di tutti gli alberi tagliati nella stagione in quella zona, ma guai a sbagliare il rituale perchè il sacrificio in tal caso andava ripetuto. Il reato di consumare le creature della Terra a proprio beneficio dipendeva dunque da una necessità che le quattro Dee potevano ben comprendere, e serviva comunque a evitare che gli uomini abusassero del loro potere sulla natura dimenticando che essi non fossero i padroni del pianeta ma solo figli e sottomessi alla Grande Dea.



BIBLIO

- A. Bouché-Leclercq - Les pontifices de l'ancienne Rome - Parigi - 1871 -
- G. Wissowa - Religion und Kultus der Römer - Monaco - 1912 -
-  Varro, De lingua Latina 5.85.
-  Wilhelm Henzen - ed. Acta Fratrum Arvalium quae supersunt - Berlin - 1874 -
- Scheid John - Les frères arvales: recrutement et origine sociale sous les Julio-Claudiens - Paris - 1975 -
- Scheid, John, ed., Comentarii Fraturm Arvalium Qui Supersunt (Rome: Ecole Francaise de Rome and Soprintendenza Archeologica di Roma, 1998)

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