ORTENSIA L'AVVOCATA ROMANA



ORTENSIA

La storia di Ortensia, l’avvocatessa delle matrone romane, si svolge nel periodo in cui i membri del secondo triumvirato, Ottaviano, Lepido e Antonio, nel cercare di reperire quanto più denaro possibile, per finanziare la guerra contro gli assassini di Giulio Cesare, padre adottante di Ottaviano, decisero di testa loro di tassare circa 1.400 matrone romane fra le più ricche, che fossero rimaste sole al mondo, quindi vittime designate in quanto prive quindi di una figura maschile in grado di tutelarle.

Sul termine avvocatessa o avvocata vi sono state diverse discussioni su cui i letterati non si sono messi d'accordo. Alcuni dicono che il termine giusto sia avvocata, per altri i termini avvocatessa o avvocata sono ugualmente accettabili, per cui ognuno è padrone di usare quel che preferisce, senza correre pertanto in errore.

ORTENSIA

Le donne romane erano abituate a tacere sia in famiglia che fuori, anzi soprattutto fuori, tacere per la donna era un obbligo, così come non potevano bere vino, tante volte le rendessero troppo loquaci. Ne fa fede il culto di Tacita Muta, divinità degli inferi, divenuta in seguito la Dea del silenzio, una figura istituita dal secondo Re di Roma, ma con intenti misterici, in seguito divenuti intenti oppressivi nei riguardi delle romane.

Detto culto si ritrova nei “Fasti” di Ovidio, dove la bellissima ninfa Lala, desiderata da Giove, aveva osato respingere il re degli Dei, e per giunta osò denunciare l’accaduto, prima con la sorella e poi con Giunone, che, non osando arrabbiarsi col marito si sfogò sulla poveretta e per vendetta di non si sa cosa le strappò la lingua. 

DEA TACITA

Ma pure Giove si adontò per la delazione, e ordinò a Mercurio di condurla negli inferi per punizione, perchè non aveva ceduto e perchè l'aveva raccontato. Durante il tragitto Lala ormai muta, non potè nemmeno denunciare che Mercurio l’avesse violentata, a monito della delirante e ingiusta supremazia maschile.

Lala divenne però da ninfa si trasformò in una Dea, la Tacita Muta, madre di due gemelli, i Lares Compitales, due divintà protettive, figlie di uno stupro operato sulla via per gli inferi. A Roma il silenzio in pubblico per le donne era d'obbligo ma non era sancito da nessuna legge scritta, e qualche donna, come Ortensia, ne approfittò si che nel 42 a.c., divenne avvocatessa a difesa delle matrone romane.

Ma anche altre donne osarono difendersi da sole, lo storico Valerio Massimo, che non approva questo ardire, cita per esempio Afrania, descrivendola come: “un mostro, con la voce simile al latrare di un cane”, oppure Mesia, che a suo dire era simile a un uomo come carattere, e non era un complimento. Queste donne diedero quindi scandalo per aver alzato la testa e portato le loro ragioni in un tribunale senza che un uomo le patrocinasse.

Ci fu pure Gaia Afrania, della gens plebea Afrania, moglie del senatore Licinio Buccio, che difese se stessa in tribunale dimostrando buone capacità retoriche e buona conoscenza delle leggi. Fu talmente brava che diverse donne che si dovevano rivolgere al tribunale si riferirono a lei anziché agli avvocati maschi dell'epoca, un peccato imperdonabile. 



IL DISCORSO DI ORTENSIA 

Ortensia era figlia di Quinto Ortensio Ortale, un avvocato rivale di Cicerone, che divenuto console, permise alla propria figlia di ricevere un’istruzione superiore e di studiare la legge. Tali studi erano permessi solamente ai maschi, quindi un padre illuminato, ma per molti esecrabile.

Ortensia fa la sua orazione, ribadisce anzitutto il fallimento dell'intercessione delle mogli dei triumviri per legittimare la sua presenza nel foro, e qui non le si può dare torto. 

Sottolinea poi la rottura delle tradizioni familiari che prevedevano che fossero le mogli a dover parlare con i mariti. E nemmeno a questo ci si può opporre se si è tradizionalisti.

Il perorare la propria causa era un'attività dalla quale le donne avrebbero dovuto astenersi, aggiunge l'avvocata, perchè avrebbe determinato un'inversione del corretto funzionamento delle istituzioni pubbliche.

Ortensia afferma la tradizione ma supera questa preclusione affermando che, poiché le guerre civili le hanno private di padri, figli, mariti e fratelli, le donne sono "sui juris" ossia non hanno più alcun familiare maschile che le possa rappresentare davanti alla legge. 

Se i triunviri, oltre a privarle del loro diritto a difendersi, le priveranno anche dei loro beni, non potranno neanche mantenere la condizione economica sociale a cui i padri le avevano destinate. E i padri vanno ascoltati e obbediti nei costumi romani tradizionali,

L'ORATRICE

LA SENTENZA

Ortensia dimostrò di essere un'abile oratrice, seppe usare le argomentazioni del diritto romano secondo il quale alle donne era negato l'accesso al potere ed alle cariche di magistratura e se dal potere erano escluse allo stesso modo non si poteva chiedere loro il pagamento di tasse per il suo esercizio.

Ortensia riuscì a vincere in parte la causa tanto che furono tassate soltanto 400 matrone delle iniziali 1400. ma il fatto era sorprendente per la società romana; una donna che riusciva a far riconoscere le ragioni di altre donne davanti ad un tribunale maschile era una cosa mai avvenuta prima.

Il bello è che poi altre donne dovendosi difendere in tribunale ricorsero a lei e il fatto che in genere vinceva le cause fece risentire gli avvocati e in particolare Cicerone, era un sovvertimento inaccettabile, si che poi ne fecero un dibattito al senato che si concluse nel 48 a.c. con l'assoluto divieto alle donne di praticare la professione di avvocato.


BIBLIO

-  Vittoria Longoni - Ortensia - enciclopediadelledonne.it. URL - 2023 -
- La storica orazione di Ortensia, cancellata dalla storia - youtube.com. -
- Augusto Pierantoni - Gli avvocati dell'antica Roma - Tipografia elzeviriana - 1896 -
- Eva Cantarella - Passato prossimo: donne romane da Tacita a Sulpicia - Milano - Feltrinelli - 1998 -
- Francesca Cenerini - La donna romana: modelli e realtà - Bologna - il Mulino - 2002 -


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